Di ciò di cui non si può parlare si tace. - Ludwig Wittgenstein

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ECONOMIA CONSAPEVOLE
Etica e spiritualità per una nuova
economia consapevole e sostenibile
ECONOMIA CONSAPEVOLE
DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO
L'ETICA E' INSUFFICIENTE

DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO<BR>L'ETICA  E' INSUFFICIENTE
Raoul Vaneigem
Di fronte al feticismo del denaro, l'etica, necessaria quanto si vuole, è insufficiente. Sperare di moralizzare gli affari é vano quanto incitare ad una maggior igiene chi vive su un cumulo di spazzatura. Niente, in compenso, é più apprezzabile della libertà di parola concessa a tutti affinché una fioritura di idee nuove presieda alla ricostruzione dell'esistenza individuale e della società in un momento in cui un sistema fondato sulla ricerca esclusiva del denaro che rovina i
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LA SERENITA' INTERIORE
Plutarco

Gli insensati disprezzano e trascurano
perfino i beni di cui dispongono
perché con il pensiero
sono perennemente protesi verso il futuro
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
1. Sono comprese nella definizione di altra economia, intesa come diversa e alternativa a quella oggi dominante, tutte le attività economiche che non perseguono le finalità del sistema economico di natura capitalistica e di ispirazione liberista o neo liberista. In particolare sono da essa rifiutati gli obiettivi di crescita, di sviluppo e di espansione illimitati, il perseguimento del profitto ad ogni costo, l’utilizzazione delle persone da parte dei meccanismi economici e nel solo interesse di altre persone, il mancato rispetto dei diritti umani, della natura e delle sue esigenze di riproduzione delle risorse.
2. Le attività di altra economia perseguono il soddisfacimento delle necessità fondamentali e il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone, sono dirette all’affermazione di principi di solidarietà e di giustizia, hanno come finalità primaria la valorizzazione delle capacità di tutti. Sono comprese in questa definizione anche le attività che prevedono la parziale o graduale uscita dal sistema economico dominante e le sperimentazioni di stili e modelli completamente nuovi di vita sociale, di
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IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?
IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?

di Maurizio Di Gregorio

Tutti gli insegnamenti spirituali hanno sempre riconosciuto che qualsiasi uomo non deve lavorare solo per tenersi in vita ma anche per tendere verso la perfezione. Per i bisogni materiali sono necessari vari beni e servizi che non potrebbero esistere senza il lavoro dell’uomo, per perfezionarsi però l’uomo ha bisogno di una attività dotata di senso che magari anche attraverso l’affronto e la soluzione delle difficoltà gli permetta di esprimersi, di”trovarsi”, di realizzare un opera con cui si senta in armonia e che gli permetta anche un rapporto armonico con la società e con tutto l’universo. Per Schumacher i fini del lavoro umano sono: 1) provvedere a fornire i beni necessari ed utili; 2) permettere a ciascuno di utilizzare e di perfezionare i propri doni e talenti, come buoni amministratori di se stessi; 3) Agire al servizio degli altri per liberarci del nostro egocentrismo ...Continua...
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO


di E.F. Schumacher

Il nostro "ambiente", si potrebbe dire, è l'Universo meno noi stessi. Se oggi sentiamo che non tutto è in ordine con l'ambiente, al punto che richiede la protezione del suo Segretario di Stato, il problema non riguarda l'Universo come tale, ma il nostro impatto su di esso. Questo impatto sembra produrre, troppo spesso, due effetti deleteri: la distruzione della bellezza naturale, che è sufficiente già di per sé, e la distruzione di ciò che viene chiamato "equilibrio ecologico", o la salute e il potere di sostenere la vita della biosfera, che è anche peggio. Qui farò riferimento solo al secondo punto, e cioè ciò che stiamo facendo al pianeta. Chi è "noi" in questo contesto? E' la "gente-in-generale"? E' la popolazione mondiale? Sono tutti e nessuno? No, non sono tutti e nessuno. La grande maggioranza delle persone, anche oggi, vive in un modo che non danneggia seriamente la biosfera o esaurisce il dono delle risorse naturali.
Queste sono le persone che vivono in culture tradizionali. In genere ci riferiamo a loro come ai poveri del mondo, perché conosciamo di più la loro povertà piuttosto che la loro cultura. Molti diventano anche più poveri nel senso che perdono il loro capitale più prezioso, cioè la loro tradizione culturale, in rapida disintegrazione. In alcuni casi uno potrebbe a ben diritto affermare che diventano più poveri mentre diventano un po' più ricchi. Mentre abbandonano i loro stili di vita tradizionali e adottano quelli del moderno occidente, possono anche avere un crescente impatto dannoso sull'ambiente.
Resta il fatto, tuttavia, che non è la gran parte della popolazione povera a mettere a rischio la Navicella Spaziale Pianeta ma il relativamente esiguo numero di ricchi. La minaccia all'ambiente, e in particolare alle risorse e alla biosfera, deriva dallo stile di vita delle società ricche e non da quello dei poveri. Anche nelle società povere troviamo alcuni ricchi e finché questi aderiranno alla loro tradizione culturale fanno poco danno, o non lo arrecano affatto. È solo quando vengono "occidentalizzati" che scaturisce il danno all'ambiente. Ciò dimostra che il problema è alquanto complicato. Non è semplicemente questione di ricchi o poveri – i ricchi fanno danni e i poveri no. È una questione di stili di vita. Un americano povero può fare molti più danni ecologici di un asiatico ricco. Continua...

