Dove c'è amore, c'è visione.
Richard of St. Victor

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TU & IO
Incontro amicizia condivisione unione,
l'Amore e i suoi impedimenti
TU & IO
COME L'ALBERO DALLA TERRA
Come l'albero dalla terra
e dalla roccia l'acqua
dall'uomo l'amore
Danilo Dolci-1957
PER QUANTO STA IN TE
Kostantinos Kavafis

E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te:
non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole e in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balia del quotidiano gioco
balordo degli incontri e degli inviti
sino a farne una stucchevole estranea.
QUANDO AMI
AMI TUTTO IL MONDO

Cecilia Chailly
Quando ami, ami tutto il mondo. E non solo le persone, anche gli animali, le piante, gli oggetti. L'amore non può essere un gioco di potere, e forse neppure una relazione, perché é uno stato d'animo autonomo, che comprende tutto....
Devo accettare di amarti incondizionatamente, perché solo così posso vivere questo sentimento che altrimenti mi corrode come un acido.Voglio alimentarmi dell'amore che ho per te, é la carica della mia esistenza, la linfa della mia vita che altrimenti é spenta. Amando te amo il mondo. E vorrei che il mondo partecipasse alla gioia del mio amore, e non importa se é solo mio né se il tuo preferirai darlo a qualcun altro....

da "Era dell'Amore"
ONDA DELL'AMORE
Cecilia Chailly
Se é vero che c'è un destino, se é vero che il pensiero e quindi i sentimenti esistono e si trasmettono, come é possibile che tu trovi qualcuno che tu ami più di me?
Il mio amore é la mia forza, con esso posso superare tutte le gelosie, tutte le necessità. A me basta amarti. E amando te amerò anche me, e tutti quelli che mi circondano. E cercherò solo l'amore, solo nei luoghi e nelle persone che mi permetteranno di tornare a vivere col sorriso sempre aperto...E il tuo spirito sarà con me, nel cerchio che con gli altri formeremo, e gireremo insieme nella ruota dell'amore cosmico che per sempre ci circonderà.

da"Era dell'Amore"
Aver bisogno

Se tu fossi incerta
ti sarei da guida
Se fossi impaurita
ti farei coraggio.
Se fossi debole
ti rafforzerei.
Se fossi smarrita
ti condurrei per la via.
Se fossi minacciata
potrei difenderti.
Se fossi triste
suonerei una musica pura.

Da sola, sarei tuo compagno
se poi, ti sciogliessi in lacrime
potrei asciugarle
con i miei capelli
e ricomporre il tuo sentimento.
Se fossi disperata
potrei darti Luce.

Io, sono l’altra parte
quella che non si svela mai
estremo bagliore
del momento grave.
 
Misteriosa paura
ti tiene allo specchio.
Tu forse conosci dagli altri,
Così forte, sicura e invulnerabile,
l’amore che si riceve
e nulla sai ancora
della preziosa bellezza
dell’amor che si dà.

P.I. 30-06-2005
IMPEGNO E MATRIMONIO: QUANDO EROS E' UN MISTERO
IMPEGNO E MATRIMONIO: QUANDO EROS E' UN MISTERO di Stuart Sovatsky

Nel mondo erotico, i voti e le premesse sono al servizio delle possibilità e delle potenzialità che possono sbocciare nei momenti condivisi di suspense, e non delle certezze e delle aspettative preconcette. Come si colloca quindi l'impegno in queste acque eraclitee? Proviamo a contattare questo mondo nel suo punto più vulnerabile: la nostra paura dell'amore e del rapporto. Il profondo valore della scoperta della nostra inadeguatezza in questo modo di prendere reciproco impegno erotico non sta nello stimolarci a fare meglio la prossima volta. Questo atteggiamento si adatta unicamente ai contratti legali e commerciali, modelli che hanno preso il controllo del matrimonio, nella pratica e attraverso i loro ben regolati vocabolari. Ma applicare queste forme formalizzate di impegno al rapporto erotico può portare gravi distorsioni. Similmente la psicologia popolare trasforma l'impegno in qualcosa “a cui lavorare”. È diventato un cerchio in cui uno dei due partner cerca di far saltare l'altro (o se stesso). Ma, nel mondo dell'eros-mistero, l'impegno non può essere un contratto, un'aspettativa di stabilità o un segno di “progresso” del rapporto.
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I FONDAMENTI DELLA MASCHILITA'


