nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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IL MURO DI SILENZIO COME COSTRUTTORE DI PONTI



di Petra Guggisberg Nocelli

"Dobbiamo essere poliglotti psicologicamente e spiritualmente, imparare a essere traduttori (..)” R. Assagioli
 (Riflessioni sull’uso del linguaggio, del silenzio e sull’emancipazione della mente dal pensiero letterale in Psicosintesi) 
CONCLUSIONI: Il “muro di silenzio” auspicato da Assagioli voleva originariamente senz’altro anche separare campi diversi di interesse e studio (quello scientifico, empirico della Psicosintesi da quello della spiritualità, della filosofia, dell’esoterismo e della religione), distinguere spazi e designare funzioni. Ma oggi possiamo forse provare a guardare questo muro in modo diverso, concentrando la nostra attenzione piuttosto sul materiale di cui esso è costituito: IL SILENZIO. Questo significa spostare l’accento dai contenuti che dovrebbero stare di qua o di là del muro, al tipo di atteggiamento interiore, di funzionamento mentale che il silenzio ci invita a coltivare nei confronti di ogni contenuto. Spostare cioè l’accento sul contenitore. 

Ecco allora che il “muro di silenzio” può divenire un preziosissimo strumento in grado di emancipare gli psicosintetisti e la Psicosintesi (ma non solo) dal pensiero letterale e un potente antidoto contro i suoi sempre attuali corollari: il fanatismo, il fondamentalismo, la separatività, l’incomunicabilità, il conflitto etc. È in una mente allenata al silenzio che possono germogliare quelle abilità che rendono uno psicosintetista un buon psicosintetista: l’essere poliglotta e abile traduttore.

RIFLESSIONE: Qualche settimana fa ho letto l’articolo di Piero Ferrucci intitolato “Sulla soglia del mistero” e quanto pubblicato in seguito da Marina Bernardi, “Riflessioni sulla Psicosintesi oggi”. Uno dei principali temi affrontati in questi due scritti é il rapporto che intercorre tra la Psicosintesi come concezione e prassi psicologica, educativa e (auto)formativa e gli altri campi del sapere umano legati alle credenze e ai sistemi spirituali, filosofici, esoterici, religiosi ecc. Più in particolare, i due scritti riflettevano sul “muro di silenzio” voluto a suo tempo da Roberto Assagioli tra la Psicosintesi e questi altri campi.  Il tema mi ha sempre interrogata e condivido qui alcuni spunti che forse permetteranno di guardare al “famoso” muro come ad una possibilità di costruire ponti. Non so se questi spunti potranno contribuire al dibattito in corso e trovare una qualche applicazione pratica. Me lo auguro. 

Assagioli era profondamente convinto dei molti fraintendimenti e delle “gravi difficoltà” poste dall’utilizzo del linguaggio nel parlare di realtà psicologiche, specialmente di quelle transpersonali o supercoscienti, e lo affermava chiaramente. Più specificamente, individuava tre ordini precisi di difficoltà proponendo per ciascuno di essi specifiche soluzioni o antidoti.

1.  La prima difficoltà riguarda l’utilizzo, da parte del linguaggio umano, di metafore e simboli basati su cose concrete per designare realtà che concrete non sono affatto (ad es. la parola “anima” deriva dal greco “anemos”, che significa “vento”; “pensare” da “pesare” inteso in senso materiale e così via). L’antidoto ravvisato da Assagioli a questa prima difficoltà prevede l’impegno da parte dello psicosintetista a “riconoscere e tenere sempre presente la natura simbolica, di ogni espressione, sia verbale, sia di altro genere.” Le parole son quindi dei simboli e come tali vanno considerate. L’invito a riconoscere la natura simbolica, metaforica delle parole e del linguaggio, ci conduce alle altre due difficoltà identificate da Assagioli che riguardano appunto le caratteristiche proprie dei simboli: 
- il loro essere unilaterali 
- la loro natura duplice e contrastante. 

