nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
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SULLA MUSICA E POESIA



di Sri Aurobindo

La Musica è superiore alle altre Arti ?
 Non so cosa dire sull’argomento che mi proponete – la superiorità della musica sulla poesia – poiché il mio apprezzamento della musica è incorporeo e inesprimibile, laddove posso scrivere facilmente e con una buona conoscenza della poesia. Ma è davvero necessario stabilire una scala di grandezza fra due grandi arti, quando ciascuna ha la sua propria grandezza e può a modo suo toccare gli estremi dell’Ananda estetico ?

La musica, senza dubbio, va più vicino all’infinito e all’essenza delle cose, poiché essa si affida interamente al veicolo etereo, shabda, (l’architettura, a tratti, può fare qualcosa di simile, all’altro estremo, persino nel suo imprigionamento nella materia); ma la pittura e la scultura si prendono la loro rivincita liberando la forma visibile nell’estasi, mentre la poesia , sebbene non possa fare con il suono ciò che fa la musica, può tuttavia produrre un’armonia polifonica, una rivelazione di suono che dà le ali alla creazione per mezzo della parola e le permette di librarsi e fa aleggiare nell’aria vivide suggestioni di forma e di colore – il che le dà in maniera molto sottile il potere di tutte le arti. Chi può decidere tra tali qualità o essere giudice di queste divinità ?
 
Ho paura di dovervi deludere. Non ho intenzione di sottoporre le divinità a un esame competitivo e dare a una il posto più alto e alle altre quello più basso. Che idea ! Ciascuna ha il suo posto sulla vetta e che necessità c’è, quindi, di metterle in conflitto tra di loro ? È una sorta di giudizio di Paride quello che volete chiedermi ? Bene, ma cosa ne è stato di Paride e di Troia ? Volete che io dia la corona o la mela alla musica e faccia adirare le divinità della pittura, della scultura, dell’architettura, dell’ornamento, cioè tutte le Nove Muse ?

Il vostro giudizio di merito  – riguardo al potere di attrazione universale – è sbagliato. Non so se corrisponde al vero, in primo luogo. Alcuni tipi di suono definito musica affascinano chiunque, ma davvero la grande musica ha un fascino universale ? E – parlando di arti –più gente va al teatro o legge racconti di quanta non ne vada all’opera o a un concerto. Cosa dire dunque della superiore universalità della musica, persino nel significato più comune di universalità ?

Le “Barrack Room Ballads”  di Rudyard Kipling esercitano un fascino universale maggiore di quello di Milton o Keats – per non dire di scrittori come Blake o Francis Thompson; una banda sul molo in un luogo di villeggiatura estivo sarà gradita a più gente di una grande  esecuzione musicale dell’orchestra diretta da Sir Thomas Beecham. In un mondo di dei potrebbe essere vero che le cose più alte esercitino il fascino più universale, ma qui, in un mondo di uomini e animali…di solito sono le cose inferiori che esercitano un fascino più diffuso se non del tutto universale. D’altro canto, il sistema opposto che voi suggerite (rovesciando le cose – il fascino meno universale e più difficile è proprio dell’arte più alta) avrebbe anch’esso i suoi rischi. A questo punto dovremmo riconoscere che pittori astratti e cubisti abbiano raggiunto le più alte vette dell’arte, eguagliati soltanto dai poeti modernisti molto in voga, dei quali è stato detto che le loro opere non sono per nulla lette o comprese dal pubblico, ma sono lette e comprese solo dal poeta stesso e sono lette senza essere capite dai suoi amici e ammiratori personali.

 Quando parlate di fascino diretto, forse parlate di qualcosa di vero. La tecnica non c’entra – sebbene per un apprezzamento o un giudizio competente e completo si debba conoscere la tecnica, non soltanto in musica e pittura, per le quali è più difficile, ma anche per la poesia e l’architettura. Si tratta di qualcos’altro, non il genere di giudizio di cui state parlando. Forse è vero che la musica è in relazione con l’intuizione diretta e il sentimento, senza quasi nessuna necessità di usare la mente pensante con le sue concezioni fortemente limitanti, come un mediatore che si auto–impone, mentre la pittura e la scultura ne hanno bisogno e la poesia ancora di più.