Siamo qui per parlare di Altro come sempre quando si è tra maschi: per parlare dei maschi i maschi parlano di Altro. Parlano di america, parlano di materia, parlano di spirito, parlano di inconscio, parlano di vita, parlano di scienza, parlano di arte, parlano di Dio, parlano di amore, parlano di donne. Ma parlano di Altro

Siamo qui per fare Altro come sempre hanno fatto e fanno i maschi quando sono insieme: per fare la caccia, per fare città, per fare intere civiltà, per fare la storia, per fare la scienza, per fare la tecnica, per fare la strada delle stelle, per fare figli numerosi come le stelle del cielo, per fare patti con Dio. Ma fanno sempre Altro.

Parliamo di niente, facciamo niente, le donne dicono di noi quando parlano di noi. Ma non possono parlare di noi. Se parlano di noi ci perdono: parlano di se stesse. Infatti noi parliamo di Altro, facciamo Altro, perché siamo Altro.

Non abbiamo potuto tornare sull’identificazione primaria, come le fortunatissime femmine: abbiamo abbandonato la Terra madre per la paternità dello Spazio profondo, inquietante, ma affascinante, infinitamente ospitale ma anche ostile, luminosissimo a chi intercetta la luce ma anche assolutamente oscuro, implacabile nell’esigere il rispetto delle regole di sopravvivenza ma senza limiti nel donare libertà, dignità e senso. E per chi accetta la fatica e il dolore del viaggio nell’ignoto, amore paterno, senza limiti, illimitata intimità d’amore e sostegno. Dalla madre al padre, dall’Identico a se all’Altro.

Gli uomini devono diventare Altro per diventare se stessi. Le donne devono tornare a se stesse, all’Identico, per essere donne. Non ci capiranno mai, ci desidereranno sempre e ci ameranno in maniera struggente. O ci odieranno di un odio senza limiti e senza fondo se le possiederà l’invidia. Non hanno che una strada: accoglierci o perderanno i maschi e si perderanno. Siamo Altro, esperti di Altro, facitori di Altro.

Siamo qui per amore di Altro: come sempre i maschi quando amano, amano l’Altro, ciò che è diverso da sé, ciò che ancora non hanno, ciò che è mistero, ciò che si fa raggiungere ma è nascosto, ciò che è lontanissimo o vicinissimo, come una galassia lontana, come Dio, come la donna, come il proprio Altro. Ma amano sempre Altro.

Sempre di Altro si tratta quando si tratta di maschi. Che ci buttiamo nelle profondità dello spazio, che sprofondiamo nel mistero della nostra mente, nell’infinito della nostra anima, è Altro che ci attende, è Altro che cerchiamo. Altro: il più profondo di noi stessi.

Non possiamo che indicarci l’ Altro, oggi, con pochissime parole, con un modestissimo fare come la semplice nostra presenza a questa riunione di cui non possiamo non esserci reciprocamente grati. Indicare quello che possiamo raggiungere e non ha limiti e che dobbiamo raggiungere e che ancora non conosciamo, ma è il futuro della vita di tutti, delle donne per prime.Ce lo dobbiamo dire, per non perderci, perché senza Altro non consistiamo. E l’Identico o ci accoglie o ci perde.

Non temiamo dunque, perché l’Altro ci fonda e, quando camminiamo da soli, ricordiamoci del racconto sapienziale che svela come le impronte che vediamo alle nostre spalle, non sono le nostre ma di un Altro che ci porta sulle braccia.

La distanza
L’attitudine maschile al distacco, la capacità spontanea di tenersi lontani dalla sfera dei sentimenti e dalla vita privata altrui (e perciò dal nucleo intimo dell'altrui esperienza) vengono dipinte come espressioni di disinteresse e freddezza e contrapposte alla celebrata empatia femminile la quale rappresenterebbe la forma canonica del rapporto con gli altri.

Ciò ad onta del fatto che ciascuno di noi sente pienamente tutto il valore della discrezione e del pudore altrui nei nostri confronti e la nobiltà di quel fermarsi sui confini della nostra sfera psicoemotiva. Ognuno di noi apprezza la sensibilità di colui che non rende pubbliche (e non confida neppure ai suoi intimi amici) cose che sa di noi e che non vogliamo vengano diffuse. Più ancora quella di colui che mentre le vede non le guarda, mentre le sente non le ascolta. E non solo sul versante del male, anche su quello del bene.