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P.I.L. (Prodotto Interno Lordo) VERDE DALLA CINA


Luigi Lazzarini

Mentre l'Europa in crisi si dibatte per rincorrere i numeri del prodotto interno lordo i cinesi pensano ad un PIL verde. Impronta ecologica e altri modi di vedere l'economia...
Lo Shaanxi è la prima provincia cinese a calcolare il suo "prodotto interno lordo verde", riferisce il Financial Times del 19 agosto 04. La notizia è sorprendente e riflette un dato di fatto incontrovertibile: la Cina è, per molti aspetti, sull'orlo del collasso ambientale ed i dirigenti di Pechino ne sono ormai consapevoli. Le cause sono diverse: l'uso prevalente del carbone, come combustibile urbano e per le centrali elettriche, il boom di consumi di prodotti difficilmente riciclabili. Alla periferia di Shanghai si sono accumulate discariche di 100 mila tonnellate di computer e frigoriferi, condizionatori d´aria e telefonini, i rifiuti del nuovo benessere cinese. E poi, naturalmente, la causa prevalente dell´inquinamento urbano, su tutto il globo: l´automobile.

La motorizzazione di massa procede inesorabile, in un paese dove le dimensioni del fenomeno fanno impallidire qualunque paragone. Un dato sintetico per chiarire l'idea: la Cina ha 16 tra le 20 città più inquinate del pianeta (fonte Banca Mondiale).
La notizia rimbalza su Repubblica e, a fine settembre, Federico Rampini ci racconta che, con il via libera del governo centrale, sei tra regioni e province che includono grandi aree metropolitane (Pechino, Shanghai, il Guangdong, Jilin, Shaanxi) cominciano a raccogliere le statistiche del loro reddito sottraendo il costo delle distruzioni ambientali. E' il "PIL verde", difeso dal ministro dell´Ambiente Pan Yue. L´esperimento è assistito dagli economisti dell´Accademia delle scienze sociali di Pechino, che hanno già svalutato di un terzo il PIL dello Shanxi, a causa dei danni provocati alle risorse naturali.

L'uso di questo parametro permetterebbe di difendere l'ambiente, ma si potrebbe rivelare un toccasana anche per le tasche dei cinesi, si calcola infatti che l´insieme delle devastazioni ambientali ammontano al 12% del PIL cinese, 170 miliardi di dollari all´anno. Il "PIL verde" dovrebbe servire a cambiare la cultura della crescita economica, incorporando finalmente anche la qualità dello sviluppo.

Ma facciamo un passo indietro, utile a capire meglio di cosa stiamo parlando. Il PIL è nato per fornire un indicatore delle prestazioni di un'economia nel corso del tempo. Pur essendo sempre stato chiaro che si trattava di un indicatore grossolano, esso è a poco a poco diventato il metro di misura unico con cui i Paesi si confrontano fra di loro ed in base a cui giudicano i risultati, anno dopo anno, delle proprie economie.

Ogni mattina, con crescente apprensione, leggiamo bollettini di guerra come: "Il PIL quest'anno crescerà solo dello 0,8%", "Se il PIL non cresce almeno del 2,5%, si perderanno migliaia di posti di lavoro". Insomma leggendo i giornali ci sembra proprio che il nostro benessere dipenda essenzialmente dal fatto che il PIL cresca il più possibile (in Cina il PIL cresce di circa il 10% l'anno...).

Ma quali sono i limiti del PIL?
Consultiamo un manuale di economia che tiene conto delle problematiche ambientali: "Per un'economia ecologica" di Mercedes Bresso. Il primo difetto del PIL è che misura tutte le attività economiche che implicano una transazione monetaria, trascura cioè tutte le attività che non hanno un riscontro monetario, come la produzione di beni e servizi all'interno delle famiglie, la cura dei malati, la custodia dei bambini. Da questo deriva il paradosso che, quando uno ha un cancro il PIL cresce, ma solo se va in ospedale; così per la cura dei bambini, "vale" solo se vanno all'asilo e si paga per loro il servizio. E' ovvio che questo metodo premia tutto quello che va verso un economia di mercato, dove ogni azione umana viene monetizzata e fa sembrare più "arretrati" i paesi dove questa è poco sviluppata.

Il secondo grande difetto del PIL è quello di non contabilizzare i servizi forniti dall'ambiente, ma soltanto le riparazioni dei danni, perchè queste generano attività economica. Per cui, inquinare e depurare sembrano produrre maggiore ricchezza di un comportamento rispettoso che non produca danni all'ambiente. Va considerata infine la questione del capitale: dal prodotto lordo vanno sottratti gli ammortamenti dei beni capitali che servono ad assicurare la loro ricostituzione. Nell'uso del capitale naturale, come l'estrazione di minerale da una miniera oppure il taglio di una foresta centenaria, tutto fa brodo. E' prodotto netto, che va ad aumentare il PIL, ma non si tiene in nessun conto la diminuzione del valore dei beni della natura e dei danni provocati.