Da questo punto di vista la musica verrebbe al primo posto, seguirebbe l’architettura, poi la scultura e la pittura e l’ultima sarebbe la poesia. Sono consapevole del fatto che Houseman postula il non–sense come l’essenza della pura poesia e considera il suo fascino del tutto diretto – non sull’anima, ma su un  qualche punto all’altezza dello stomaco. Ma allora non c’è quasi nessuna vera poesia in questo mondo e il poco che c’è si confonde con una almeno omeopatica dose di significato intellettuale. Ma se ammettessi la sua tesi sull’eccellenza da attribuirsi all’impatto immediato, mi avventurerei in acque pericolose.

Poiché anche la pittura moderna,  diventata o cubista o astratta, sostiene di essersi liberata dalla rappresentazione mentale e di avere applicato nell’arte il metodo della musica, essa non dipinge gli oggetti ma la verità che sta dietro gli oggetti – per mezzo dell’uso della pura linea, del colore e della forma geometrica, che è la base di tutte le forme, o per mezzo di figure che non sono rappresentazioni ma significati. Ad esempio un pittore moderno che voglia farvi un ritratto dipingerà in cima un orologio circondato da tre triangoli; sotto di essi un caos di rombi e in basso due ampolle di legno per rappresentare i vostri piedi; e scriverà sotto questo straordinario disegno “Ritratto di N.”.

Forse la vostra anima avrà un sobbalzo in risposta a tale diretto fascino e riconoscerà subito la verità dietro l’oggetto, dietro il vostro sé fisico scomparso – voi riconoscerete il vostro essere psichico o il vostro Atman o per lo meno il vostro essere interiore fisico o vitale. Ma forse potrebbe non essere così. La poesia sembra anche andare nella stessa direzione, usando gli stessi mezzi – spostandosi dalla mente alla profondità della vita o, come potrebbe dire il profano, raggiungendo la verità e la bellezza tramite il brutto e l’incomprensibile. Da ciò forse dedurrete che il tentativo della pittura e della poesia, cosa che soltanto la musica può fare facilmente e direttamente senza queste acrobazie, è futile perché contrario alla loro natura – il che prova la vostra tesi che la musica è l’arte più elevata, perché il suo fascino sull’anima e sui sentimenti è più diretto. Forse – o forse no; come dicono i Jainiti: syâd vâ na syâd vâ.

Ho scritto così tanto, vedete, per dire nulla – o almeno per sottrarmi al vostro tentativo di mettermi in un dilemma imbarazzante.
 …O dovremmo metterla in questo modo: “Ognuna della grandi arti ha il suo proprio fascino e la sua propria maniera di affascinare e ognuna, a modo suo, è superiore a tutte le altre” ? Sì, dovremmo vedere così le cose.
 
 
Sull’importanza della musica nell’educazione
 Platone, nella sua Repubblica, ha trattato con enfasi straordinaria l’importanza della musica nella educazione, poiché il carattere di un popolo è proprio come la musica che esso apprezza. L’importanza della pittura e della scultura è appena minore. La mente è profondamente influenzata da ciò che essa vede e se l’occhio è allenato fin dalla fanciullezza alla contemplazione e alla comprensione della bellezza e dell’armonia, del giusto accostamento di linee e colori, i gusti, le abitudini e il carattere verranno spontaneamente plasmati a seguire una simile legge di bellezza, armonia e disposizione nella vita dell’uomo adulto.

Un risultato simile è prodotto sulle emozioni dallo studio dell’arte bella o nobile. Abbiamo parlato della purificazione del cuore, la chitta Suddhi, che Aristotele considerava il compito essenziale della poesia, ed abbiamo osservato che essa si ha nella poesia tramite il distaccato e disinteressato godimento degli otto rasa o forme di estetismo emotivo che rendono la vita immune dalla turbolenza delle più basse passioni egoistiche. La pittura e la scultura lavorano nella stessa direzione con mezzi diversi. L’Arte talvolta usa gli stessi mezzi della poesia, ma non può farlo sino allo stesso punto, poiché non ha il movimento della poesia; essa è fissa, tuttavia, esprime soltanto un dato momento, un dato punto nello spazio e non può muoversi più liberamente attraverso il tempo e lo spazio. Ma è proprio questa immobilità, questa calma, questa fissità che dà all’Arte il suo distinto valore. La poesia suscita le emozioni e dà a ciascuna la sua propria delizia.

L’Arte calma le emozioni e insegna loro il piacere di una soddisfazione contenuta e limitata – questa in verità è la caratteristica che i Greci, una nazione di artisti, molto più artisti che poeti, tentarono di infondere nella loro poesia. La musica rende più profonde le emozioni e le armonizza fra di loro. Insieme la musica, l’arte  e la poesia costituiscono un’educazione perfetta per l’anima; esse rendono e mantengono i suoi movimenti purificati, auto–controllati, profondi ed armoniosi. Esse, dunque, sono agenti che non possono essere dimenticati senza danno dall’umanità nella sua progressiva evoluzione o degradate alla pura soddisfazione di piaceri sensuali che danneggiano il carattere anziché formarlo. Esse sono, se usate in maniera corretta, grandi forze educatrici, costruttive e  civilizzatrici.
 
