Le cose sono unite da legami invisibili, non si può cogliere un fiore senza turbare una stella - Albert Einstein

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ALTRI LUOGHI CON ALTRI OCCHI
VIAGGI E TURISMO CONSAPEVOLE
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IL VERO VIAGGIO DI SCOPERTA
Il vero viaggio di scoperta
non consiste nel cercare nuove terre
ma nell'avere nuovi occhi.

Marcel Proust
Luoghi
Andiamocene in viaggio,
senza muoverci,
per vedere la sera di sempre
con altro sguardo,
per vedere lo sguardo di sempre
 con diversa sera.
Andiamocene in viaggio,
senza muoverci. 

Xavier Villaurrutia
(poeta messicano 1903 - 1950)
LA CASA DAL CUORE ANTICO
<B>LA CASA DAL CUORE ANTICO</b>







Mia

Firenze: caos, traffico, rumore, turisti, inquinamento.
Tutto ormai mi disgusta, mi nausea, mi angoscia.
Non respiro.
Soffoco.
Fuggo via, disperata ....

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IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE
<b>IL MIO ORIENTE E' PIENO DI OCCIDENTE </b>





Casadio Farolfi

"Non è con la ragione che si riesce a varcare i limiti della razionalità." Il battesimo del grande viaggio in India era previsto per il 29 luglio 1979. A Imola era una giornata caldissima, quasi afosa, un anticipo di quel clima che avrebbe accompagnato me e Roberta nelle settimane successive. In realtà, giunti a Bombay fu un monsone della durata ininterrotta di cinque giorni a darci il benvenuto; il tasso di umidità era insopportabile, tale da convincerci a proseguire il nostro viaggio puntando verso il nord del Paese. Fu un lungo itinerario - rigorosamente in treno - attraverso i luoghi turistici dell'India: Agra, Jaipur, Dehli, Benares, Madras, ma anche in tanti minuscoli paesi e villaggi dell'immensa campagna indiana, ben lontani dai falsi splendori delle città caotiche e chiaramente già in piena trasformazione occidentale. Tutto ci apparve come narrato dalle parole di Piero Verni e Folco Quilici, nelle immagini dei
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IL VIAGGIATORE COME PELLEGRINO SPIRITUALE



di Antonio D'Alonzo

La grande crisi nichilistica della cultura occidentale realizza in questo discusso secolo, ormai prossimo alla fine, l’apogeo della sua potenza e della sua ineluttabile referenzialità, manifestantesi anche nel linguaggio ordinario delle masse con un lessico influenzato dal massiccio bombardamento mediatico, che non lascia spazio, non diciamo alla speculazione, ma a qualche enunciato che abbia la parvenza di un’argomentazione, e non sia la solita sterile vacua imitazione fonetica e concettuale di modelli televisivi.

In questa era di "desertificazione spirituale" domina incontrastato l’apparato della tecnocrazia, che elevando ad unico scopo dell’esistenza il proprio autopotenziamento tecnico, dissolve la storia nel fluire insignificante del tempo.

Secondo la concezione biblica il tempo è una linea retta che conduce ad un fine ( éschaton ), ovvero alla venuta del regno di Dio, in cui si risolverà la storia, corruzione temporale originata dal peccato primordiale. Il tempo dell’era moderna è rettilineo perché abbiamo assimilato la trasformazione giudaico-cristiana del divenire greco.

Il tempo della scienza moderna è dominato da un fine, assicurare il trionfo dell’uomo sulla natura, il tempo dell’utopia dal raggiungimento della società "giusta" e ugualitaria. Entrambe, sia la scienza che l’utopia, proiettano alla fine del tempo un fine ultimo, e perciò trasformano il divenire irrazionale in storia: entrambe sono debitrici alle radici giudaico-cristiane della nostra cultura. Ora, la tecnica rende possibile la fine della storia, non perché restauri la concezione greca del tempo circolare, ma perché mantenendo il paradigma rettilineo non pone un fine ultimo al di fuori del tempo, ma nel tempo, anzi nel tempo immediato: il potenziamento infinito del proprio apparato.

