Di ciò di cui non si può parlare si tace. - Ludwig Wittgenstein

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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IL SIMBOLISMO DI DATTATREYA


di Paolo Quircio 
 
L’universo culturale indiano, e quello induista in particolare, hanno un modo di esprimersi, di tramandare le conoscenze e di insegnarle molto diverso da quello occidentale. Nel nostro sistema, di solito, per spiegare qualcosa si enuncia una tesi, la si amplia e si presentano i vari argomenti a sostegno della tesi stessa. Un sistema lineare e molto chiaro, estremamente funzionale sia per le cose pratiche, sia per quelle teoriche, filosofiche.

Il sistema indiano ha invece un approccio dai tempi forse più lunghi, affabulatorio, che la prende da lontano, ma che porta al punto essenziale attraverso racconti e analogie spesso molto pittoreschi e favolistici, apparentemente ingenui, quasi infantili. Ma, a ben guardare, queste favole esotiche sono intessute di simboli di sorprendente profondità. Insegnando per racconti e per simboli, con la stessa storia si possono raggiungere eccellenti risultati pedagogici con ogni tipo di pubblico. I più semplici saranno attratti dalle gesta degli eroi, dai giochi amorosi di Krishna e delle Gopi o dai prodigi operati dai Rishi e dai Deva; il ricercatore che è più avanti nel suo percorso spirituale avrà la capacità di vedere in quei simboli gli insegnamenti profondi delle Scritture; coloro che hanno già raggiunto un livello spirituale ancora più elevato sapranno avanzare ulteriormente, cogliendo in quei racconti e in quella simbologia l’espressione diretta dell’energia divina con cui, tramite il racconto simbolico, si immedesimeranno. Un solo insegnamento, ma dalle mille sfaccettature, valido dalla prima elementare alla laurea, e anche oltre.
           
Naturalmente anche le raffigurazioni dei Deva, le divinità induiste, sono arricchite da molti simboli che ne chiariscono meglio la natura. La proboscide di Ganesh è simbolo di duttilità e adattabilità: è abbastanza forte per sollevare un grosso tronco, ma è al contempo abbastanza sensibile per raccogliere un chicco di riso. Le orecchie grandi sono fatte per ascoltare e imparare, gli occhi piccoli danno il senso della concentrazione. L’immenso serpente su cui dorme Vishnu nella pausa tra Pralaya, la fine di un ciclo cosmico, e la creazione di un nuovo universo, è avvolto in tre spire e mezzo, come la Kundalini, l’energia che allo stato dormiente è localizzata alla base della colonna vertebrale, avvolta appunto in tre spire e mezzo. Gli spunta un fiore di loto dall’ombelico, dal Manipura Chakra, che è il punto di passaggio tra i Chakra bassi, legati alla Natura fisica, e quelli alti, legati alla Natura superiore. Il loto a sua volta rappresenta il percorso dell’uomo: ha le radici nel fango, lo stelo nell’acqua e il fiore riceve la luce del sole. Seduto in questo fiore di loto troviamo Brahma, il dio della Creazione, Creazione che è proprio l’unione della Prakriti, la Natura, inferiore con quella superiore.
           
Nell’ultima newsletter è stato pubblicato un capitolo di un libro di Swami Sivananda che parla di Dattatreya e dei suoi 24 Maestri. Come abbiamo visto, Dattatreya nacque in maniera prodigiosa come incarnazione delle tre divinità fondamentali dell’Induismo: Brahma, il creatore, Vishnu, il preservatore, e Siva, il distruttore, e per questo è detto Trimurti Avatara, incarnazione dei tre dei. Da questo il suo nome: Datta vuol dire ‘dono’ e Treya si riferisce al padre umano Atri. Poiché i tre ‘padri’ di Dattatreya sono contornati nelle loro raffigurazioni da numerosi simboli, il loro Avatar ne mantiene alcuni di ognuno dei tre, a cui si aggiungono altri specificamente suoi.
           