Da queste considerazioni parte la critica al tradizionale metodo di calcolo del PIL, tenendo conto anche del fatto che, nell'agenda ONU, fin dall'Earth Summit di Rio del 1992, c'è il concetto di sviluppo sostenibile: "lo sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le loro necessità" (Rapporto Brutland 1987).
Ecco quindi la necessità di nuovi metodi, meno rozzi del PIL. Uno di questi è appunto il PIL verde, l'uso del quale incontra però numerose difficoltà, nel calcolare con precisione i costi ambientali.

Ci sono, tuttavia altri indicatori, che si pongono sempre nell'ottica di superare il PIL a partire dal PIL stesso e cercano di fornire informazioni, oltre che sulla sfera economica, anche su quella sociale e ambientale.
In ambito UNDP (United Nations Development Program) ad esempio troviamo l'indice di sviluppo umano (Human Development Index) che aggrega con peso identico, dopo opportuna elaborazione, tre variabili principali: il reddito pro-capite, la speranza di vita alla nascita e il tasso combinato di alfabetismo e scolarizzazione. Ispirato dal Nobel Amartya Sen, l'HDI ridimensiona il peso del PIL dando spazio ad altri elementi che influiscono sul benessere dell'uomo e che tentano di catturare, seppure sinteticamente, il ruolo svolto dalla libertà, così cara all'economista indiano.
Ma probabilmente, la formulazione più avanzata dello sforzo di superamento del PIL è il Genuine Progress Indicator (GPI). Proposto da Redefining Progress, è un indice ottenuto attraverso alcune correzioni del PIL.
In particolare, il GPI sottrae i costi sociali legati alla criminalità, ai divorzi, all'inquinamento e al deterioramento delle risorse naturali e aggiunge al prodotto interno lordo il valore del lavoro svolto all'interno della famiglia e del volontariato. Inoltre, il GPI prende in considerazione altri fattori, quali la distribuzione del reddito (maggiore l'equità più alto è il GPI), i servizi e i costi dei beni durevoli e delle infrastrutture, il capitale preso in prestito dall'estero, la disponibilità di tempo libero (maggiore il tempo libero più alto è il GPI). Con tale procedimento, il GPI si svincola dall'assunzione che a ogni transazione monetaria corrisponda un aumento del benessere.

Ribaltando il punto di vista e partendo dall'ecosistema invece che dalle attività umane, possiamo rappresentare qual'è il nostro impatto sul pianeta, con l'impronta ecologica, che è la quantità di natura che ci serve a soddisfare le nostre necessità. Questo indice si costruisce calcolando l'area territoriale appropriata necessaria pro capite per la produzione di ognuno dei principali elementi di consumo, quindi il cibo, l'abitazione, la mobilità, i beni che acquistiamo. Si mette poi in rapporto con la superficie di territorio che ognuno di noi ha a disposizione. Ne viene fuori che la quasi totalità dei paesi cosiddetti "sviluppati", hanno un deficit ecologico.
Tanto per fare un esempio: l'impronta ecologica di un abitante medio degli Stati Uniti è di 10,3 ettari, mentre il territorio pro capite disponibile è di 6,7 ettari, il che significa che la pressione sul territorio è eccessiva (+3.6). Anche prendendo in considerazione paesi che hanno standard di vita molto alti ed una bilancia dei pagamento positiva, come la Svizzera (+3,2) e il Giappone (+3,4), il discorso non cambia. L'Italia non fa eccezione (+2,9).

È certamente auspicabile un superamento del PIL attraverso l'uso di un indicatore non esclusivamente incentrato sulle transazioni economiche, più democratico, che tenga conto di altri aspetti rilevanti nelle nostre vite. Al di là dei notevoli problemi da superare, a cominciare dalla monetizzazione dei danni ambientali, rappresenterebbe una sorta di rivoluzione. La crescita del PIL sarebbe solo uno degli obiettivi a cui tendere e, nel farlo, occorrerebbe prestare attenzione anche all'ambito sociale e ambientale ed agli effetti che la crescita del PIL avrebbe sui di essi.

Il popolo cinese, erede di una grande civiltà, ci può forse insegnare qualcosa, sulla strada dello sviluppo sostenibile? Sicuramente chi inquina molto e ha grossi danni ambientali è spinto a risolvere i problemi prima degli altri. E il loro buon esempio forse può essere utile anche a noi.
Forse la ricetta migliore la proponeva qualche anno fa Ernst F.Schumacher che scrisse nel 1975 "Piccolo è bello", un libro oggi purtroppo dimenticato, da cui è tratta la frase che segue:
"Il nostro compito è guardare il mondo e vederlo intero. Occorre vivere più semplicemente per permettere agli altri semplicemente di vivere"

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Da Tra Terra e Cielo



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