L’unico fine è in realtà quello che sarebbe dovuto essere un mezzo: il perfezionamento della tecnica come mezzo per raggiungere il benessere diventa il fine, a cui il benessere sociale - trasformato in mezzo - deve tendere. Rovesciando i fini in mezzi, la tecnica trasforma la storia in un fluire insignificante del tempo, dove l’unico scopo è l’apparato che si accresce infinitamente con le sue novità tecnologiche, subito dichiarate obsolete e perciò soppiantate da altre più avveniristiche, proprio perché più inutili ai fini dell’economia della vita quotidiana.

La tecnica non avvalla più il continuum di un’azione storica che conduca ad un fine ultimo ad essa estrinseca, con il quale si possa giustificare il perseguirsi di tale agire ( sia tale fine la Parusia,il trionfo della società perfetta, o il dominio sulla natura). La tecnica pone dei fini all’interno dell’immediato, questi fini sono in realtà dei mezzi trasformati in fini, che vengono posti per essere subito superati da altri, considerati migliori dei precedenti ( le novità tecnologiche).

Tutto questo in un processo infinito che infrange il sogno di una storia umana o divina, trasformandola nell’idea di un indefinito e alienante percorso di progresso tecnologico. Nell’era del dominio tecnocentrico, l’uomo perde così la sua essenza di animal rationalis, in quanto si trova immerso in un macrocosmo di informazioni e nozioni specialistiche che nessun singolo può interamente possedere. Si rende così necessaria la divisione specialistica dei saperi che priva l’uomo dell’universalità della conoscenza e gli impedisce di poter gettare uno sguardo d’assieme sul mondo circostante.

L’uomo diventa così l’abitante spaesato di un mondo tecnologico da lui interamente creato, ma che ormai gli è diventato estraneo. Egli attraversa lo spazio circostante e si trova ad affondare in un oceano mediatico, di cui non riesce interamente a comprendere il significato, ma che agisce in modo subliminale sul suo inconscio.

A causa della divisione dei saperi, l’uomo contemporaneo è ritornato a guardare il proprio cosmo con lo stesso sguardo stranito con cui il suo antenato di Neandertal scrutava il dispiegarsi di fronte a lui di un mondo estraneo ed ostile: egli ha perduto il possesso della terra e lo ha ceduto alle macchine. L’uomo non è più il signore della natura, egli è più simile ad un viandante che passa, osserva e cerca di assimilare ciò che vede, e che altro non è che l’ergersi trionfale del titanico apparato tecnologico che celebra la sua infinita volontà di potenza.

Il viandante che ha rinunciato ad abitare nella comunità delle macchine fa professione di irriducibile nichilismo e tuttavia rivolge un’attenzione vigile all’inesorabile crescita del deserto spirituale circostante. Non crede quasi più in nulla, ma ha la capacità di gettare sulle cose uno sguardo che le anima e le illumina. Nietzsche descrive bene questa condizione di solerte vigilanza, nella sua teorizzazione di un nichilismo attivo, perfetto, che assuma su di sé la consapevolezza della fine dei valori tradizionali e possa permettere all’uomo di attraversare il "deserto che cresce" del nichilismo

Il nichilismo passivo, al contrario, è la passiva accettazione della crisi spirituale dell’epoca, ed è tipico di chi si limita a subire passivamente il Nulla e non ha più il coraggio, che è proprio del viandante, di osservare, passare e preparare l’alba di una rinascita e di un nuovo inizio. Il viandante proprio perché non abita più in nessun luogo, può nel suo incessante peregrinare assimilare la frantumazione dei saperi, episodicamente rasentati nel suo passaggio, e riproporre quell’aspirazione ad una universalità della conoscenza, che metta fine alla dicotomia della cultura in umanistica e scientifica.