 …Ma l’immensa forza educativa della musica, della scultura e della pittura non è stata giustamente riconosciuta. Sono state viste come sentieri collaterali della mente umana, belli e interessanti, ma non necessari e dunque riservati a pochi. Tuttavia l’impulso universale di gioire della bellezza e del fascino del suono, di guardare e vivere circondati da quadri, colori, forme, dovrebbero aver messo in guardia l’umanità circa la superficialità e l’ignoranza di un tale modo di considerare queste eterne e importanti occupazioni della mente umana. L’impulso al quale è stato negato un giusto allenamento e l’auto–purificazione si è consumato nel triviale, gaudente, sensuale, basso o volgare, invece di spingere l’uomo verso l’alto per mezzo del suo potente aiuto nell’evocare ciò che è migliore e più alto nell’intelletto così come nel carattere, l’emozione e il godimento estetico e la regola di vita e di comportamento. È difficile valutare il detrimento dovuto ad un livello basso e abbassante di godimento al quale le tendenze artistiche sono condannate nella maggior parte dell’umanità.
 
 
Eccellenza della Musica e Cultura generale
 Non ho visto le osservazioni di cui si parla, non credo che avere una buona cultura generale significhi automaticamente eccellere nella musica. La musica è un dono indipendente e non si può dire che se due persone hanno talento musicale quella con una buona cultura generale eccellerà di più nella musica. Non sarebbe così in nessuna altra arte. Ma forse si intendeva qualcosa di diverso, forse che c’è una certa disposizione all’eccellenza che rende possibile una cultura generale ?

È soltanto in questo senso che ciò potrebbe essere vero. La poesia di Shakespeare, per esempio, è quella di un uomo con una vivida e sfaccettata risposta alla vita; essa dà l’impressione di una multiforme conoscenza delle cose, ma era una conoscenza presa dalla vita in sé. Milton ottiene certe sfumature dai suoi studi e dalla sua conoscenza, ma in nessuno dei due il genio, l’eccellenza poetica, è dovuta alla cultura, ma c’è una certa sfumatura in Milton che non ci sarebbe potuta essere altrimenti, e che non c’è in Shakespeare. Essa non dà nessuna superiorità poetica all’uno rispetto all’altro.

 Differenze tra canzone e poesia
 No, una canzone non è un tipo di poesia, o almeno non ha bisogno di esserlo. Ci sono belle canzoni che non sono per nulla poesie. In Europa gli scrittori dei libretti operistici non vengono classificati come poeti. In Asia il tentativo di unire la qualità della canzone con il valore poetico è più diffusa. Anche nell’antica Grecia, la poesia lirica era spesso composta con l’intenzione di metterla in musica. E tuttavia la poesia e lo scrivere canzoni, sebbene possano andare insieme, sono due arti diverse, poiché lo scopo e il principio della loro costruzione non è lo stesso.

La differenza non è che la poesia debba essere capita e la musica o la canzone debbano essere sentite (anubhuuti); che l’una debba raggiungere l’anima attraverso l’esatto senso scritto e l’altra attraverso la suggestione del suono e il suo richiamarsi a qualche corda interna dentro di noi. Se voi semplicemente capite il contenuto intellettuale di una poesia, le sue parole ed idee, non avete affatto apprezzato realmente la poesia ed una poesia che contenga soltanto quello e nient’altro non è vera poesia. Una vera poesia contiene qualcosa di più che deve essere sentito proprio come si sente la musica e che è la sua parte più importante ed essenziale.

La poesia ha un ritmo, così come ce l’ha la musica, sebbene di un tipo diverso, ed è il ritmo che permette a questo qualcos’altro di manifestarsi per mezzo delle parole. Le parole in se stesse non lo contengono p non possono manifestarlo affatto e questo viene dimostrato dal fatto che le stesse parole scritte in un ordine diverso e senza ritmo, o senza il ritmo adatto, non avrebbero su di voi lo stesso effetto. Questo qualcos’altro è un contenuto interiore o una suggestione, un sentire dell’anima o un’esperienza dell’anima, un sentimento o un’esperienza di vita, un’emozione mentale, visione o esperienza (non semplicemente un’idea), ed è soltanto quando capite questo e riproducete alcune vibrazioni di quell’esperienza – se non l’esperienza stessa in voi –  che avete realizzato ciò che la poesia può darvi, non altrimenti.