Abbiamo visto che, proprio a sottolineare la triplice origine, Dattatreya, spesso detto anche Datta Guru, ha tre teste e sei braccia. Delle tre teste una, quella che si riferisce a Siva, è sovrastata dalla falce di luna e da essa sgorga il fiume sacro, il Gange. A causa della sua ciclicità, la luna è considerata il simbolo del tempo, ma poiché il tempo appartiene agli dei e non viceversa, essa non è parte di Siva, ma ne è solo un ornamento. Siva è inoltre il dio che presiede alla fine dei cicli cosmici perché se ne preparino di nuovi, ed è pertanto padrone assoluto del tempo. Un altro significato della mezzaluna, che in effetti è meno di mezza, ma è ciò che ci appare di essa nel quinto giorno del ciclo lunare, è la mente. Siva è raffigurato in costante meditazione, quindi con la mente ferma, ma quella sottile striscia rappresenta lo stato vigile, sempre allerta di colui che medita profondamente.
           
Il Gange che sgorga dalla testa del Deva è legato ad una leggenda secondo la quale l’oceano era stato prosciugato dal Rishi Agastya perché nel suo fondale si nascondeva un esercito di 60.000 Asura, demoni, tutti fratelli tra loro. Dopo che i 60.000 Asura furono ridotti in cenere dal saggio Kapila, Bhagiratha, un re saggio e buono, loro discendente, chiese alla dea Ganga di fornire l’acqua per poter compiere i riti funebri necessari alla liberazione delle loro anime. Dopo pressanti richieste la dea accondiscese, ma lo avvertì che la quantità d’acqua era immensa e precipitando avrebbe distrutto la Terra. Allora Bhagirata chiese a Siva di far cadere l’acqua sulla sua testa prima che sulla Terra, per diminuire la forza dell’impatto, e anche Siva accondiscese alle sue richieste. Per questo il primo tratto del Gange si chiama ancora oggi Bhagirathi. L’abituale deambulazione che i fedeli compiono più volte in senso orario intorno al sancta sanctorum dei templi induisti, solo in quelli dedicati a Siva viene interrotta per non ‘oltrepassare’ il Gange, e completata in senso inverso. L’acqua del Gange è considerata simbolo di purezza e, sgorgando dalla testa, anche di conoscenza e saggezza.
           
Nelle sei mani Dattatreya impugna alcuni dei simboli della Trimurti. Nelle prime due dall’alto i simboli di Vishnu: Shanka, la conchiglia, e Chakra, il disco. La conchiglia, che viene tuttora usata nei templi indiani come una tromba per richiamare i fedeli e dare inizio alle Puja, le funzioni sacre, è quella di una chiocciola marina dell’Oceano Indiano, la Turbinella pyrum. La stessa conchiglia con cui si dà agli eserciti del Mahabharata il segnale d’inizio della battaglia. In essa si uniscono i tre suoni che compongono la sacra sillaba OM: A, U e M. I tre suoni rappresentano alcune delle triadi dello Yoga e del Vedanta: passato, presente e futuro; i tre stati di coscienza: jagrat, veglia, svapna, sogno e sushupti, sonno profondo; i tre Guna, le qualità: Tamas, Rajas e Sattva; i tre Loka, i piani di esistenza, la formula che precede il Gayatri Mantra: Bhur, il Bhu-Loka (piano fisico), Bhuvah, l’Antariksha-Loka (piano astrale) e Svah, lo Svarga-Loka (piano celeste); Creazione, Preservazione e Distruzione, e quindi Brahma, Vishnu e Siva; Sthula Sharira, il corpo grossolano, Sukshma Sharira, il corpo sottile e Karana Sharira, quello causale. Tutte queste triplici componenti si uniscono nella conchiglia e danno luogo a OM, il Mantra universale, il suono sottile che dà origine alla Creazione e di cui vibra il cosmo intero.
           