La Distanza è una forma di tenerezza ed appartiene alla polarità maschile nel senso che la natura ha assegnato agli uomini il compito di manifestarla e renderla viva, operante e feconda nei rapporti sociali.

Quella Distanza, quel ritrarsi di fronte all'intimità altrui è la sensibilità del floricoltore che dissoda, concima ed interviene sul terreno attorno al fusto della pianta e diventa sempre più prudente man mano che si avvicina ai petali ed al cuore del fiore, finché si accosta a quella parte che non può e non deve essere toccata. Ed egli non la tocca. Sa che vi è una parte sacra nelle sue piantine dalla quale deve tenersi lontano.

Si sa che gli animali selvatici spesso abbandonano i loro nati quando avvertono (sentono) che sono stati toccati da un essere umano. Il significato di questo fatto è chiarissimo: vi è un nucleo intangibile nella sfera vitale di ogni essere vivente, violato il quale è contaminata la creatura. Non è esagerato vedere nella necessità di questo rispetto l'affiorare di un’esigenza metafisica dal momento che tanto il Dio dei credenti quanto il Caso dei dubitanti non si prendono cura degli umani contaminandoli, ma lasciando loro lo spazio nel quale gestiscono il loro destino e vivono la loro interiorità. Nell’altro vi è qualcosa di inattingibile che e per me deve restare misterioso.

La Distanza, che può estremizzarsi e diventare indifferenza e gelo, è però l’antidoto all'indiscrezione femminile che è in realtà la tracimazione (l'eccesso) di un'altra pulsione, positiva, quella della relazione empatica, della cura diretta e del contatto, attitudine a sua volta necessaria ed espressione di altra forma di tenerezza. Ma la diversa natura di un male presuppone una diversità nella natura e nelle forme del bene. La Distanza appartiene agli uomini che ne sono il veicolo della realizzazione storico-sociale. La Distanza è necessaria.

La frugalità
Dalla concezione/percezione del proprio corpo come strumento e non come fine, scaturisce una cascata di sorprendenti conseguenze che si riverberano in tutti gli aspetti dell’esperienza maschile e che segnano l’azione degli uomini fin nei dettagli. La frugalità è una di queste. Nasce dall’intuizione che i beni materiali in tanto valgono in quanto si prestano alla realizzazione di un fine, in quanto - al pari del corpo - sono essenzialmente strumenti per l’esecuzione di un compito.

E’ maschile l’intuizione che ogni oggetto che avviciniamo ha una doppia valenza: a fronte della sua utilità - possibile - sta sempre il costo sicuro della sua presenza. Esso è infatti immediatamente e necessariamente un peso, un intralcio, mentre la sua utilità è solo un frutto possibile ed eventuale. Il prezzo che si paga è certo e persistente, il vantaggio, ancorché talvolta decisivo, circoscritto e localizzato.

Chi muove verso una conquista, un’impresa, una realizzazione, porta con sé lo stretto indispensabile, perché il resto è fin da subito fardello e zavorra ed è preferibile mancare di un qualche oggetto in particolari momenti che esserne costantemente frenati e impediti. Gravati fisicamente e - quel che è peggio - appesantiti e distratti nella mente.

Di qui la prudenza con la quale il maschio incorrotto si avvicina agli oggetti e la moderazione con la quale li fa suoi. L’approccio spartano alle cose, ecco una qualità specifica del maschile. La sua pratica è essenzialità, sobrietà e misura. Parsimonia, moderazione, temperanza. Pudore.

Frugalità dunque, perla della maschilità, virtù lodata sotto tutti i cieli. Ma se così è sempre stato, mi si indichi un’epoca nella quale essa abbia avuto un valore più grande di oggi. Una valenza di maggior portata.

Mai è esistita stagione in cui del suo esercizio vi sia stato bisogno più grande, urgente, quanto nell’era dello scialo universale, dello spreco come sistema. L’era del Dio-Consumo. Qui, dove il saccheggio del pianeta è preliminare all’espandersi, al crescere, al dilagare delle discariche. Qui, dove infiniti orpelli dalla vita sempre più effimera occupano da padroni le nostre case, intralciano la vita, ingombrano la mente.