Un’altra possibile lettura del pellegrinaggio spirituale ci viene da Hermann Hesse. Sappiamo dalla sua biografia che egli viaggiò molto e visitò l’India, non riuscendo tuttavia a dissolvere i propri conflitti interiori. Ne Il lupo della Steppa, Hesse pensa in fondo che la panacea in grado di curare la lacerazione psichica del suo viandante - rappresentato da un intellettuale di cinquant’anni incapace di far convivere nella sua anima cultura e pulsionalità - sia di discendere dalle vette dello spirito per tuffarsi nel fluire irrazionale del fiume del divenire, ossia di abbandonarsi alla gioiosa imprevedibilità della vita ( pur senza rinunciare, beninteso, allo spirito).

Anche in Siddharta il motivo in fondo è sempre questo: dopo tanto peregrinare, il protagonista arriva alla meta della ricerca, che altro non è che il pensiero dell’unità di Io e mondo e comporta l’abbandonarsi al fiume eracliteo, alla magica sinfonia del creato. Il percorso del viandante per Hesse è sempre lo stesso, dalla cultura alla vita, ed è simbolicamente ribadito nell’abbandono di Castalia da parte dell’asceta della conoscenza, Josef Knecht, che per incontrare la vita ordinaria della gente comune esce dalla propria torre di avorio e si riappropria dell’umanità perduta.

Il significato simbolico della figura del viandante è quindi racchiuso nell’idea di una perdita della conoscenza suprema, e quindi del controllo sull’alterità, che costringe a rimettersi in giuoco e a confrontarsi con un vitalismo che ribadisce la priorità dei fenomeni della vita, e quindi la loro irriducibilità alle categorie puramente astratte dell’intelletto filosofico e scientifico. È in fondo la metafora dell’estraneamento spirituale dell’uomo contemporaneo che abita il mondo della tecnica.

È l’attraversare un mondo, improvvisamente diventato estraneo, in attesa di una sua riappropriazione teoretica, forse più utopica che pianificabile. In questo senso il vagabondare del viandante può rimandare anche ad un’ulteriore significazione simbolica, in cui il viaggio è un’allegoria iniziatica del cammino dello spirito che cerca e trova alla fine sé stesso nel mondo delle cose oggettivate.

Per Hegel nella Fenomenologia dello spirito, la coscienza, che ancora ignora, intraprende il suo cammino per giungere alla scienza dell’Assoluto stesso. Nel neoplatonismo il viaggio per mare simboleggia il cammino iniziatico che l’anima compie per arrivare alla conoscenza del Sapere Assoluto. Nell’induismo il viaggio è simboleggiato dal Samsara, l’infinita concatenazione di nascite - morti - rinascite che l’anima subisce per poter alla fine arrivare alla Moksha o Mukti, la liberazione, appunto, dalla metempsicosi. Anche il buddhismo popolare ha prodotto innumerevoli storie di viaggi spirituali, anche ultraterreni. Leggendari sono i viaggi nel mondo sotterraneo di personaggi della mitologia buddhista come Devadatta o il Bodhisttva Kuan-Yin Nello sciamanismo, lo stregone effettua dei viaggi estatici nella terra degli spiriti, il cui scopo è di ottenere la guarigione del malato, o di acquisire comunque la protezione del proprio villaggio.

Nell’islamismo, il 27 del mese di ragab, Maometto viene rapito dall’arcangelo Gabriele e portato dalla Mecca a Gerusalemme. Durante questo viaggio notturno egli riesce miracolosamente a salire nei sette cieli dove incontra Adamo, Giovanni e Gesù, Giuseppe, Idris, Aronne, Mosè e Abramo. Prima del suo ritorno sulla terra il fondatore dell’Islam ottiene una riduzione dei doveri originariamente imposti da Allah ai fedeli.

In un ambito non più iniziatico, ma letterario, il viaggio fu il simbolo controculturale di un’intera generazione, la cosiddetta beat-generation, che a cavallo tra gli anni sessanta e settanta sognava la fuga da un mondo inaridito e consumistico verso sconfinati spazi e praterie del possibile: On the road di Kerouac è il manifesto-icona di quella aspirazione ad una universale libertà dei costumi e delle genti, che oggi, trent’anni dopo, non può non farci sorridere, intrisa com’era di una vuota e ingenua retorica anarcoide completamente priva di una qualsiasi teorizzazione concettuale.

