Dove c'è amore, c'è visione.
Richard of St. Victor

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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NON E' VER CHE SIA LA MORTE ...


 
di Paolo Quircio
 
Nel momento in cui un uomo e una donna concepiscono un bambino, i futuri genitori non hanno alcuna idea di come sarà il frutto del loro amore. Maschio o femmina, bello o brutto, intelligente o meno, di buon carattere o scorbutico, fortunato o sfortunato. Hanno una sola certezza: quel bimbo appena concepito e che tra qualche mese vedrà la luce, prima o poi sicuramente morirà. È solo questione di tempo, ma morirà, come sono morti i suoi antenati e come moriranno i suoi genitori. Nulla è più naturalmente correlato alla vita della morte.

Tutto quello che fa parte di Prakriti, la Natura fisica, nasce, cresce, decade e muore. Alberi, piante, insetti, pesci, animali terrestri e esseri umani, tutto nasce, cresce, decade e muore. Ma non solo gli esseri viventi muoiono, anche le stelle, i pianeti, le galassie, in effetti l’intero universo è destinato a morire. Ognuno ha i suoi tempi, dalle ore di una farfalla agli eoni del cosmo, ma il destino è comune a tutto e a tutti. E pur essendo la cosa più naturale del mondo, spesso la morte è un pensiero dominante, vissuto con  angoscia e timore, se non con vero e proprio terrore.  

Buona parte  dell’atteggiamento che ognuno ha nei confronti della morte dipende dalla concezione che si ha della morte stessa. La Natura ci insegna che essa in realtà è soltanto una fase di un ciclo. In Natura tutto è ciclico, tutto è un alternarsi di attività e di stasi. Il giorno e la notte, le stagioni, l’apparente inattività dei semi e l’attività delle piante che da quei semi nascono. Le civiltà contadine e quelle che con ingiustificata presunzione chiamiamo ‘primitive’, avevano ed hanno un contatto molto più stretto con la ciclicità della Natura, contatto che noi ‘civili’ urbanizzati abbiamo pressoché dimenticato.

Mangiamo le stesse verdure tutto l’anno, viviamo in scatoloni di acciaio e vetro climatizzati, sempre alla stessa temperatura, d’estate e d’inverno. Per sapere che tempo fa, dobbiamo guardare le previsioni del tempo in televisione. La pioggia è diventata una scocciatura che fa aumentare il traffico già perennemente sull’orlo del collasso e ha perso completamente la connotazione di nettare vivificante della terra, delle fonti, del mondo intero, senza la quale moriremmo tutti nel giro di qualche mese, dopo esserci azzuffati per il controllo delle ultime pozze.

Le feste e sagre tradizionali sono in gran parte prettamente stagionali e moltissime sono quelle che celebrano la periodica rinascita della Natura. Si pensi all’uovo di Pasqua, simbolo di vita e di rinascita. Il mondo cristiano lo ha adattato alla rinascita di Gesù dopo la morte sulla croce, ma il simbolismo dell’uovo ha radici molto più antiche. Nei Veda da millenni si parla di Hiranyagarbha, l’uovo o utero cosmico, detto anche Prajāpati, identificato anche con l’intelligenza cosmica, causa prima della Creazione.

Abbiamo detto che tutto ciò che è Prakriti, Natura, è soggetto a nascita, crescita, decadenza e morte. Ma il mondo, in ogni sua manifestazione, non ha solo l’aspetto grossolano di Prakriti, ma anche, direi soprattutto, quello sottile, spirituale di Atman, la porzione, il riflesso immortale del Brahman, lo Spirito cosmico che tutto pervade. Nel terzo sutra del Sadhana Pada, il secondo capitolo degli Yoga Sutra, il testo fondamentale del Raja Yoga, Patanjali enumera i cinque Klesha, le fonti di afflizione dell’umanità: ‘Le cinque afflizioni sono Avidya, Asmita, Raga, Dvesha e Abhinivesha.’

Avidya è la negazione di Vidya, la conoscenza, in particolare la conoscenza spirituale. Ignoranza spirituale vuol dire non saper distinguere ciò che è Atman, puro spirito, eterno e immutabile, l’unica vera realtà, Sat, da ciò che è Anatman, materiale, grossolano, transitorio e destinato a morire, e quindi Asat, irreale, in quanto dotato in effetti di una realtà parziale, limitata nel tempo.