Davvero non può sfuggire il carattere rivoluzionario, letteralmente eversivo del suo sperato esercizio a livello di massa. La Terra che soffoca sotto l’immane sporcizia del consumo smisurato, aspetta da questa virtù maschile la sua salvezza. E la nostra mente sogna libertà e lindore da quel che la imbratta e la degrada.

Il XXI° secolo ci intima di erigere un monumento interiore a questa Virtù Capitale, ci ordina di diventarne adepti fanatici. E’ diventata promessa e pegno di sopravvivenza. La frugalità che da sempre ci nobilita, oggi ci salva. La frugalità è necessaria.

Il maschio e il dono di sé
Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco. Il dono maschile non è buonismo, non è corrispondere ad aspettative altrui, non è autogratificazione narcisistica. Sfido chiunque a sostenere che un uomo che si getta nel mare in tempesta o affronta il fuoco per trarre in salvo una donna o un bambino lo faccia per narcisismo o per sentirsi buono. Lo fa e basta, senza calcolare le conseguenze (altrimenti non lo farebbe). Non si interroga, prima di agire, se stia facendo un dono o no. Questo non sarebbe già più un dono ma un’azione ragionata. Un uomo lo fa perché sente (sente, non sa), che è conforme alla sua natura.

In questo senso il dono è manifestazione di energia libidica che il maschio riversa nella comunità in cui vive, è eccedenza, è “lusso”. Di questa attitudine maschile esistono esempi nel tempo e nello spazio non a migliaia, ma a milioni. Ne ricordo solo due per tutti.

I vigili del fuoco di Cernobyl che entrarono nel reattore nucleare in fiamme, consapevoli che l’unica loro ricompensa sarebbe stata la morte, e quelli delle Twin Towers che salvarono vite su vite a prezzo delle proprie. Ho fatto questi due esempi non casualmente. L’uno avvenne nell’Unione Sovietica comunista, l’altro nel cuore del capitalismo, a dimostrazione che essere maschi non dipende dall’ideologia o dalle strutture sociali in cui si vive, ma è qualcosa di originario, archetipico, che nasce da dentro e vive dentro il maschio.

Ed è anche ciò che lo caratterizza e differenzia dalla femmina, la quale si distingue piuttosto per la protettività verso la prole. Una femmina si sacrifica per suo figlio, un maschio anche per i figli altrui. In questa differenza attitudinale si ripropone, d’altronde, la differenza inscritta nei corpi. L’energia fallica maschile è proiettata verso l’esterno, l’energia femminile verso l’interno.

Non sempre i singoli individui corrispondono pienamente ai caratteri specifici del proprio genere, e non si tratta di compilare pagelle di “istinto donativo” maschile (o femminile), perché tanti sono i fattori, personali, sociali, culturali, che influiscono e spingono il maschio o la femmina a vivere secondo le proprie ancestrali pulsioni o a contraddirle, ed ogni giudizio sui singoli finirebbe per scadere in moralismo a buon mercato.

E’ però innegabile che l’insieme di pulsioni, istinti, percezioni del mondo e delle cose, connotino una profonda diversità fra uomini e donne. Sono convinto che questa diversità sia un valore prezioso da conservare ad ogni costo, e dunque contro tutte le concezioni che prescindono dalle differenze di genere, le giudicano negative e comunque superate o superabili.

Fermo il rispetto per la sfera esistenziale di ciascuno, è però vero che quando parliamo dell’esistenza di una Questione Maschile, diamo per implicito che esista qualcosa che accomuna tutti gli uomini al di là della struttura corporea. Ed è altrettanto implicito che stiamo vivendo un tempo in cui percepiamo che il valore degli uomini non solo non è riconosciuto, ma è anzi azzerato o addirittura disprezzato.

Riscoprirlo, imporlo come diritto ad esistere in quanto maschi è uno dei compiti (titanici) che si sono dati i movimenti degli uomini. Ma credo anche che saremo destinati alla sconfitta se prima di imporlo all’esterno, gli uomini non lo avranno riscoperto dentro se stessi, per se stessi, ossia se non percepiranno di “valere”. E questa percezione non può esserci a livello profondo se l’uomo non sente di vivere secondo la propria natura di maschio, di cui il dono di sé, o in altri termini la sua proiezione verso il bene e la difesa della comunità, è parte integrante. Certo, si può credersi soddisfatti anche vivendo secondo i canoni culturali oggi dominanti, ma si tratta di illusione destinata a cadere, prima o poi. E soprattutto non è questa, secondo me, la strada perché il valore maschile sia di nuovo riconosciuto anche socialmente.