2. Quando ci si riferisce all’unilateralità dei simboli si vuole indicare che essi sono in grado di esprimere unicamente “un aspetto, una modalità, una concezione parziale di una data realtà”. Lo psicosintetista è chiamato a ovviare a questa difficoltà utilizzando “simboli diversi per indicare la stessa verità” e nella sintesi dei differenti simboli utilizzati. Egli deve insomma essere un poliglotta (conoscere e parlare vari linguaggi) e un abile traduttore (essere in grado di esprimere la stessa idea utilizzando differenti sistemi simbolici di riferimento, passando dall’uno all’altro con abilità). L’uso del linguaggio si fa funzionale alla reciproca comprensione.

3.  Infine, la natura “duplice e contrastante” dei simboli. I simboli possono rivelare la realtà, essere un tramite, un intermediario che facilita il contatto con la verità che essi indicano;oppurelapossono velare divenendocosì una trappola che ci spinge “fuori di noi”. Infatti, ci ricorda Assagioli, “l’uomo che li prende letteralmente, che non va alla realtà passando attraverso il simbolo, ma a questo si ferma, non raggiunge la verità”. Come recita un detto buddhista che amo moltissimo: “Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Lo psicosintetista ha quindi il compito di impegnarsi a distinguere il dito (il simbolo, la parola, la credenza, la dottrina e così via) dalla luna (la realtà/verità indicata) per poi focalizzare con decisione la sua attenzione su quest’ultima.

Dunque, qualche settimana fa, mentre passeggiavo lungo la battigia del mar Ligure osservando il placido e trasparente andirivieni delle onde, riflettevo sull’immagine del “muro di silenzio”, sui suoi significati e sulle sue funzioni. Mi venivano in mente cose già ben chiarite: i muri (come ad esempio quello di Berlino) servono a impedire, dividere e separare qualcosa da qualcos’altro; i muri sono anche necessari a delimitare e distinguere spazi fra loro diversi definendone le rispettive funzioni. Nessuno si sognerebbe mai di negare che, in un edificio, la funzione della cucina è differente dalla funzione del bagno e da quella della camera da letto. Perfino in un meraviglioso open-space (“Casa Assagioli”?) si continuerebbe a cucinare sui fornelli, a dormire in un letto e a lavarsi nella doccia. Ma queste mie riflessioni ruotavano ancora attorno ad un’insoddisfacente rappresentazione del muro visto come “una spessa barriera di mattoni”.

Ad un certo punto però la mia attenzione si è spostata dall’idea-immagine definita e pesante del “muro” (il dito?) all’altra idea-immagine rimasta sullo sfondo, più sfuocata e lontana, del “silenzio” (la luna?). Ed è stato come se, improvvisamente, vedessi questo muro per la prima volta. Il “muro” con cui Assagioli ha voluto delimitare lo spazio della Psicosintesi può davvero non essere un muro di Berlino, un’invalicabile barriera di mattoni. Può invece essere trasparente e leggero. Lo è potenzialmente sempre stato. Infatti, é un muro costituito, fatto di un materiale molto particolare con proprietà specifiche: IL SILENZIO. 
A tutta prima quest’immagine della Psicosintesi delimitata, circondata dalla trasparenza e dalla pace del silenzio può forse apparire poetica e nulla più. In realtà essa presenta delle implicazioni interessanti che possono indicare con chiarezza il tipo di funzionamento mentale che lo psicosintetista è invitato a coltivare quando approccia differenti sistemi di credenze, dottrine e metafore. 

Come sappiamo bene, in Psicosintesi il silenzio ha significati e funzioni molto precise,ben più profonde ed evocative della semplice assenza di parole o della mancanza di comunicazione. La pratica regolare e quotidiana del silenzio ha la funzione di sviluppare la capacità di mantenere una “zona di disidentificazione”, di raccoglimento, in mezzo a tutti i rumori della vita quotidiana. 
Il silenzio interiore è poi, soprattutto, la condizione necessaria allo sviluppo dell’intuizione, la funzione psicologica grazie alla quale possiamo entrare autenticamente in relazione con la dimensione transpersonale in noi e iniziare a dialogare con essa (e quindi anche ad aprirci e a dialogare autenticamente con gli altri poiché “Noi siamo il Sé, quel Sé siamo Noi”). Di più, per la Psicosintesi la possibilità di un contatto esperienziale con la sfera supercosciente è proprio una funzione del grado di silenzio interiore che riusciamo a realizzare. 