Il disco, Chakra, per la sua forma circolare non ha inizio né fine, quindi rappresenta il tempo, di cui, come già detto, gli dei sono padroni, ma è anche un’arma che viene lanciata per decapitare i demoni. Qui si rende necessario aprire una piccola parentesi. Tutte le armi da taglio impugnate da eroi mitologici e Deva, l’ascia di Parasurama e di Ganesh, la spada di Kali, gli archi di Rama e di suo fratello Lakshman, il Chakra di Vishnu, simboleggiano Viveka, la discriminazione, la capacità di separare il reale (Atman) dall’irreale (Anatman), e Vairagya, il distacco, inteso come consapevolezza del fatto che mentre il nostro corpo e la nostra mente agiscono nel mondo, il nostro Atman rimane immutato e immobile. Nella Bhagavad Gita (V, 10) Krishna spiega il significato di Vairagya: Come le foglie del loto non sono toccate dall’acqua, così colui che, trasceso l’attaccamento, agisce rivolgendo le sue azioni a Brahma non si identifica con esse”. Sempre nella Gita (XV, 3-4) l’universo sensibile viene paragonato ad un albero baniano (ficus bengalensis) e Krishna dice ad Arjuna: “Avendo reciso questo albero di baniano dalle salde radici con la forte scure del non attaccamento/ Allora dovrebbe essere cercata quella meta, conseguita la quale nessuno ritorna di nuovo.” Chiaramente la meta di cui parla Krishna è Moksha, la liberazione dal ciclo di nascite e morti. Bisogna anche aggiungere che i demoni non sono entità esterne, ma sono le energie negative che ci controllano e che ci tengono lontani dal nostro progresso spirituale.
           
Le mani di mezzo impugnano due dei simboli di Siva: il Trishul, il tridente, e il Damru, il tamburello. Il tridente simboleggia tutte le triadi di cui abbiamo già parlato poco sopra, ma non solo. Simboleggia anche le tre Nadi, i canali dove scorre il Prana, principali: Ida, a sinistra della colonna vertebrale, che rappresenta il mondo materiale; Pingala, a destra, simbolo del mondo spirituale, e Sushumna, al centro del midollo spinale, in cui le due energie opposte trovano il loro equilibrio, equilibrio necessario per proseguire nel proprio cammino spirituale e che fa parte dell’insegnamento di Dattatreya. Le tre Nadi convergono nell’Ajna Chakra, localizzato tra le sopracciglia, e la sola Sushumna prosegue fino all’ultimo Chakra, il Sahasrara, posto alla sommità del capo. Il Trishul è inoltre l’arma che Siva usa per distruggere il mondo intero al momento della fine del ciclo cosmico.
           
Il Damru è un doppio tamburello a forma di clessidra, con due perline di legno legate con delle cordicelle, per cui, girandolo da una parte e dall’altra, le perline percuotono le pelli e lo fanno rullare.  Anch’esso ha più significati simbolici. I due coni contrapposti significano il mondo manifesto e quello non manifesto, ma anche il principio maschile e quello femminile, dalla cui unione ha origine la creazione e dalla cui separazione ha inizio Pralaya, la fine del ciclo cosmico. In Tibet a volte il Damru veniva fatto unendo due calotte craniche, una di un uomo e una di una donna. Al suono del Damru Siva, nella sua forma di Nataraja, il re della danza, esegue la Tandava, la danza in cui egli, che è il dio della meditazione, raggiunge lo stato di pura estasi mistica.
           
Nelle mani più in basso troviamo il Mala e il Kamandalu. Il primo è il rosario di 108 grani che viene solitamente usato per recitare il Japa, la ripetizione dei Mantra, e aiuta chi medita a tenere il conto. Più o meno lo stesso uso del Rosario cristiano nelle preghiere. I grani possono essere di diversi materiali: il legno di Tulsi, una varietà indiana di basilico considerata sacra; a volte di legno di sandalo, di semi di loto o di cristallo di rocca. Ma i più diffusi sono i Rudraksha, i semi di una pianta locale, l’elaeocarpus ganitrus. Ovviamente, anche sulla Rudraksha esiste una storia mitologica. Si dice che Siva, dopo una lunghissima meditazione aprì gli occhi che, essendo stati chiusi per tanto tempo, lacrimarono. Da queste lacrime nacquero i Rudraksha, che vuol dire ‘lacrime di Rudra’, uno dei nomi di Siva.

