Dove c'è amore, c'è visione.
Richard of St. Victor

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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DHARMA


di Paolo Quircio

La Bhagavad Gita, pur essendo uno degli scritti fondamentali della letteratura sacra della tradizione indiana, non è in realtà un testo a sé stante. I suoi settecento distici o sloka fanno parte di un testo ben più ampio, il Mahabharata, la storia della guerra di Kurukshetra. Lo scontro è il culmine di un lungo dissidio tra i  cinque Pandava, figli di Pandu, e i cento Kaurava, figli del fratello cieco di Pandu, Dhritarastra. La guerra si rende inevitabile vista l’indisponibilità dei Kaurava, guidati dal perfido Duryodhana, a restituire ai cugini la parte di regno che legittimamente spetta loro.

Dopo una lunga serie di episodi, l’intero poema consiste di quasi 100.000 sloka ed è considerato uno dei poemi epici più corposi della storia dell’umanità, si arriva quindi alla battaglia. I due eserciti si schierano uno di fronte all’altro e, prima di dare il segnale di inizio, il capo militare dei Pandava, Arjuna chiede al suo auriga Krishna, il dio Krishna, IX Avatar di Vishnu, di condurlo al centro dei due schieramenti, affinché possa vedere bene i nemici con cui sta per combattere. Lì Arjuna vede non solo i cugini, ma anche zii, maestri, parenti e amici.

L’idea della guerra fratricida, dell’eccidio che porterà distruzione e lutti a persone che egli ama e rispetta, lo turba a tal punto che, lasciando cadere il suo arco dalle mani, in preda ad un profondo abbattimento, comunica all’amico  Krishna che non ha nessuna intenzione di dare il via alla battaglia, né di combattere. Piuttosto che uccidere il suo stesso sangue, preferisce essere ucciso senza difendersi o vivere come un mendicante. Vedendo ciò, Krishna, che da amico diventa Maestro e assume la sua veste di Jagadguru, Maestro universale, poiché rivolgendosi ad Arjuna egli parla all’umanità intera, esorta l’amico e ora discepolo a non dimenticare il suo Dharma, il suo dovere, e combattere.

Utilizzando argomenti sia di natura umana che divina, Krishna spiega ad Arjuna tutti i motivi per cui non può astenersi dal farlo, senza farsi distrarre da quelli che la sua mente gli propone e che, pur apparendo giusti secondo la morale comune, sono in realtà contrari al Dharma. Per tutta la durata della Gita Krishna spiega spesso l’importanza del rispetto del Dharma, affrontando il problema da varie angolazioni. Ma poi, poco prima di concludere questa serie di discorsi, nell’ultimo capitolo, il XVIII, al verso 66, Krishna ci riserva una grossa sorpresa, e dice ad Arjuna: “Abbandonando tutti i Dharma, prendi rifugio esclusivamente in me; io eliminerò tutti i tuoi peccati, non temere.” Per capire questa apparente contraddizione dobbiamo quindi cercare di capire cos’è il Dharma e perché è così importante da giustificare tante spiegazioni da parte di un Maestro di tale livello.

Dharma è una parola che, come molte altre parole sanscrite, non ha un esatto corrispettivo nelle nostre lingue. Comunemente viene tradotta con ‘rettitudine’, ‘dovere’, ‘legge’ o ‘religione’. In realtà una sola parola non può esprimere la complessità del concetto. Dharma è ciò che ci conduce in alto nel nostro percorso spirituale e Adharma è, al contrario, ciò che ce ne allontana o che rallenta il nostro procedere. Occorre fare una precisazione: il percorso spirituale non riguarda solo chi lo ha intrapreso consapevolmente, solo gli Yogi o le persone religiose e i praticanti di varie discipline spirituali; il percorso spirituale è quel lunghissimo cammino che gli Atman percorrono, più o meno consapevolmente e comunque sempre secondo le leggi del Karma, per tornare all’unione, Yug, con il supremo Brahman, di cui sono parte.