Questa ignoranza spirituale induce l’uomo a ritenere reale ciò che non lo è. L’uomo comune ritiene reale solo ciò che viene percepito dai sensi, coordinati dalla mente. Di conseguenza ciò che va aldilà dei sensi, ciò che secondo lo Yoga è Sat, l’unica realtà vera, imperitura, per lui non esiste. Krishna spiega ad Arjuna: Quella che per tutti gli esseri è notte, per l’uomo che controlla se stesso è veglia; quando tutti gli esseri sono svegli, quella è notte per il saggio veggente. Bhagavad Gita II, 69.

In altri termini, l’uomo saggio che ha raggiunto la profonda conoscenza spirituale e riesce a distinguere il vero dal falso, ha ribaltato completamente l’opinione comune e si identifica esclusivamente con la sua parte immortale, mentre la maggior parte dell’umanità fa esattamente il contrario, come il giorno e la notte.

Da questa erronea identificazione nasce Asmita, il senso dell’io. Io diventa il centro di tutto l’universo. Io diventa l’idolo a cui sacrificare tutto. L’unico scopo della vita, in virtù di Asmita, è la gratificazione, la protezione e la salvaguardia di questo io e della sua estensione, il mio. Una cosa ha valore solo se mi appartiene. Ovviamente non solo le cose appartengono, ma anche gli animali e le persone. Adoro il MIO cane ma prendo a calci un randagio in strada; sono estremamente protettivo nei confronti dei MIEI figli e dei MIEI familiari, ma prontissimo alla lite e ad alzare le mani con chiunque non appartenga alla MIA cerchia di affetti.

Da questa forte centralità della propria persona nasce il desiderio e la volontà di possedere ciò che gratifica, Raga, e l’avversione per quello che si ritiene possa danneggiare, Dvesha. Raga e Dvesha, attrazione e repulsione, sono le due molle che tengono in movimento l’essere umano. Cerca di ottenere in ogni modo quello che ti piace, evita come la peste quello che non ti piace. Per sua natura l’uomo cerca la felicità, ma per ignoranza, Avidya, non si rende conto che essa è la sua vera, profonda essenza. Raga ci spinge continuamente alla ricerca di oggetti che soddisfino i nostri sensi, pensando che da questo appagamento possa derivare la tanto agognata felicità.

Purtroppo non è così, l’oggetto conquistato con grande sforzo, dopo breve tempo mostra i suoi limiti, ci ha soddisfatto per un po’, ma non ci ha dato la felicità. Invece di capire che è il sistema ad essere sbagliato, continuiamo ostinatamente a percorrere la stessa strada, come un pesce rosso che si ostina a battere la testa sulla parete della boccia di vetro. Pensiamo “Avevo sbagliato nella scelta dell’oggetto, il prossimo sicuramente mi darà la felicità.”

E così si arriva alla vecchiaia e alla morte senza aver trovato la felicità, se non per brevi, fugaci attimi, pensando di essere stati sfortunati o incapaci di scegliere. Nello Yoga si fa spesso l’esempio del cervo muschiato, un piccolo mammifero asiatico che ha accanto all’ombelico una ghiandola che secerne una sostanza molto odorosa. Si dice che il cervo sia alla costante ricerca della fonte di questo odore, senza rendersi conto che esso emana dal suo stesso corpo.       
Per converso, rifuggiamo da ogni cosa che pensiamo ci possa distogliere dalla nostra ricerca della felicità o che ci possa arrecare disturbo o dolore. Fondamentalmente, da tutto ciò che non ci piace. Raga, l’attrazione per le cose che ci piacciono, e Dvesha, l’avversione per quelle che non ci piacciono, condizionano tutta la nostra esistenza. Nel suo importante Bliss Divine - Il Libro della Beatitudine, Swami Sivananda, parlando della preghiera dice: Sia fatta la Tua volontà, mio Signore! Non chiedo nulla.’ Questa dovrebbe essere la vostra preghiera. Perché voi non sapete quello che è bene per voi e potreste chiedere cose che poi vi creeranno problemi e pregare per la perdizione.