Nella nostra cultura, un’altra figura di viaggiatore leggendario è naturalmente Ulisse, e anche di questo mitico eroe si sono fornite interpretazioni molteplici e variate chiavi di lettura sul significato del suo viaggio. Ci limiteremo, per ragioni di spazio, alle due più celebri e contrastanti fra di loro: quella della scuola di Francoforte e quella di James Yoice.

Nella Dialettica dell’illuminismo, Horkheimer e Adorno vedono in Odisseo il simbolo dell’infanzia dell’umanità, che nel suo viaggio si forma come soggetto razionale, contrapponendosi alla natura, e dominandola. Odisseo compie un viaggio per mare, che nella psicanalisi è il simbolo dell’inconscio, combattendo e sconfiggendo in varie tappe del suo peregrinare, mostri, ciclopi, creature fantastiche, dei. Egli è soverchiato dalla potenza di questi terribili avversari, ciò nondimeno egli riesce a vincerli con la sottile arma dell’astuzia: è il trionfo del logos sulla forza del Mito.

L’errare di Odisseo diventa quindi la simbolica celebrazione del primo trionfo della razionalità appena formatasi nella sua vittoriosa lotta contro le creature del Mito. Alla fine del viaggio l’uomo ha sconfitto la paura irrazionale della natura, adesso non più scrigno segreto di orrori e magie, ma nuova terra di conquista da parte del logocentrismo occidentale.

Proponendo una lettura del viaggio omerico assolutamente antitetica, James Yoice incorona, come Horkheimer e Adorno, Ulisse a simbolo della modernità, ma al contrario dei francofortesi inscrive in esso la cifra della dissoluzione contemporanea della soggettività, in quanto vede nelle peripezie del nostro eroe la deflagrazione della discorsività razionale nell’apoteosi dell’inconscio L’Ulisse diventa così il tragicomico racconto di una giornata interminabile di un ebreo irlandese Leopold Bloom a spasso per Dublino, nel cui inconscio è come se risuonassero tutti i rumori, gli strepiti, le grida della città e i pensieri e le percezioni della gente che incontra e non incontra Yoice con l’aiuto di tecniche innovative mutuate dalla psicanalisi come lo Stream of Consciousness, riesce a descrivere la perdita dello spessore di senso dell’esistenza contemporanea e la crisi spirituale del soggetto moderno aggredito dal frastuono nichilista e dal caos di un mondo privo di un senso, di una direzione , di un Dio.

Abbiamo quindi due paradigmi antonimici del viaggio dell’eroe omerico, il primo celebra il trionfo della nascente razionalità moderna, il secondo la sua dissoluzione e decostruzione. Un altro autore la cui opera è indissolubilmente legata all’idea del viaggio, come allegoria di libertà mentale e confronto - incontro con l’Altro è Bruce Chatwin.

Nei suoi libri vi è un’originale commistione e con - fusione di resoconti di viaggi, elementi autobiografici, creazioni letterarie, racconti storici, fantasticherie. Il reale si mescola con il fantastico e l’atto dell’esplorazione fisica si confonde e si annulla con l’esperienza del vagabondaggio mentale. Chatwin è alla perenne ricerca di terre lontane e inesplorate, agli antipodi della civiltà moderna, perché incontrare l’Altro non significa ricondurlo nella cerchia rassicurante della propria tautologica identità, operare un movimento interno di rassicurante rafforzamento ed esclusione del diverso, come se il riconoscimento dell’inferiorità apparente dell’esotico garantisse la forte certezza etnocentrica dell’identità occidentale. l’Io del viaggiatore proprio dal confronto con l’Altro trae un motivo di arricchimento della soggettività, non più arroccata in una massiccia ma sterile difesa della propria logica identitaria.