Il Mala, come detto, ha 108 grani, più uno, detto il Monte Meru, un monte mitologico, o anche il grano del Guru. Sul perché di questo numero, 108, che peraltro troviamo spesso nell’Induismo e nel Buddhismo, ci sono parecchie risposte: sul Chakra del cuore, l’Anahata, convergono 108 Nadi; i Devanagari, le lettere dell’alfabeto sanscrito, sono 54 e ognuna ha un suo doppio, maschile e femminile; nello Sri Yantra, uno dei più importanti e diffusi, ci sono 54 Marma, intersezioni, e anch’esse hanno un doppio, maschile e femminile; 12 segni zodiacali x nove pianeti ecc. ecc. Anche il Mala, avendo una forma circolare, rappresenta la ciclicità del tempo. C’è una frase bellissima di Swami Sivananda che paragona i grani del Mala alle pietre miliari lungo la strada: il cammino si può fare anche senza di esse, ma ti aiutano ad essere consapevole della strada percorsa. Anche il filo che tiene insieme le perline ha un suo significato simbolico, che ci viene direttamente dalla voce di Krishna, dalla Gita (VII, 7): “O conquistare della ricchezza (Arjuna), non vi è nulla che mi sia superiore.

Come il filo tiene insieme le perle, così io tengo insieme tutti gli esseri.” Un ultimo dettaglio sul Mala è il modo in cui Dattatreya lo impugna. In alcune immagini lo fa semplicemente ciondolare tra le dita della mano rivolta verso il basso; in altre immagini pende dal pollice della mano destra in Abhaya Mudra, il cui significato è ‘Non temere’. Buddha è spesso raffigurato in questa posizione e il significato è sempre lo stesso: chi segue i miei insegnamenti non ha più nulla da temere, non solo perché non gli succederà niente di male, ma soprattutto perché ha gli strumenti spirituali per reagire all’eventuale male senza perdere la sua serenità e il suo equilibrio.
           
L’ultimo oggetto nelle mani di Dattatreya è il Kamandalu, il piccolo vaso per l’acqua che gli eremiti portano sempre con sé, oltre alla ciotola con cui chiedono l’elemosina. L’acqua è al contempo l’elemento vivificante per eccellenza e simbolo di purezza. Come essa dà vita ed elimina le impurità d’ogni genere, così l’insegnamento di Dattatreya infonde nel ricercatore spirituale, nel suo discepolo, nuova linfa vitale e lo aiuta a liberarsi del pesante fardello delle sue impurità spirituali.
           
Infine i simboli propri di Datta Guru: i quattro cani di diversi colori, l’albero Kalpavriksha e la mucca bianca. I quattro cani rappresentano i quattro Veda: Rig, Yajur, Sama e Atharva. I Veda sono le quattro raccolte di Scritture Sacre più importanti dell’India. La loro autorità spirituale viene accettata da quasi tutte le sei Darshana, le scuole filosofiche tradizionali. La parola Veda deriva dalla radice sanscrita ‘Vid’, che vuol dire ‘sapere’. Sono quindi considerati il sapere per eccellenza, e costituiscono il corpo fondamentale dei testi detti ‘Sruti’, ‘ciò che è stato sentito’. Testi che si basano su conoscenze acquisite dagli antichi Rishi, saggi veggenti, durante la meditazione profonda. Scritti sotto dettatura, per così dire, ricchissimi di istruzioni e insegnamenti su tutto quello che riguarda la vita spirituale, dall’aspetto più filosofico ed esoterico a quello formale dei riti e delle cerimonie sacre.

Ma perché per rappresentare qualcosa di così sacro come i Veda vengono usati proprio i cani? Perché il cane ha un udito molto più sviluppato dell’uomo. Il cane sente suoni che noi non riusciamo a percepire, suoni sottili. Così lo studente spirituale deve innanzitutto imparare ad ascoltare più che a parlare, e poi ad affinare il proprio udito interiore e spirituale, fino a percepire il pieno significato del suono più sottile di tutti: il silenzio. Si ricordi che il nome del Chakra del cuore è Anahata, che vuol dire ‘suono non causato, non percosso’, un suono talmente sottile che si avvicina molto al silenzio; anche la vibrazione prima da cui nasce la Creazione, lo Shabda Brahman, è un suono-non suono, una vibrazione così sottile che, pur dando vita all’universo intero, è ancora allo stato potenziale.
           
I cani hanno anche altri significati simbolici: i quattro Yuga, i cicli cosmici; i quattro stati dell’esistenza: Esistenza, Consapevolezza, Pensiero, Parola o Azione; le quattro suddivisioni del suono: Para, che si manifesta nel Prana, Paasyanti, che si manifesta nella mente, Madhyama, che si manifesta negli Indriya, gli organi di senso e di azione e Vaikhari, che si manifesta sotto forma di suono articolato, la parola.
           