Ovvero, quando pregate non chiedete le cose che vi piacciono, perché potrebbero essere cose sbagliate. Ma noi continuiamo imperterriti a seguire i nostri gusti, le nostre Raga e le nostre Dvesha, ciò che ci piace e ciò che non ci piace, e ci lamentiamo della nostra infelicità, attribuendone le cause agli altri, alla sfortuna, alle scelte sbagliate, pronti però a farne altre altrettanto sbagliate. Senza mai capire che la felicità è già dentro di noi, dobbiamo solo prenderla.

C’è un aneddoto: un ladro e un ricco mercante passano la notte nello stesso vagone letto. Quando il mercante va in bagno a prepararsi per la notte, il ladro fruga il suo bagaglio e l’intero scompartimento alla ricerca dei soldi che sicuramente il mercante deve avere con sé, ma malgrado tutti gli sforzi non trova nulla. L’indomani mattina, poco prima dell’arrivo a destinazione, il ladro confessa al compagno di viaggio la sua vera identità e gli chiede, così, per curiosità, dove abbia nascosto il denaro. Il mercante, sorridendo, prende un rotolo di banconote da sotto il cuscino del ladro e gli dice: ‘Qui, perché ero certo che questo era l’ultimo posto dove saresti andato a cercare.’ Così facciamo noi, spendiamo una vita a cercare qualcosa che abbiamo sempre avuto, fin dalla nascita. 

E la nostra Dvesha trova la sua massima espressione quando si parla di quello che ci può privare dell’unica realtà in cui erroneamente crediamo: la morte del nostro corpo. Abhinivesha è l’eccessivo attaccamento a questa vita, che si traduce poi in terrore della morte. È chiaro che se pensiamo di non essere altro che corpo, penseremo anche che la sua perdita ci farà sprofondare nell’abisso del nulla, nella non esistenza. E questo in via definitiva, per l’eternità; siamo stati e non saremo mai più. In effetti un’idea poco allegra.

Ma lo Yoga ci insegna che fortunatamente la situazione è ben diversa. La morte non è altro che la fine di un breve ciclo. La separazione di qualcosa che si è unito solo temporaneamente: i 5 elementi, terra, acqua, fuoco, aria ed etere si sono uniti per comporre il corpo fisico, il quale, a sua volta, si è unito al corpo eterico e a quello causale che erano già transitati in altri innumerevoli corpi.

Secondo lo Yoga, siamo composti infatti da tre corpi: Sthula Sharira, il corpo fisico, grossolano. Esso è composto, come detto, dai 5 elementi. Essi, col processo di decomposizione che inizia dopo la morte, piano piano tornano alla loro origine, la Natura. Poi c’è il Linga o Sukshma Sharira, il corpo astrale o energetico, composto essenzialmente di Prana, energia vitale. Ad esso sono collegati gli organi di senso e la mente. Infine Karana Sharira, il corpo causale, da non confondere con l’Atman, associato allo stato di sonno profondo, lo stato di completa nescienza.

Al momento della morte il corpo fisico si stacca dagli altri due e i cinque elementi che lo compongono tornano alla Natura. Sukshma Sharira e Karana Sharira, insieme al loro carico di Samskara, le impressioni sottili determinate dalle vite precedenti, rimarranno in altri livelli di esistenza, i Loka. I Loka sono 14, sette superiori (da qui l’espressione ‘essere al settimo cielo’) e sette inferiori. A seconda del comportamento nell’ultima vita, i due Sharira andranno in uno dei Loka per godere il risultato delle azioni, buone o cattive, commesse in vita. La durata di questo periodo cambia anch’essa in funzione dello sviluppo spirituale raggiunto.

Swami Vishnudevananda fa un esempio pratico per spiegare l’intervallo di tempo tra un’incarnazione e l’altra: se prendiamo tre ventilatori e li facciamo girare a velocità diverse, diciamo 500, 750 e 1000 giri al minuto, e li spegniamo contemporaneamente, quello che girava alla velocità maggiore impiegherà più tempo a fermarsi rispetto agli altri due. Analogamente, i corpi astrali e causali che hanno raggiunto un livello di vibrazione spirituale più elevato, passeranno più tempo nel Loka di destinazione prima di reincarnarsi nuovamente.

Al momento del concepimentoi due corpi entrano in un nuovo corpo fisico. Le caratteristiche fisiche, familiari e sociali di questo nuovo Jiva, l’unione dell’Atman col corpo, dipendono dal punto del percorso karmico in cui ognuno si trova. Nella Bhagavad Gita Arjuna chiede a Krishna cosa accade a coloro che pur essendosi impegnati con sincerità nello Yoga non hanno raggiunto l’illuminazione. Avendo abbandonato la via di ciò che è terreno, ma non ancora raggiunto ciò che è celeste, rimarranno sospesi a mezz’aria e svaniranno come una nuvola?