In certo senso si può dire che il maschio è “condannato”, se vuole essere in sintonia con se stesso, a sentirsi investito della responsabilità del bene della comunità in cui vive, e quindi anche delle donne. D’altronde questa condanna vale, per altri aspetti, anche per loro. La nostra polemica col femminismo che disprezza, colpevolizza, e vuole azzerare gli uomini non potrebbe essere più dura e ferma. Ma sappiamo anche che quando avesse ottenuto i suoi scopi, ciò non farebbe la felicità del genere femminile, ma solo quella, peraltro effimera, delle sue leaders. Un solo esempio, ma molti altri se ne potrebbero fare: di fronte a centinaia di migliaia di aborti, le donne non possono non percepire, magari in modo confuso e contraddittorio, che si tratta di un male oscuro che erode il proprio valore prima di tutto di fronte a se stesse, e destinato a renderle infelici perché contraddice la loro pulsione alla maternità.

E’ la follia della nostra epoca, che spinge uomini e donne a vivere“contro natura” e avvelena i rapporti fra i generi.

L'energia  e la sorgente
Esiste, sempre, la sorgente. La sorgente dell’energia maschile, dell’energia dello spirito maschile. Volevo dirvi questo, volevo dirvi che se vi incamminate la troverete: sorgente senza limiti di potenza, di energia, di consolazioni, di vita, di creatività, di pensiero. Volevo dirvi questo appunto. Sempre nella storia maschile di tutti i tempi c’è l’incontro con la sorgente: uno dei principali luoghi di culto e di pellegrinaggio della cristianità sorge su una sorgente ed è a Castel Sant’Angelo divenuto santuario di culto per l’Arcangelo Gabriele.

Personalmente mi ha colpito una formidabile sorgente con una portata d’acqua straordinaria che ho trovato nelle nostre Alpi. C’è un luogo interiore dove ognuno può trovare la propria sorgente: non so se coincide con l’amore del proprio padre, non so se il cammino per raggiungerla coincide con la lotta per strappare al proprio padre interiore amore e benedizione.

Sono forse entrambe le cose o entrambe le cose sono un’unica realtà di vita e benedizione. Ma chi si mette in cammino la trova, chi chiede l’amore e la benedizione del padre lo trova. Guardate è l’unica possibile fondazione di sé, non ce n’è un’altra.

Vi invito a questo cammino, vi invito a non temere fatiche e dolori in questa ricerca, troverete la sorgente, troverete l’amore e la benedizione del padre: sarete in grado di dissetare molti e proverete la gioia di consentire ad una donna di essere donna.

La strada per la donna infatti non ha come indirizzo la donna ma la propria interiorità maschile. Sembra un paradosso ma chi cerca la donna cercando in sé il femminile la perderà. Chi troverà la strada di sé come maschio troverà invece la donna.

Esattamente il contrario di quanto da decenni il femminismo ha preteso di insegnarci. Non sono i maschi pentiti che trovano la donna. Né le donne mai potranno indicarcela. Ma noi stessi e la nostra ricerca, noi che ci incamminiamo sulla strada già percorsa da tutti i maschi che hanno trovato dentro di sé la sorgente del maschile, la benedizione, l’amore del padre.

L’Altro: fondazione ontologica del maschile e del suo valore
C’è la naturale condizione dello stato dell’esperienza interiore del maschile, uno stato di natura maschile, o se volete la sua dimensione di figlio di Dio, o ancora una memoria genetica, o una struttura archetipica. Chiamatela come volete.

A mio avviso è il dono più grande che gli uomini e l’umanità abbiano ricevuto. Si tratta di quell’esperienza di sé che un maschio trova in se stesso, non costruisce, è fuori di ogni possibilità di costruzione volontaria umana: c’è, è data, fuori dello spazio tempo, è il non luogo presente in tutti i luoghi, il sempre presente in ogni istante del tempo.