Ma proprio perché volta ad una dialettica infinita con l’Altro, tesa ad assimilare ciò che nel diverso permette di potenziare l’identico, rispettandolo come tale, senza pretendere di annullarlo o di soffocarlo in un Aufhebung hegeliano.

Il viaggio diventa quindi con Chatwin allegoria di un’esplorazione spirituale e ci permette di chiudere la nostra carrellata sui cantori del vagabondaggio intellettuale con un rapido cenno alla psicanalisi del profondo junghiana.

Jung fu .un grande studioso di esoterismo, astrologia, alchimia, occultismo e mitologia: ovviamente in una prospettiva psicoanalitica e non tradizionale. Nella esperienza mistica ed esoterica che Jung cataloga come "religiosa", è celato in realtà il tentativo di mediare conscio ed inconscio, Io ed Es, di realizzare l’unità androgina ed archetipica. Nell’ideale alchemico della congiunzione e della trasformazione degli elementi egli ha riconosciuto una dinamica analoga a quella del processo di individuazione, ovvero alla formazione e al divenire del Sé. Il tentativo di realizzare e riconoscere l’identità tra microcosmo e macrocosmo altro non è che la proiezione simbolica della ricerca di una ricomposizione del conflitto e della scissione tra Io ed Es. È il principio d’individuazione che attiene al divenire del Sé, ed in questo senso è la riproposizione demitizzata di quel processo che la letteratura e la mitologia hanno simbolicamente indicato nel viaggio come allegoria di una ricerca d’unità e sintesi psichica.

Il viaggio, quindi, secondo la lettura junghiana, è la ricerca di radici e identità. Ma nel viaggio, in realtà, l’Io è L’Altro.

L’essenza del viaggio è trovare il Sé, ma come Altro. Questo ci ricollega con l’assunto dal quale siamo partiti, quando abbiamo indicato nella figura del viandante la metafora della crisi contemporanea, crisi - che non si dimentichi - ha il suo Moloch trionfante nella tecnica.. Ora se il viandante è l’emblema dell’estraneamento nichilistico, esso in qualche misura, ne è anche la cifra del suo tentativo di superamento.

Il girovagare del viandante inscrive la sua traccia nel sogno umanistico di un neo-ecumenismo culturale, ma questa nuova sintesi non può avverarsi senza abbandonare la propria identità solipsistica per incontrare l’Altro. Solo dal confronto e incontro con il Totalmente Altro, con il Diverso, si può superare l’impasse spirituale e costruire una nuova identità, una nuova cultura.

Questo significa avvicinarsi a tutto ciò che è stato rimosso dalla cultura occidentale, aprirsi all’esplorazione di quei margini che costituiscono il Fuori dell’apparato tecnologico, cercare nuove forme e nuove vie.

Ma a differenza dello sterile pensiero utopico di matrice controculturale, l’apertura deve essere realizzata senza rinunciare al tentativo di una forte teorizzazione culturale che può trovare la sua giustificazione solo in un’autentica bildung.

È un andare verso l’Altro senza coltivare intenti coercitivi sul suo annullamento, sulla soppressione dell’eterogeneità, ma neanche dissolvendosi nella sua estraneità, liquidando l’identità collettiva nell’orrore di un ibridismo polìfilo denominato new-age, il cui livellante assecondare le capacità medie delle folle finisce per essere una nuova forma di massificazione, a discapito di ogni vera apertura sincretistica.  

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli
Nietzsche, Opere complete ( a cura di G. Colli e M. Montinari) Adelphi
Hesse, Il lupo della steppa, Mondadori.
Hesse, Siddharta, Adelphi
Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, Mondadori
Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia
De Places, Platonismo e tradizione cristiana, Celuc
Filippani - Ronconi, Upanisad antiche e medie, Bollati Boringhieri
Duyvendak, A Chinese " Divina Commedia", Leiden
Eliade, Lo sciamanismo, ed. Mediterranee.
Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri.
Kerouac, On the road, Mondadori
Horkheimer, Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi
Yoice, Ulisse, Mondadori
Chatwin, In Patagonia, Adelphi
Jung, Opere, Boringhieri.


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