Krishna lo rassicura e, al contempo, ci spiega i criteri della reincarnazione e della legge del Karma :  Né in questo mondo, né in quell’altro, un uomo simile potrà mai perdersi, o figlio mio; perché chi compie azioni meritevoli non potrà mai incorrere in un destino avverso. Raggiunti i mondi di coloro che compiono buone azioni, dopo aver dimorato in essi per molti anni, colui che ha fallito nello yoga rinasce in una casa di gente onesta e senza macchia. Oppure rinasce in una famiglia di Yogi sapienti. Una nascita invero molto rara in questo mondo. In questa condizione privilegiata egli ritrova la conoscenza sviluppata con lo yoga nella vita precedente e, forte di ciò, tenta ancor più di raggiungere la perfezione dello yoga. B.G. VI, 40-43.

I ‘mondi di coloro che compiono buone azioni’ sono i Loka elevati di cui si parlava poco sopra. Ogni nascita dipende dal proprio bagaglio karmico; secondo lo Yoga e il Vedanta il destino beffardo non esiste. E ancora Krishna: “Così come in questo corpo l’anima incarnata passa attraverso la fanciullezza, la gioventù e la vecchiaia, allo stesso modo passa in un altro corpo; l’uomo saldo non si addolora per ciò. B.G. II, 13.

Tutte le religioni e le filosofie spirituali asseriscono senza tentennamenti l’esistenza di un’anima immortale. Alcune credono in una sola esistenza terrena, in un solo corpo; altre credono alla reincarnazione, alla trasmigrazione delle anime. La differenza non è da poco e non sembra il caso adesso di entrare in questa diatriba.

Quello che conta è che tutte le vie spirituali considerano la morte, in un modo o nell’altro, una cosa importante si, ma non definitiva, se non per la parte fisica, grossolana del nostro essere. Eppure, per tanti motivi a cui si è accennato più sopra, nel mondo sempre più materialistico in cui viviamo, la morte continua ad essere uno spauracchio per la maggior parte di noi. Tutti temono in particolar modo la morte violenta, per mano di un criminale comune o di un terrorista.

Si vive nel timore, e questo timore ci allontana sempre più dal nostro prossimo. Aldilà dei confini, inventati dagli uomini, si immagina quasi sempre un popolo ostile; si guarda agli altri come potenziali nemici, pronti a privarci di ciò che ci appartiene, soprattutto la nostra vita. Eppure, a vedere le statistiche sembra che le probabilità di essere uccisi da un terrorista, almeno nel nostro paese, siano bassissime, quasi nulle. L’indice di mortalità si aggira intorno all’uno per cento.

Quindi ogni anno in Italia muoiono circa 600.000 persone e la stragrande maggioranza di queste persone muore di malattia, di incidenti o semplicemente di vecchiaia, come testimonia il costante aumento dell’età media della popolazione. Eppure tutti temiamo i pericoli che ci possono piovere addosso a causa del nostro prossimo. Il cinema e la televisione non fanno che mostrare morti violente, episodi criminali, spesso efferati; armi e sangue, sadismo e violenza, un Grand Guignol macabro e mortale; questo è il cibo quotidiano di cui si nutre buona parte di noi.

E il fatto che a volte siano i ‘buoni’ a uccidere i ‘cattivi’ non cambia la sostanza della questione, è sempre e comunque violenza mortale. I videogiochi con cui si dilettano i ragazzi e anche molti adulti si basano quasi sempre sull’eliminazione dell’altro, sia esso un mostro, un soldato nemico o un ‘cattivo’ in genere, vince chi ammazza di più.

Non riusciamo ad avere un rapporto ‘normale’ con la morte, non riusciamo ad accettarla e ci terrorizza, come se fosse qualcosa di innaturale. Tutti, credenti e non credenti, sappiamo che è un destino a cui nessuno sfugge, ma invece di  cercare di capire, di comprenderne la valenza spirituale, non con rassegnazione come una pecora al macello, ma con serenità, come compimento di una vita vissuta con pienezza, la viviamo in maniera morbosa, come fonte di dolore e sofferenza.