E’ per tutti i maschi ed è tutti i maschi del mondo e di sempre e per sempre. E’ una forma specifica di interiorità ed una interiorità che ha una sostanza assolutamente specifica: ed è maschile, lo spirito maschile. E’ di ogni maschio e solo di ogni maschio. E’ un dono che ha ricevuto tuo padre e il padre di tuo padre, è un dono che il padre ti fa e può essere tuo padre carnale, o tuo padre spirituale, o il Padre del “Padre nostro”, o il padre che sei tu a te stesso.

Lo incontri sempre, profondissimo Tu virile, il tuo Tu maschile più profondo che ti precede prima di ogni esperienza, condizione di ogni esperibilità del reale, esperienza di pace e di forza, di sapienza e di intima amante vicinanza.

Sei tu, nel profondo, quello che incontri, sempre quando lo cerchi, nella quiete dell’animo, passaggio sicuro verso l’alterità del mondo, confidente amico che il mondo è per te, che puoi dare il nome alle cose, che puoi dare la tua costola perché Eva ci sia, che devi dare il nome alle cose, che devi dare la tua carne perché Eva ci sia al tuo fianco e con lei la continuità della vita.

Spirito maschile, interiorità maschile, il non luogo e il non tempo che ti insedia nella tua carne, la assume nella dimensione più profonda del tuo io, così che nella distinzione non ci possa essere separazione, non possa esistere l’una senza l’altro, il sesso senza interiorità, l’interiorità senza sesso.

Interiorità che è sessuata nella specificità del sesso maschile, sesso maschile che è sostanza dell’interiorità maschile: potenza e dono, dono e potenza, intelligenza e saggezza, saggezza e intelligenza, forza e carità, carità e forza, giustizia e misericordia, misericordia e giustizia, autorità e tenerezza, tenerezza e autorità, infinita lontananza e prossimità identitaria.

Struttura di assoluta compattezza e infinitamente articolata, che ti genera a te stesso e ti fa esperto della tua eternità, e ti rende consapevole del tuo limite, della tua individuazione. Sconfinata sapienza che contiene le regole, date una volta per tutte, tramite le quali la vita si dà.

Serenità e letizia che nasce dalla consapevolezza, consapevolezza che nasce dall’intimità con quest’altro che sei tu, che era tuo padre, come lo sono tutti i maschi, che sono tutti i tuoi fratelli e i tuoi padri che lungo le innumerevoli generazioni ti hanno preceduto, ti hanno costituito ed oggi ti accolgono. Possente, ricchissimo fiume che ha costituito la Storia, che fonda nei secoli a venire la Storia di tutti. Possente sorgente di vita che irrompe nella vita di chi la cerca e la trova e costituisce la vita: esperienza interiore del maschile.

Vi si entra come nel luogo più sacro, dopo che ti è stata conferita la forza e la sapienza e il potere che deriva dall’umiltà che sa porre la domanda. Chi si perde nell’amore del padre, qualunque nome di padre, soprattutto in nome del Padre, sa porre questa domanda.

Il silenzio
Non si può dire che oggi si abbiano molte occasioni per stare in silenzio. La maggior parte delle persone -specie se donne- non apprezza né cerca momenti di silenzio. Anzi, nelle rare occasioni in cui il turbinio della vita quotidiana si smorza, e vengono lasciati dei vuoti nella trama del nostro tempo perfettamente organizzato, ci si affretta a scacciare l’ospite indesiderato: ricorriamo a qualche apparecchio elettronico che ci “distrae” e ci “intrattiene”. Poi l’atteggiamento taciturno in genere non è visto molto bene: è inquietante, suggerisce tendenze asociali e misantropia, isolamento dal mondo, fino alla possibilità estrema dell’autismo.

Ma questo silenzio non è il solo possibile: esiste anche quello di chi si ferma a guardare le stelle o le onde nel mare, dell’artigiano che costruisce la sua opera, di chi legge un libro senza fretta sorseggiando una birra, o di chi raccoglie le sue forze e si prepara interiormente per una sfida. Questi silenzi non indicano il buio nella mente ma l’esatto contrario: la volontà di raggiungere una maggiore chiarezza di sguardo, di ascoltare le armoniche più sottili, il desiderio di vivere mettendo in gioco tutto il proprio essere.