La differenza reale fra una poesia e una canzone è che la canzone è scritta con l’intenzione di essere adattata al ritmo musicale, mentre una poesia è scritta con l’orecchio che ascolta il necessario ritmo poetico o musica delle parole. Questi due ritmi sono del tutto diversi: ecco perché una poesia non può essere trasformata in musica a meno che non sia stata scritta tenendo in considerazione entrambi i tipi di ritmo; o a meno che, per un caso fortuito, essa non abbia un movimento che renda facile, o almeno possibile, metterla in musica. Questo succede  spesso alla poesia lirica, meno spesso ad altri generi. Una canzone ha anche di solito la particolarità di avere un contenuto molto semplice, soltanto l’espressione di un’idea, di un sentimento ed essa lascia alla musica il compito di sviluppare i suoi valori inespressi. Tuttavia questa reticenza non è spesso notata e alle parole viene talvolta attribuita un’importanza maggiore.

 Ritmo e movimento
 Il ritmo è la prima necessità dell’espressione poetica, perché è il movimento del suono che trasporta sulla sua onda il movimento del pensiero nella parola, ed è il suono–immagine musicale che permette in buona parte di completare, estendere, apprezzare sottilmente e approfondire la prima impressione o l’impressione emozionale o vitale, e trasportare il senso che le sta dietro fino all’espressione di ciò che è intellettualmente inesprimibile – questo è sempre il potere peculiare della musica. Ma questo è soltanto l’aspetto tecnico, il mezzo fisico che produce l’effetto; non è l’intelligenza dell’artista o l’orecchio fisico che è al lavoro, ma qualcosa dentro che cerca di far emergere un’eco di armonie nascoste, un segreto di infinità ritmiche dentro di noi. Non è una produzione dell’intelletto distintivo o del senso estetico ciò che il poeta ha conseguito, ma un’operare dello spirito dentro di sé per esternare qualcosa dell’onda delle eterne profondità.

Le altre facoltà sono lì al loro posto, ma il direttore del movimento orchestrale è l’anima che emerge per conseguire la sua opera per mezzo dei suoi metodi più alti e non analizzabili. Il risultato è qualcosa che è quanto di più vicino alla musica senza parole che la musica delle parole sia in grado di conseguire, e con lo stesso potere di vita dell’anima, di emozione dell’anima, di profondo significato sopra–intellettuale (supra–intellectual).  In queste armonie e melodie più alte il ritmo metrico è sollevato da quello spirituale; è riempito o talvolta sembra afferrato e portato via in una musica che ha davvero un altro segreto movimento spirituale.
 
Significato del ritmo metrico nel mantra 
 Questa è l’intensità del movimento poetico dal quale sorge la più grande possibilità di espressione poetica. È quando il movimento metrico rimane come base, ma racchiude e contiene, o è esso stesso contenuto, immerso in un elemento di musica più grande, che lo supera e tuttavia fa emergere tutte le sue possibilità, che la musica del Mantra si rende udibile. È il trionfo dello spirito sulle difficoltà e limitazioni del suo strumento fisico. Il suo ascoltatore sembra essere lo spirito eterno del quale parlano le Upanishad dicendolo l’orecchio dell’orecchio, colui che ascolta tutto ciò che s può udire; e “al di là delle instabilità delle parole e del discorso” c’è l’inevitabile armonia del suo proprio pensiero e la visione che egli sta ascoltando.
 
La musica può essere ammess come una parte della vita delloYoga ?
 L’arte, la poesia e la musica non sono yoga, non sono in se stesse cose spirituali, non più di quanto lo siano la filosofia o la scienza. Qui si nasconde un’altra strana incapacità dell’intelletto moderno, la sua incapacità di distinguere tra mente e spirito, la sua spiccata tendenza a confondere gli idealismi menali, morali ed estetici con la spiritualità e le loro attitudini inferiori riguardo ai valori spirituali. E’ semplicemente vero che le intuizioni spirituali del metafisico o del poeta, per la maggior parte, sono abbastanza lontane da una concreta esperienza spirituale; si tratta di lampi lontani, pallidi riflessi, non di raggi che provenfgono dal centro della Luce.