Ecco allora che, inteso in questo modo, il “muro” voluto da Assagioli diviene un confine che delimita non tanto diversi campi di conoscenza e i loro contenuti, quanto differenti modalità di funzionamento mentale. E il materiale di cui esso è costituito, il silenzio, diviene la sostanza che costruisce quel ponte che ci conduce “oltre”: oltre il linguaggio che separa e divide, oltre la mente che categorizza e giudica e, soprattutto, oltre la letteralizzazione delle molteplici metafore (siano esse attinenti ai campi della spiritualità, dell’esoterismo, della filosofia, della religione e anche della scienza) che gli uomini scelgono di volta in volta per rivestire e colorare le stesse esperienze esistenziali archetipiche, le stesse verità perenni, gli stessi dati immediati della coscienza che si ripropongono a noi ancora ed ancora, universali in ogni tempo e cultura.

Mi riferisco alle ben note illuminazioni interne, alle esperienze estetiche e alla creazione artistica, alle intuizioni scientifiche, alle spinte all’azione eroica, a quella etica e umanitaria, al coraggio di andare verso il nuovo oltre i limiti del conosciuto, alla visione profonda, all’inventiva geniale, all’estasi, alla ricerca della libertà e della felicità, al gioco, all’autotrascendenza, alla bellezza, alla conversione all’Amore, ai sentimenti elevati, alla solidarietà, alla fratellanza. Sarebbe bello completare l’elenco. Il silenzio ci porta “oltre”. Ci (ri)porta a casa, in quel luogo che è fonte e sorgente e dal quale ogni parola, metafora e simbolo trae la sua origine.

Il silenzio permette quindi allo psicosintetista allenato di guardare in trasparenza i diversi sistemi di credenze, le diverse formulazioni dottrinali, i vari linguaggi. Il “muro di silenzio” diviene allora un filtro in grado di distillare, estrarre e far confluire nella Psicosintesi ciò che, nei differenti sistemi, indica una dimensione universale, comune, distinguendola da ciò che invece è particolare, espressione della specificità data dai vincoli di tempo, spazio e temperamento a cui sono stati e sono sottoposti gli individui e i gruppi umani che hanno informato quelle credenze, linguaggi e dottrine. La disidentificazione.

Forse proprio questa dimensione universale dell’esperienza umana è l’oggetto di studio più proprio della Psicosintesi. Essa è massimamente interessata a ciò che é potenzialmente in grado di accomunare tutti gli esseri umani, il maggior numero possibile di essi. 

Assagioli voleva espressamente, programmaticamente che chiunque potesse riconoscersi nell’impostazione psicosintetica: le persone avviate lungo un cammino di ricerca spirituale più o meno definito, così come gli agnostici e gli atei; gli artisti e gli uomini politici, i mistici e i medici, gli yogi  e gli scienziati, gli sportivi e i terapeuti.. Voleva che la Psicosintesi potesse essere accessibile a tutti senza spingere nessuno a rinunciare ai propri linguaggi particolari, alle metafore già adottate magari per convertirsi ad altri linguaggi e metafore, modificando così l’abito ma non il monaco. 

Per realizzare questo obiettivo Assagioli ha scelto come linguaggio ufficiale quello che reputava essere il più adatto a sostenere questa vocazione universale della Psicosintesi: quello empirico, concreto, pragmatico della scienza. E non mi sembra che nel presente momento storico abbiamo a disposizione un sistema di riferimento più funzionale all’obiettivo di creare un comune terreno d’intesa che permetta il dialogo al di là dei particolarismi e delle credenze personali dei singoli individui o gruppi. Pur restando anch’esso simbolo!