E cosa è il contrario del silenzio? La chiacchiera. Che è femmina. Questo e un dato di fatto, tratto dall’esperienza comune di vita in tutte le epoche dell’umanità. Il gusto per la chiacchiera è femmina. E il gusto per il silenzio è maschio. Ognuno che abbia a fare con donne sa questo, e le donne stesse per prime… si tratta di osservazioni banali ma non superflue, dal momento che anche i più semplici ed evidenti dati dell’esperienza vengono chiamati “pregiudizi” ogni qualvolta non si conformano ai pregiudizi -questi sì- della cultura dominante.

Queste considerazioni cominciano a farci capire i motivi per cui, se vogliamo vivere pienamente la nostra identità di uomini, dobbiamo recuperare il silenzio, che questa società orientata in modo ginecocratico odia.

Che cosa è infatti tutta la società dello spettacolo e il circo dei mass-media se non un’immensa chiacchiera? Programmi televisivi 24 ore al giorno, centinaia di canali… l’importante è riempire ogni spazio, ogni momento. Anche con sciocchezze, come nei talk-show, espressione orribile ma onesta che esprime in modo trasparente la natura di tutto questo sistema. Ci si va per parlare -verbo intransitivo- non per dire qualcosa. Ciò di cui si parla non ha importanza. Ogni mezzo viene adoperato, quasi con accanimento, per evitare che uno rimanga da solo con se stesso: schermi e altoparlanti che ti propinano pubblicità e musichette dappertutto, nella metropolitana, per strada; libri usa e getta per un piccolo viaggio in treno… non dobbiamo essere mai costretti a un istante di raccoglimento, anzi veniamo incoraggiati a non farlo mai.

Questa mancanza di silenzio, questa atmosfera artificiale fatta di parole, immagini e mille voci che non dicono nulla, sarà anche congeniale alla donna moderna, ma per l’uomo è puro veleno.

Infatti è solo nel silenzio che l’uomo può fare una serie di cose essenziali per lui in quanto uomo. Interrogare sé stesso sulla coerenza tra la propria azione ed il proprio essere. Riflettere in modo che le sue parole e le sue opere siano espressione di una sovranità interiore, invece di essere schiavo di reazioni automatiche e umori cangianti. Mantenere il senso di sé in mezzo alle correnti caotiche di sensazioni, pulsioni e stati d’animo. Avere un atteggiamento di dignità e padronanza. Tutti questi sono ideali maschili validi ora come sempre. A prescindere dalla loro effettiva realizzazione nei casi concreti, condizionata da mille fattori.

Silenzio è infine misura e sobrietà nell’uso della parola, l’atteggiamento di chi adopera il linguaggio per trasmettere un concetto o un punto di vista, ma non come strumento per sedurre, affascinare o mettersi in mostra. Seduzione, fascino e vanità sono cose da donne; in loro stanno bene e le vogliamo. Ma non appartengono al nostro modo di essere.

La Rettitudine
Consideriamo la seguente situazione: un uomo in galera per un crimine che non ha commesso. Ancora parecchia condanna da scontare. Sa che, riconoscendosi colpevole, patteggiando, potrebbe ottenere una riduzione della pena, magari uscire prima in libertà vigilata. L’avvocato glielo consiglia, come pure diverse persone a lui vicine…deve pensare a continuare la sua vita ed uscire il prima possibile, anche a costo della piccola menzogna che il sistema giudiziario vuole da lui.

Ma egli non la ritiene affatto una “piccola menzogna” e rifiuta, testardamente e contro ogni buonsenso. E continua ad affermare la sua innocenza ed a rimanere in galera. Chi glielo fa fare? Potrebbe avere dei benefici pratici, tangibili, semplicemente firmando un pezzo di carta e rinunciando a ciò che in fondo è un’astrazione –la sua innocenza-, ma per quest’uomo quella firma è un prezzo troppo alto da pagare.

Questa storia ha un finale aperto…può finire con il riconoscimento dell’innocenza, col marcire in galera per lungo tempo, anche col troncamento della vita. Si tratta di una storia senza tempo perché ognuno di questi finali si è verificato e si verificherà innumerevole volte. E non c’è dubbio che molti uomini hanno scelto e scelgono questa via difficile. Certo non tutti –per non dire pochi- hanno la forza o la convinzione per arrivare a tanto. Non è il caso di biasimare quelli che cedono -ci mancherebbe-, perché c’è una vita da vivere ed il carcere non è bello. Ma esistono pure quelli che non cedono. Allargando lo sguardo, possiamo pensare a tutti gli uomini che hanno preferito la morte al disonore, hanno sacrificato il loro interesse materiale e anche la loro vita.