Infine l’albero e la mucca bianca. Sia l’albero Kalpavriksha che la mucca Kamadhenu sono arrivati nel mondo dalla Samudra Manthan, la zangolatura dell’oceano del latte[1]. Nel mito il tipo di albero non viene definito, chi dice che sia un baniano, chi una palma da cocco o altro. Si trova spesso nell’iconografia indiana, anche Adi Shankaracharya, il fondatore della scuola Advaita, è spesso raffigurato in meditazione sotto alla chioma dell’albero Kalpavriksha. La cosa che conta è che è un albero che soddisfa tutti i desideri; naturalmente i desideri di un uomo che sta percorrendo una via spirituale molto avanzata, quindi soprattutto il desiderio di raggiungere l’illuminazione e di liberarsi dal Samsara, il ciclo di nascite e morti.
Anche la mucca bianca è spesso presente nelle immagini sacre. È il simbolo femminile dell’abbondanza, della fertilità, della mansuetudine; Matrika, dea madre, amorevole come lo è la Terra con noi, che pure le manchiamo di rispetto in continuazione, e continua a sostenerci e a nutrirci.
           
Questa analisi del simbolismo legato a Datta Guru vuole essere soprattutto una ricerca volta alla comprensione di tutto ciò che abbiamo costantemente davanti agli occhi e di cui non riusciamo a vedere il significato, né a coglierne l’insegnamento. Nulla è casuale, tantomeno i simboli sacri, argomento su cui hanno scritto diffusamente tantissimi intellettuali, da Guenon a Mircea Eliade e tanti altri. Spesso ci comportiamo come quando cerchiamo gli occhiali per tutta casa e alla fine ci accorgiamo di averli sul naso……
                                                                                                                                
INNO A DATTATREYA
Sarva Aparaadha Naashaaya
Sarva Paapa Haraaya Cha 
Deva Devaaya Devaaya
Sri Dattatreya Namosthuthe 
 
Mi inchino davanti a Colui che annienta il Karma,
Colui che distrugge tutti i peccati
Mi inchino davanti al Dio di tutti gli Dei
Mi inchino davanti allo Sri Guru Dattatreya!”

Paolo Quircio
Roma 21-10-2017
 
1 Ne parlo un po’ più diffusamente nel mio articolo IL MITO UNA STORIA RACCONTATA DIVERSAMENTE

 
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05 APRILE 2019 BOLOGNA - MEDITAZIONE - L'ESPERIENZA DEL RAJA YOGA
17 APRILE 2019 MILANO - CELEBRAZIONE EQUINOZIO DI PRIMAVERA E MEDITAZIONE DELLA PASQUA
13 - 14 APRILE CANTAGALLO (PO) - TEMPIO INTERIORE - SEMINARIO DI DANZA SUFI
13 - 14 APRILE 2019 FIRENZE - WORKSHOP LA SAGGEZZA DEL CUORE - PER INSEGNANTI E GENITORI
02 APRILE 2019 MILANO - IL POTERE DELL INTUIZIONE
14 APRILE 2019 MILANO - IMPARIAMO AD INTERPRETARE SEGNI E COINCIDENZE - CON GIAN MARCO BRAGADIN
05 APRILE 2019 PERUGIA - MEDITAZIONE E ARTE
25 - 28 APRILE 2019 GROSSETO - SEMINARIO DI ASCOLTO DI SE CON IL RESPIRO
27 APRILE 2019 FIRENZE - HO OPONOPONO IL SEGRETO HAWAIANO
27 - 28 APRILE 2019 MONTELUPO FIORENTINO - CORSO DI COSTELLAZIONI FAMILIARI E SISTEMICHE
25 - 26 - 27 - 28 APRILE 2019 BELLARIA IGEA MARINA (RN) - OSHOFESTIVAL 2019
06 APRILE 2019 ROMA - TRA LUCE E OMBRA - SEMINARIO ESPERIENZIALE
12 APRILE 2019 SAN PIETRO IN CERRO (PC) - LIBERA LE EMOZIONI
03 APRILE 2019 PRATO - L'UNIONE - I 12 PASSI DELL AMORE
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