La parola Dharma viene dalla radice shṛ, che vuol dire ‘sostenere’. Quindi il rispetto del nostro dovere è quello che ci sostiene nella via dello sviluppo spirituale. È conforme al Dharma il comportamento etico, retto, non violento, rispettoso di ciò che ci circonda; lo sono anche le pratiche spirituali, la meditazione, la preghiera, l’offerta rituale; lo è lo studio dei testi sacri e la frequentazione di persone spiritualmente elevate; in generale tutto ciò che ci aiuta ad elevarci. In questo senso le traduzioni a cui si accennava sono corrette, ma trascurano di sottolineare che il vero senso del Dharma è l’armonia. L’armonia con le leggi divine, con l’energia dell’universo e con lo spirito divino che risiede dentro di noi, che è la nostra essenza più profonda. L’adesione a questa armonia, l’immettersi nel flusso di energia divina, come ci si abbandona alla corrente di un fiume, questo è il senso profondo del Dharma . Quello che nel mondo è conosciuto come Induismo, in India viene definito ‘Sanatana Dharma’, l’antica via. Una via che è stata tracciata e che ci viene indicata dagli Shastra, i testi sacri che insegnano all’umanità i modi per individuare questo flusso di energia divina e per adeguarsi ad esso, al fine di raggiungere Moksha, la liberazione.

Come abbiamo detto, del Dharma fanno parte tutte quelle regole generali che valgono per l’umanità intera, senza distinzioni. Ma sappiamo che la morale non è univoca, i principi etici di alcune società sono ben diversi da quelli di altre. Oggi si parla molto di ‘relativismo’ etico, come se fosse una novità. Fino a non molti secoli fa i sacrifici animali e persino umani erano comunissimi; la schiavitù e il servaggio della gleba sono stati formalmente aboliti solo all’inizio del ‘900. Omosessualità, libertà sessuale, uso delle droghe, libertà religiosa e di pensiero in generale, la stessa alimentazione,  sono tutte cose appartenenti alla sfera etica che cambiano, anche drasticamente, da luogo a luogo, da epoca ad epoca. Ma come le regole etiche cambiano a seconda del contesto geografico, sociale e temporale, così cambiano anche da persona a persona, e con le regole etiche cambiano anche i doveri morali e il Dharma. I doveri di uno studente non sono gli stessi di un maestro, quelli di un poliziotto sono diversi da quelli di un pittore e così via. Per questo ogni Jiva oltre a rispettare le regole generali del Dharma, ha un suo personale Swadharma.

Nella Bhagavad Gita, Krishna dice: “È molto meglio eseguire il proprio Dharma, anche se in maniera imperfetta, piuttosto che eseguire a perfezione il Dharma di un altro. È infatti preferibile morire nel compimento del proprio Dharma, invece di seguire il Dharma di un altro, che è fonte di pericolo.” B.G. III, 35. E poi: "E' meglio impegnarsi nel proprio Swadarmha, anche se in modo imperfetto, piuttosto che eseguire il Dharma di altri in modo perfetto. Chi esegue i doveri prescritti dalla propria natura specifica, e in essi si impegna non incorre nell’errore” B.G XVIII, 47. Che vuol dire, fare il proprio dovere anche se in maniera imperfetta è meglio che fare quello di una altro perfettamente? Vuol dire che dobbiamo capire qual è il punto di percorso karmico in cui siamo e comportarci di conseguenza. Una frase molto famosa è “Ahimsa Paramo Dharma”, l’Ahimsa, la non violenza, è il Dharma più elevato.