Ci sono delle raffigurazione del Buddha molto belle a tal proposito. Egli viene raffigurato in posizione reclinata, prossimo al raggiungimento del Nirvana. Sotto di lui una schiera di fedeli in lacrime, disperati all’idea del suo abbandono. Sopra di lui le anime di chi è già morto allegre e sorridenti, piene di gioia all’idea di accogliere Buddha tra loro.

Ricordo l’impressione che mi fece, tanti anni fa, il funerale di un Sannyasin, a Rishikesh. I suoi confratelli ne portavano il corpo senza vita su una lettiga per immergerlo nel Gange. L’atmosfera era tutt’altro che funebre, anzi, festosa, ben diversa dai ‘mortori’ a cui siamo abituati noi.

Quando un Mahatma, grande anima, lascia il corpo, si libera di un fardello che ormai per lui non ha più alcuna utilità, come una vettura vecchia che si porta alla rottamazione. Egli ha raggiunto Moksha, la liberazione. È interessante notare che quando nasce un bambino tutti sorridono e si rallegrano, tranne lui, che piange e deve essere coccolato; come dice Leopardi: “ Prova pena e tormento per prima cosa; e in sul principio stesso la madre e il genitore il prende a consolar dell’esser nato.”  

Quando qualcuno muore, al contrario, tutti piangono e si rattristano, tranne il defunto, che è sereno, perché ha finalmente superato le ambasce della vita terrena. Ci sono moltissime testimonianze di persone che hanno provato esperienze di morte e sono tornate in vita; tutti indistintamente dicono di aver provato una grande serenità, una gioia profonda.

Una vita di ricerca spirituale è sicuramente di grande aiuto nel rimettere un evento così importante come la morte al giusto posto. Accadrà, non può non accadere, ma se riuscissimo a sviluppare una visione spirituale della vita e, di conseguenza, della sua fine, impareremmo ad accettarla, non dico con gioia, ma almeno con serenità, sapendo che in fondo non è che un passaggio, e non è detto che ciò che troveremo dall’altra parte non sia meglio di quello che abbiamo di qua. Per dirla col Metastasio, “Non è ver che sia la morte, Il peggior di tutti i mali, È un sollievo de' mortali, Che son stanchi di soffrir...” 

Paolo Quircio
27-01-2018

1 Non tutti i testi sono concordi riguardo al momento dell’ingresso del Jiva nel nuovo corpo fisico. Secondo la Garbha Upanishad, ad esempio, esso avviene solo al settimo mese dal concepimento del feto.

 
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05 APRILE 2019 BOLOGNA - MEDITAZIONE - L'ESPERIENZA DEL RAJA YOGA
17 APRILE 2019 MILANO - CELEBRAZIONE EQUINOZIO DI PRIMAVERA E MEDITAZIONE DELLA PASQUA
13 - 14 APRILE CANTAGALLO (PO) - TEMPIO INTERIORE - SEMINARIO DI DANZA SUFI
13 - 14 APRILE 2019 FIRENZE - WORKSHOP LA SAGGEZZA DEL CUORE - PER INSEGNANTI E GENITORI
02 APRILE 2019 MILANO - IL POTERE DELL INTUIZIONE
14 APRILE 2019 MILANO - IMPARIAMO AD INTERPRETARE SEGNI E COINCIDENZE - CON GIAN MARCO BRAGADIN
05 APRILE 2019 PERUGIA - MEDITAZIONE E ARTE
25 - 28 APRILE 2019 GROSSETO - SEMINARIO DI ASCOLTO DI SE CON IL RESPIRO
27 APRILE 2019 FIRENZE - HO OPONOPONO IL SEGRETO HAWAIANO
27 - 28 APRILE 2019 MONTELUPO FIORENTINO - CORSO DI COSTELLAZIONI FAMILIARI E SISTEMICHE
25 - 26 - 27 - 28 APRILE 2019 BELLARIA IGEA MARINA (RN) - OSHOFESTIVAL 2019
06 APRILE 2019 ROMA - TRA LUCE E OMBRA - SEMINARIO ESPERIENZIALE
12 APRILE 2019 SAN PIETRO IN CERRO (PC) - LIBERA LE EMOZIONI
03 APRILE 2019 PRATO - L'UNIONE - I 12 PASSI DELL AMORE
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