Non è meno vero che, guardando dall’alto, non c’è molta differenza tra le alte eminenze mentali e i livelli più bassi di questa eterna esistenza. Tutte le energie della Lyla, dell’eterno Gioco, viste dall’alto sono uguali, sono tutte rivestimenti del Divino. E tuttavia bisogna aggiungere che tutto può essere considerato un primo mezzo verso la realizzazione del Divino. Una sentenza filosofica sull’Atman è una formula mentale, non è conoscenza, non è esperienza; e tuttavia talvolta il Divino le usa come canale di contatto; stranamente, cade una barriera mentale, qualcosa viene visto, si opera un cambiamento in qualche parte interiore, penetra nella natura profonda qualcosa di calmo, di equanime, di ineffabile.

Qualcuno sta su una cima montana e si arrampica o avverte mentalmente un senso di vuoto, qualcosa che pervade, la cosiddetta Vastità della Natura; e in maniera subitanea giunge il tocco, una rivelazione, un flusso, la mente si perde nello spirito, si produce la prima invasione dell’Infinito. Oppure state davanti a un tempio di Kali vicino a un fiume sacro e cosa vedete? – una scultura, un bello scorcio architettonico, ma in un attimo misterioso, inaspettatamente c’è lì una Presenza, un Potere, un Viso che guarda in voi, una visione interiore in voi ha visto la Madre dei Mondi.

Simili tocchi possono venire a colui che cera mediante l’arte, la musica, la poesia o a qualcuno che avverte lo stimolo della parola, il significato nascosto di una forma, un messaggio nel suono che veicola forse più di quello che il compositore era consapevole di significare. Ogni cosa nella Lyla può diventare una finestra che si apre sulla Realtà nascosta. Tuttavia, per quanto uno sia soddisfatto di guardare attraverso la finestra, il guadagno è soltanto un inizio; un giorno egli dovrà prendere il bastone del pellegrino e intraprendere il viaggio per il luogo dove la Realtà è per sempre manifesta e presente. Ancor meno può esserci una spiritualità soddisfatta di restare nei riflessi d’ombra, si impone una ricerca verso la Luce che si sforza di raffigurare.

Ma poiché questa Realtà e questa Luce sono in se stesse non meno in qualche regione alta al di sopra della regione mortale, nel cercarla dobbiamo ricorrere a molte figure e attività di vita; così uno offre un fiore, una preghiera, un’azione al Divino, un altro può offrire anche una forma creata di bellezza, un canto, un poema, un’immagine, un modo musicale, e ottenere mediante ciò un contatto, una risposta o un’esperienza. E quando questa divina coscienza è penetrata o quando cresce interiormente, allora ci sono anche le loro espressioni nella vita mediante quelle cose che non sono escluse dallo yoga; queste attività creative possono avere il loro posto, per quanto non intrinsecamente superiore alle altre utilizzate per uso e servizio divino.

L’arte, la poesia, la musica, così come funzionano ordinariamente, creano valori mentali e vitali, non valori spirituali; ma possono essere rivolte verso un fine più alto e quindi, come tutte le cose capaci di collegare la nostra coscienza al Divino, esse vengono trasmutate e diventano spirituali, e possono quindi essere ammesse come parte della vita dello yoga. Tutte portano nuovi valori non in se stesse, ma grazie alla coscienza che le usa; perciò c’è soltanto una cosa essenziale, necessaria, indispensabile, accrescere la coscienza della Realtà Divina, vivere in essa e viverla sempre.
 
Quello che scrivete sul canto è perfettamente corretto. Voi cantate al meglio solo quando i dimenticate di voi stesso e lo lasciate sorgere dall’interno senza pensare  ciò che serve per renderlo eccellente o all’impressione che deve fare. Il cantore esteriore dovrebbe quindi sparire nel passato, ed è solo così che può prendere il suo posto il cantore interiore.
Così come per il vostro canto, io non ho parlato di nessuna nuova creazione dal punto di vista estetico, ma del cambiamento spirituale – la forma che può prendere dipende da quel che trovate al vostro interno quando è presente la base più profonda.

Non vedo nessuna necessità di rinunciare al canto; intendo solo – ed è la logica conclusione di quanto vi ho scritto, non adesso ma prima – che il cambiamento interiore deve essere la prima considerazione e il resto può nascere da questo. Se cantare in luogo pubblico vi distoglie dalla condizione interiore, dovete metterlo al secondo posto e cantare solo per voi stesso e per il Divino per quanto ne siete capace, anche di fronte agli altri, dimenticare l’uditorio. Se siete turbato dalla paura di fallire o eccitato dal successo, dovete superare la cosa.
 
(traduzione di M. Furru e G. Elia)


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