Questa è, nella sua forma più acuta e quindi più trasparente, la Rettitudine. Non si tratta dell’atteggiamento da “bravo ragazzo” che non da mai un dispiacere ai genitori e non fa mai niente di censurabile. Questa è soltanto la degenerazione in senso moralistico della vera Rettitudine. Che è semplicemente –lapalissianamente- seguire una linea retta, chiara, avere una coerenza di fronte a sé stesso prima ancora che di fronte agli altri. Un uomo Retto può anche essere un eretico o, al limite, persino un delinquente all’interno della società in cui gli tocca vivere, quindi agli antipodi del “bravo ragazzo”.

E perché è così importante seguire una linea, cosa che in fondo coincide con l’avere un’identità? perchè siamo su un piano in cui ogni cedimento per motivi inferiori, pratici, equivale ad una lesione dell’essere, una caduta di livello, un diventare meno uomo e più ombra. Come l’uomo che accetta una colpa che non è sua subisce una ferita che lo azzoppa interiormente. Appunto come vuole fare il femminismo colpevolizzando il genere maschile.

Volendo usare un immagine, quella della Rettitudine può essere il raggio laser, che è un fascio di luce coerente, in cui le fasi delle onde componenti non sono casuali come nella luce naturale ma sono armonizzate, allo stesso modo in cui l’ideale della Rettitudine e della Coerenza armonizza le molteplici tendenze e forze in noi. Il raggio laser in virtù della sua coerenza può fondere il metallo, penetrare le nebbie ed essere lanciato verso l’ignoto. Azione, Conoscenza, Esplorazione. Compiti maschili.

Trascendenza
Luce degli uomini e luce dagli uomini
La parola data a se stessi 

Una cosa che mi ha sempre riempito di ammirazione è l'esistenza di uomini che stanno in prigione per anni, talvolta per decenni pur di non confessare colpe che non hanno. Come nel caso di Parlanti che non volle riconoscersi colpevole. Per non dire di quelli che ci hanno rimesso la vita. Li elessi a modello sin dalla giovinezza, giurando a me stesso che anch'io avrei fatto come loro, pur temendo di non essere all'altezza del compito il giorno disgraziato in cui mi fosse accaduta simile sciagura e fossi stato messo alla prova.

Ricordo con invariato stupore, che giunge sino ai brividi, e con umiliata ammirazione quel che il Manzoni racconta nella "Storia della Colonna infame". Un giovane popolano, analfabeta e ignaro di tutto, viene coinvolto nelle accuse e ovviamente torturato. Alla promessa di aver salva la vita se confesserà il crimine mai compiuto, dice: "No, non tradirò la mia anima!". Lo impiccheranno.

C'è qualcosa di sovrumano in questo. Qualcosa di trascendente. Ci vollero alcune indicazioni di quel pazzo di Otto Weininger per fornirmi una prima spiegazione del come questo sia possibile. Sono cose da maschi queste, connesse e derivanti dal rapporto vitale che gli uomini hanno con la parola, con la parola data.Domandiamocelo apertamente: perché non venir meno alla parola data? Cosa c'è di male nel tradire la propria anima? Per quale motivo non mentire a se stessi?

Quando si sacrifica la vita per la parola data, non solo per le promesse fatte agli altri, ma a se stessi nella silenziosa interiorità, vuol dire che non si appartiene più alla dimensione materiale, allo spazio, al tempo.

Vuol dire che la vera condizione di esistenza è diventata la coerenza, la lealtà, al di fuori della quale non c'è più vita. Manca l'ossigeno. Vuol dire che conservarsi in vita nel tempo ma morti rispetto a quel rapporto essenziale, diventa privo di senso. Anzi un'onta. Un vegetare che rende indegno un uomo di fronte a se stesso. Vuol dire che si è passati ad un'altra dimensione.

Comunque la si voglia vedere, quella dimensione trascende la materia. Per questo, quando si dice Logos (la Parola, il Verbo) non si parla a vanvera. Il Logos non è un fantasma, è l'anima degli uomini. Perciò, giustamente, è stato scritto: "In principio fu il Logos e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio". Certo non tutti i maschi giungono a tanto, ma resta il fatto che queste sono davvero cose da uomini.

estratto dal sito www.uomini3000.it

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