Le cose sono unite da legami invisibili, non si può cogliere un fiore senza turbare una stella - Albert Einstein

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L'ECOLOGIA IN PRATICA
UNO STILE DI VITA NATURALE
PER SE' E PER IL PIANETA
L'ECOLOGIA IN PRATICA
Sono la natura
sono la terra.
i miei occhi sono il cielo,
le mie membra gli alberi.
Sono la roccia,
la profondità dell'acqua,
non sono qui per dominare
la Natura.
Io stesso sono la Natura.

Indiani Hopi

Questa terra é sacra
<b>Questa terra é sacra</b>





Come potete comperare
o vendere il cielo,
il calore della terra?
l'idea per noi é strana.
Se non possediamo
la freschezza dell'aria,
lo scintillio dell'acqua.
Come possiamo comperarli?
Continua...
ONDE DI CRESCITA INTERIORE
ONDE DI CRESCITA INTERIORE La crisi ecologica - ovvero il principale problema di Gaia - non è l’inquinamento, i rifiuti tossici, il buco nell’ozono o qualcosa del genere. Il principale problema di Gaia è che un numero non sufficiente di esseri umani si è sviluppato ai livelli di coscienza postconvenzionali, planetari e globali in cui sarebbero spinti automaticamente alla cura per il globale comune. E gli esseri umani sviluppano questi livelli postconvenzionali, non imparando la teoria dei sistemi, ma passando attraverso almeno una mezza dozzina delle principali trasformazioni interiori, che vanno dall’egocentrico all’etnocentrico al mondocentrico, punto in cui e non prima, possono risvegliarsi a una profonda e autentica cura per Gaia. La prima cura per la crisi ecologica non consiste nell’imparare che Gaia è la Rete della Vita, per quanto vero ciò sia, ma nel promuovere queste numerose e ardue onde di crescita interiore, nessuna delle quali viene indicata dalla maggior parte di questi approcci del nuovo paradigma.
Continua... 
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE 1 L’Italia vive l’anomalia di un nuovo Medioevo. Più che in altri paesi, è visibile in Italia l’emergenza ecologica, il degrado sociale e la crisi di fondamentali valori etici; permangono aree vaste di ignoranza, incapacità, ingiustizia. Meno facilmente che altri paesi, l’Italia quindi può affrontare la conversione ecologica delle attività economiche, il risanamento ambientale e morale del paese, la partecipazione diretta delle persone alla attività sociale ed una effettiva realizzazione di una sana cultura dei diritti e dei doveri che dovrebbero regolare ed ispirare la vita sociale collettiva. 2 Sia in Europa che nel resto del pianeta, vi è una tripla crisi :a) economica e finanziaria (causata da un modello di crescita superato) b) ambientale conseguente, c) socio-culturale. Tre grandi crisi che non trovano più risposte adeguate dal sistema della politica: non dai partiti socialdemocratici in crisi dappertutto e neppure dall’egoismo sociale e dall’indifferenza ambientale dei vari partiti conservatori. Solo un modello sociale e produttivo eco-orientato ed eco-sostenibile, che all’idea di una crescita senza limiti sostituisca un idea di sobrietà, che non escluda anche l’utilità di avere aree di decrescita virtuosa e felice, può essere in grado di affrontare le difficoltà del presente. ...Continua...
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO di Maneka Gandhi

Mangiare carne è una delle maggiori cause della distruzione ambientale. Ogni specie non solo ha il diritto di vivere, ma la sua vita è essenziale per il benessere dell’umanità. Ciò che chiamiamo sviluppo, cioè la sterile città nella quale portiamo i nostri cani al guinzaglio, non è vita. Ci abituiamo così velocemente al malessere, alla tensione, alle carestie e alle alluvioni che pensiamo che i pezzi di carta che teniamo in tasca possano sostituire un corpo sano e una mente gioiosa. Scegliamo di non sapere che, praticamente tutte le nostre malattie sono causate dalla mutilazione e dall’uccisione di animali: dai 70.000 acri di foresta pluviale del Sudamerica abbattuti ogni giorno – che in gran parte servono per far pascolare il bestiame – fino al virus Ebola, proveniente dalle scimmie strappate dal loro habitat naturale in Africa allo scopo di fare esperimenti. Abbiamo ottenuto più cibo uccidendo i lombrichi con le nostre sostanze chimiche o abbiamo ottenuto più malattie? Abbiamo ottenuto una salute vigorosa allevando forzatamente bestiame per il latte e la carne, o abbiamo piuttosto ottenuto emissioni di gas metano che hanno contribuito enormemente all’effetto serra, mettendo in pericolo la vita del pianeta? Continua...

LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE
LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE

di Lester Brown

Per creare una economia sostenibile bisognerà sostenere una rivoluzione ambientale, come è avvenuto per quella agricola e industriale. Alla fine del libro Piccolo è bello, Schumacher parla di una società che violenta la natura e danneggia gli esseri umani e, da quando queste parole sono state scritte, diciotto anni fa, abbiamo potuto vedere con maggiore evidenza i modi con i quali la nostra società agisce proprio in quella direzione.Mi trovavo all’aeroporto di Dulles e presi una copia del US News and World Report, che conteneva un editoriale di David Gergen, un alto funzionario dell’Ufficio Stampa di Reagan alla Casa Bianca. L’articolo descriveva quello che stava accadendo oggi alla società americana e l’autore affermava che, in un certo senso, abbiamo perso la strada. Continua...

RISPETTA LA (TUA) NATURA
<b>RISPETTA LA (TUA) NATURA </b> Michele Vignodelli

Il nostro corpo e la nostra mente sono meraviglie naturali in pericolo, da difendere come le foreste, i fiumi, il mare e le montagne. Sono continuamente aggrediti dal sistema tecnologico ed economico che ci governa, proprio come il resto del mondo naturale.
Non potremo mai rispettare e vivere veramente la suprema bellezza e armonia della natura esterna se non cominciamo da noi stessi. Eppure esiste una spaventosa ignoranza sulla nostra natura interna, che fa pensare a una congiura del silenzio.
Negli ultimi anni sono emerse abbondanti prove dell’esistenza di
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RICORDO DI IVAN ILLICH
RICORDO DI IVAN ILLICH


di Giannozzo Pucci *

Il primo libro di Illich, pubblicato alla fine degli anni '60, riguarda appunto la Chiesa nel processo di trasformazione della società moderna (The Church, change and development).
Il secondo, del 1970, intitolato "Celebration of Awareness (Celebrazione della consapevolezza": un appello alla rivoluzione istituzionale), è contro le certezze delle istituzioni che imprigionano l'immaginazione e rendono insensibile il cuore.
Poi, nel 1971, esce "Descolarizzare la società", che è stato al centro del dibattito pedagogico internazionale con la tesi che la scuola produce la paralisi dell'apprendimento e danneggia i ragazzi, educandoli a diventare meri funzionari della macchina sociale moderna. Convinto che il sistema educativo occidentale fosse al collasso sotto il peso della burocrazia, dei dati e del culto del professionalismo, combatteva i diplomi, i certificati, le lauree,
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LA VENDETTA DI GAIA
LA VENDETTA DI GAIA

di James Lovelock

La vendetta di Gaia : assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Per millenni abbiamo vissuto con la strategia del parassita, ai danni dell'organismo vivente che ci ospita. Ora, assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Il parassita e' un essere che vive a spese di un altro organismo. Se ne nutre, cresce, si riproduce e prospera. Eppure, la sua non e' una strategia lungimirante. Le energie dell'organismo ospite diminuiscono giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Finche' un giorno accade l'inevitabile: l'organismo ospite si avvia a una fine certa. E il parassita, senza risorse, e' destinato a scomparire. Questa immagine e' la perfetta metafora della storia della specie umana. A dimostrarlo sono i fatti. Migliaia di anni di occupazione del pianeta hanno provocato distruzione degli habitat, estinzione di molte specie, emissioni record di gas serra in atmosfera e nubi di polveri sottili nell'emisfero nord e sulle metropoli. Un'aggressione prolungata alla quale la Terra ora reagisce innescando una lunga serie di disastri naturali, quali inondazioni e uragani, sempre piu' numerosi e violenti, ed eventi climatici estremi, come estati torride e punte di freddo anomalo. Il pianeta che abitiamo non ha piu' anticorpi per difendersi. E allora attacca.
Lo sostiene a gran voce uno scienziato autorevole e indipendente, James Lovelock, nel suo nuovo libro, The revenge of Gaia (La vendetta di Gaia) in uscita il 2 febbraio in Gran Bretagna! . Il nostro mondo, afferma, potrebbe avere superato il punto d! i non ritorno: la soglia oltre la quale non possiamo fare piu' nulla per evitare che, entro la fine del secolo, i cambiamenti causati dall'attivita' umana distruggano la nostra civilta' Continua....
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VELTRONI E LA FINTA ECOLOGIA