Questo è sicuramente valido per un Sannyasin, un uomo che ha rinunciato al mondo e considera il suo corpo solo una fastidiosa appendice dell’Atman. Ma se un poliziotto pensa di essere un seguace della non violenza e lascia che i rapinatori agiscano indisturbati, non sta facendo il suo dovere. Se un filosofo si mette a coltivare la terra, probabilmente dopo due giorni avrà la schiena a pezzi e un orto improduttivo; se un ortolano pensa di essere in grado di mandare una navicella spaziale sulla Luna….  Il Dharma è lo strumento che abbiamo per bruciare i Samskara, per consumare il Prarabdha Karma che fa sì che ci troviamo nella nostra situazione attuale. Per bruciare quel Karma abbiamo degli obblighi precisi, che ci siamo creati con le nostre mani nelle nostre vite precedenti. Oggi la situazione sociale e personale è molto fluida, indefinita, ed è pertanto assai difficile comprendere bene a quali doveri attenersi. Nella società vedica, quella in cui è stato promulgato il principio del Dharma, le regole sociali e personali erano molto più chiare di quanto non lo siano oggi. Lo Swadharma, il Dharma individuale, era regolato da un sistema complesso ma ben chiaro, detto dei Varnashrama.

Varna sono quelle che vengono comunemente dette caste. Oggi il concetto di casta appare ingiusto e anacronistico. Si ritiene che nelle società moderne la mobilità sociale sia un diritto, che anche i figli dei poveri abbiano il diritto di affermarsi socialmente e accedere a posizioni più prestigiose di quelle dei propri genitori. Ogni Americano può diventare presidente degli Stati Uniti. Ai tempi di Napoleone, per dare un’idea della democraticità del sistema, si diceva che ogni soldato aveva nel suo zaino il bastone di Maresciallo di Francia. Peccato che su migliaia e migliaia di soldati ci fosse un solo Maresciallo di Francia, e su milioni di Americani ci sia un solo Presidente. In realtà il sistema delle caste sembra essere ben radicato in ogni parte del pianeta, anche se in maniera subdola e disorganizzata, con l’unico scopo di perpetuare i privilegi di chi già ne gode e che spesso non è in grado, né ha la volontà di espletare i propri compiti sociali in maniera etica ed efficace. Nella società vedica la società veniva intesa come un unico corpo, le cui diverse parti avevano ruoli specifici differenti, ma tutti importanti nella stessa misura.

I quattro Varna sono: i Brahmani, i sacerdoti, il cui dovere è quello di preservare la conoscenza dei testi (si ricordi che all’epoca la trasmissione delle conoscenze era perlopiù orale), renderli comprensibili ai più, officiare i riti sacri.La qualità che li distingue è Sattva, la purezza, e vengono paragonati alla testa del corpo umano; gli Kshatriya hanno il compito di governare la società, di amministrare la giustizia e, se necessario, ricorrere alle armi per difendere il proprio popolo, anche a costo della vita. In tutti i testi epici i re e il loro seguito di nobili, non solo entrano sul campo di battaglia in prima persona, ma sono in genere quelli che per dare il buon esempio ed esortare le truppe si espongono di più ai rischi dello scontro armato. La loro qualità è Rajas-Sattva, attività, ma finalizzata alla purezza, e rappresentano le mani del corpo; i Vaishya sono commercianti, agricoltori e artigiani e il loro compito è quello di fornire alla società tutti i beni di cui ha bisogno per vivere. La qualità che li distingue è Rajas-Tamas, perché nella loro attività c’è comunque una componente di materialità, di non elevazione, e sono paragonati allo stomaco; infine i Sudra, il cui compito è di eseguire bene le direttive loro impartite. La loro qualità è Tamas, l’inerzia, proprio perché è una casta di persone che ha bisogno di una guida per poter agire, e vengono paragonati ai piedi. Due cose vanno assolutamente dette riguardo al sistema dei Varna: la casta di appartenenza non è un gioco del destino, né uno scherzo di un Dio burlone; tutto ciò che accade ad ognuno di noi è deciso e costruito da noi stessi nelle nostre vite precedenti.