Consentitemi di fare un esempio di applicazione concreta di quanto appena detto che, a mio modo di vedere, illustra questa tensione chiaramente. La Psicosintesi considera l’ipotesi che il Sé transpersonale sia una realtà psichicha della quale è possibile fare esperienza. Sulla base di quest’ipotesi alcuni esercizi propongono l’incontro immaginato e il dialogo interiore con il Sé. Assagioli raccomanda di far precedere la somministrazione di questi esercizi da un momento psicagogico in cui si presenta il concetto nel seguente modo: lo psicosintetista adatta il proprio linguaggio alla mentalità e alle credenze di ognuno e non si aspetta il contrario, cioè che sia l’altro a modificare le proprie credenze per adeguarle a quelle dello psicosintetista.

Non si tratta affatto di istruire, o peggio convertire, le persone presentando loro nuovi concetti o credenze. Si tratta semplicemente di utilizzare il linguaggio (tenendo sempre ben presente che le parole sono simboli) per introdurre un’esperienza che, per definizione, si trova oltre tutte le parole e che può essere colta solo per via intuitiva. Per farlo nella maniera migliore - cioè in modo che le persone possano seriamente considerare quest’ipotesi degna di essere verificata mediante un percorso esperienziale che prevede un allenamento interiore – e necessario adeguare le parole ai singoli individui o gruppi.

Alle persone religiose si può dire, ad esempio, che l’espressione “Sé transpersonale” è un termine obiettivo, usato in psicologia, per indicare l'anima; agli agnostici si può proporre l'ipotesi che esista un centro superiore in ogni uomo e dire che vi è un numero notevole di esseri umani che ne hanno avuto l'esperienza; agli atei possiamo illustrare l’idea di potenzialità esistenti a livello inconscio non ancora attuate che possono indicarci preziose linee-guida nella nostra vita, e che rappresentano l’espressione di una più profonda autenticità.E così via.. Questo esempio riguarda il concetto di Sé transpersonale, ma il prinicpio che esso illustra può essere trasposto agli altri concetti-base della Psicosintesi.

CONCLUSIONI: Il “muro di silenzio” auspicato da Assagioli voleva originariamente senz’altro anche separare campi diversi di interesse e studio (quello scientifico, empirico della Psicosintesi da quello della spiritualità, della filosofia, dell’esoterismo e della religione), distinguere spazi e designare funzioni. Ma oggi possiamo forse provare a guardare questo muro in modo diverso, concentrando la nostra attenzione piuttosto sul materiale di cui esso è costituito: IL SILENZIO. Questo significa spostare l’accento dai contenuti che dovrebbero stare di qua o di là del muro, al tipo di atteggiamento interiore, di funzionamento mentale che il silenzio ci invita a coltivare nei confronti di ogni contenuto. Spostare cioè l’accento sul contenitore. 

Ecco allora che il “muro di silenzio” può divenire un preziosissimo strumento in grado di emancipare gli psicosintetisti e la Psicosintesi dal pensiero letterale e un potente antidoto contro i suoi sempre attuali corollari: il fanatismo, il fondamentalismo, la separatività, l’incomunicabilità e il conflitto. È in una mente allenata al silenzio che possono germogliare quelle abilità che rendono uno psicosintetista un buon psicosintetista: l’essere poliglotta e abile traduttore.Egli così si è espresso al riguardo:
"La Verità è Una, ma la sua presentazione è diversa e di livelli diversi, in base al tipo di persone a cui ci rivolgiamo. Bisogna parlare a ciascuno nella loro lingua. Dobbiamo essere poliglotti psicologicamente e spiritualmente, imparare a essere traduttori (..)” R. Assagioli
 
“Thruth is One – but its presentation is diverse and so different levels, according to the kind of people to whom we address ourselves. One has to talk to each in their language. We have to be polyglots psychologically and spiritually, learn to be translators (..)” R. Assagioli

“Nella mente silenziosa ci sono le radici dell'intelligenza e dell'amore.”C. Pensa

Petra Guggisberg Nocelli, 
Miglieglia 5 luglio 2018
 
ARTICOLO COLLEGATO:  SULLA SOGLIA DEL MISTERO

Libri di Roberto Assagioli e sulla Psicosintesi

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