Se il livello spirituale raggiunto nelle incarnazioni prima dell’attuale era basso, impregnato di Tamas, vuol dire che dobbiamo ancora percorrere quella parte di strada Karmica necessaria a scrollarcelo di dosso. Una vita dopo l’altra, un’incarnazione dopo l’altra si passa da Tamas a Rajas e quindi a Sattva. Sarà la prevalenza di un Guna sugli altri due a decidere il Varna di appartenenza; l’altro punto davvero importante è che il dovere prevale sul diritto. Il Brahmano ha il DOVERE di mantenere la sua purezza sattvica, di mantenere vive le conoscenze sacre, di celebrare le Puja, i riti sacri, e così via; lo Kshatriya ha il dovere di guidare e difendere il suo popolo, come un padre ha quello di guidare e difendere i suoi figli. Purtroppo, come sempre accade, anche la società vedica nel corso del tempo si è corrotta e dal dovere si è passati alla ricerca e alla difesa dei privilegi. Poi, nell’attuale Kali Yuga, l’epoca nera, il sistema dei Varna si è disintegrato, rimanendo esclusivamente un sistema di privilegi e di sopraffazione, non più legato alle qualità intrinseche della persona e al suo percorso karmico.

A decidere lo Swadharma di ogni persona, oltre al Varna di appartenenza concorre l’Ashrama,la fase della vita in cui ci si trova. Esistono, secondo la tradizione vedica, quattro fasi: Brahmachariya, l’età dell’apprendimento; Grihastha, l’età in cui si lavora, si forma una famiglia, si partecipa alla vita sociale; la fase successiva, Vanaprastha, è quella in cui i figli sono cresciuti e sono ormai in grado di prendere in mano le redini della famiglia. È la fase in cui ci si può ritirare dalla vita attiva e ‘andare nella foresta’, ci si prepara, eventualmente anche insieme al coniuge, all’ultima fase, quella del Sannyas, la rinuncia al mondo. Queste quattro fasi non vengono necessariamente concluse tutte in una sola vita, ma si possono trascinare da un’incarnazione all’altra. Così capita che alcune persone mostrano fin dall’infanzia la tendenza alla vita ritirata, meditativa, mentre altre sono ancora nella fase laica e sociale.

Un altro elemento di tutta le dottrina del Dharma sono i quattro Purushartha, i quattro obiettivi della vita: Artha, la ricerca del benessere materiale, Kama, l’appagamento dei desideri dei sensi, Dharma, la retta condotta volta allo sviluppo spirituale, e Moksha, la liberazione dal Samsara, il ciclo di nascite e morti. È inevitabile, per chi nasce in questo mondo, incarnato in un corpo umano, non provare desiderio per le comodità della vita materiale e per il piacere derivante dall’appagamento dei sensi; l’importante non è reprimere queste naturali tendenze, ma gradualmente sublimarle, innanzitutto seguendo il Dharma e in particolare il proprio Swadharma, ma soprattutto finalizzando sempre di più la propria esistenza allo sviluppo spirituale. L’elevazione spirituale inevitabilmente conduce ad un progressivo raffinamento dell’anima, per cui le passioni strettamente legate al corpo, all’io e al mio tendono a perdere importanza, mentre aumenta considerevolmente il desiderio di liberazione da quella che appare sempre di più una prigione da cui fuggire.

Swami Sivananda in uno dei suoi tanti libri racconta una breve storia molto istruttiva. Uno Yogi vive in completo eremitaggio nella foresta, seminudo e nutrendosi di radici. Medita ore e ore ogni giorno da molti anni. Una mattina un uccellino da sopra un ramo gli fa cadere in testa un ‘ricordino’. Lo Yogi si infuria, fissa l’uccellino con occhi furenti e lo incenerisce con la sola forza dello sguardo. Impressionato dai suoi poteri, lo Yogi si compiace molto dei risultati ottenuti con la sua Sadhana. Il giorno seguente si reca nel vicino villaggio e bussa alla porta di una casa per chiedere da mangiare. La padrona di casa gli dice di aspettare un po’, perché è molto impegnata. Lo Yogi si irrita e, come ha fatto il giorno prima con l’uccellino, fissa la donna con gli stessi occhi furenti. La donna si gira e sorridendo gli dice ‘Swamiji, guarda che io non sono un uccellino che puoi incenerire così facilmente; io sono impegnata a fare il mio dovere di madre e di moglie con un marito gravemente malato. Appena finito ti darò da mangiare.” Qual è il significato di questo aneddoto? Che qualsiasi attività eseguita con dedizione, spirito di sacrificio e altruismo avvicina a Moksha. Essere degli eremiti che poi si fanno trasportare dall’ira è poco produttivo. Come già detto a proposito del Karma, quello che conta veramente, più dell’atto in sé, è la motivazione dell’azione. Anche il lavoro più umile può portare molto in alto, se fatto col cuore e col giusto spirito.

Credo sia normale chiedersi: come faccio a sapere qual è il mio Swadharma? E sapere a che punto sono del mio percorso karmico? Il semplice fatto di porsi la domanda presuppone un livello di consapevolezza spirituale abbastanza avanzato. La meditazione, lo Yoga e le discipline spirituali aiutano a sviluppare quella mente intuitiva che ci aiuta a dare una risposta a queste domande. Più si procede nella Sadhana, la pratica spirituale, più l’orizzonte si allarga; più ci si distacca dal concetto di io e mio, più ci si abbandona alla volontà divina, all’insegnamento degli Shastra, i testi sacri, più aumenta la fiducia con cui ci si lascia andare nella corrente degli insegnamenti dei grandi maestri, più le cose diventano chiare. Non dobbiamo aspettarci che qualcuno venga a dirci chi siamo, dove siamo e cosa dobbiamo fare. E se qualcuno dice di poterlo fare, diffidate.

Tutti i grandi Guru hanno dato ai propri discepoli gli strumenti per raggiungere la Verità, non una verità precotta e predigerita. Quando hanno conferito poteri psichici particolari, lo hanno fatto solo momentaneamente, per superare l’eventuale scetticismo e incoraggiarli nel percorso.  Il lavoro va fatto sempre in prima persona, utilizzando tutti gli strumenti che le varie scuole e discipline spirituali ci mettono a disposizione, tutti i Dharma, perché, come si dice, i sentieri per raggiungere la cima della montagna sono tanti, ma la cima è una sola.

Infine, torniamo al cap.XVIII della Gita, verso 66: “Abbandonando tutti i Dharma, prendi rifugio esclusivamente in me; io eliminerò tutti i tuoi peccati, non temere.” Perché anche il Dharma, o meglio, i Dharma, vanno abbandonati dopo averne fatto uso. Sono mezzi per un fine. Una volta raggiunta la conoscenza profonda del Sé, che è il fine, non abbiamo più bisogno di alcuna disciplina, perché si è raggiunta Yug, l’unione dell’Atman col Brahman. Il Mahatma Gandhi sosteneva che “Dio non ha alcuna religione”, perché le religioni, almeno nel loro scopo originario, sono strumenti per avvicinare l’uomo al Divino. Lo Yogi, il praticante spirituale che ha raggiunto Moksha, non ha più obiettivi davanti a sé, e quindi non ha più bisogno di strumenti per raggiungerli. Si è finalmente identificato con Dio, e quindi, come dice Gandhi, non ha alcuna religione.
 
Paolo Quircio
New Delhi, 17-12-2017
 
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27 APRILE 2019 FIRENZE - HO OPONOPONO IL SEGRETO HAWAIANO
27 - 28 APRILE 2019 MONTELUPO FIORENTINO - CORSO DI COSTELLAZIONI FAMILIARI E SISTEMICHE
25 - 26 - 27 - 28 APRILE 2019 BELLARIA IGEA MARINA (RN) - OSHOFESTIVAL 2019
06 APRILE 2019 ROMA - TRA LUCE E OMBRA - SEMINARIO ESPERIENZIALE
12 APRILE 2019 SAN PIETRO IN CERRO (PC) - LIBERA LE EMOZIONI
03 APRILE 2019 PRATO - L'UNIONE - I 12 PASSI DELL AMORE
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