LA POLITICA AMBIENTALE INDICATA DA VELTRONI NEL DISCORSO DI AUTOCANDIDATURA ALLA GUIDA DEL PARTITO DEMOCRATICO (TORINO, LINGOTTO, 23 giugno 2007)

Articolo di Maurizio Pallante

Nel discorso programmatico con cui si è ufficialmente candidato alla guida del Partito democratico e, in caso di vittoria elettorale, alla guida del governo, Veltroni ha sostenuto che il problema prioritario da affrontare è la crisi ambientale. «La nuova Italia nasce dalla riscrittura di almeno quattro grandi capitoli della nostra vicenda nazionale: ambiente, nuovo patto tra le generazioni, formazione e sicurezza. I mutamenti climatici sono il primo banco di prova di questa vera e propria sfida».

Una dichiarazione così impegnativa induce a credere che abbia studiato il problema con molta cura, abbia acquisito la consapevolezza della sua gravità, ne abbia analizzate le cause e abbia individuato una strategia per affrontarlo. Come hanno fatto gli esponenti di spicco di quella sinistrula vagula blandula di stampo anglosassone che costituiscono i suoi modelli politici di riferimento. L’ex vice presidente degli Stati Uniti, Al Gore, ha realizzato un filmato divulgativo di grande efficacia, Una scomoda verità, che ha fatto il giro del mondo contribuendo a sviluppare la consapevolezza della gravità di questo problema a livello planetario.

L’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton ha costituito la Clinton Climate Initiative, un centro studi che collabora con alcune metropoli alla realizzazione di programmi per la riduzione delle emissioni di CO2 ed è stato tra i promotori del C40 Climate Summit, un convegno mondiale che si è svolto a New York nel mese di maggio 2007, a cui hanno partecipato 250 rappresentanti delle città più grandi del mondo. L’ex premier inglese Tony Blair, più preoccupato delle conseguenze economiche che di quelle ambientali dell’effetto serra, ha affidato all’economista Nicholas Stern, uno studio da cui è emerso che per evitare una riduzione del 20 per cento del pil basterebbe investirne l’1 per cento per ridurre le emissioni di CO2. L’attuale premier inglese Gordon Brown ha rilanciato un programma di investimenti per costruire un intero quartiere di Londra con edifici ad alta efficienza energetica che soddisfano il loro fabbisogno con piccoli impianti di fonti rinnovabili.

Nel suo discorso d’investitura, dopo aver indicato nei cambiamenti climatici il problema più grave da risolvere, Veltroni ha delineato, come i suoi modelli di riferimento, i punti essenziali di una strategia per affrontare la sfida che pongono all’umanità?

In relazione alle cause si legge che «l’effetto serra è causato dal modo tradizionale di produrre e consumare energia». Un’affermazione che di per sé non dice nulla e non offre nessuna indicazione operativa, ma lascia sottintendere che la soluzione del problema energetico, come di tutti gli altri problemi ambientali, sociali e tecnologici sia la ricerca dell’innovazione, una sorta di parola magica assolutamente indeterminata, che tuttavia nel suo sistema di valori deve assumere un valore intrinseco, dal momento che insieme all’aggettivo nuovo ricorre ben 57 volte, col supporto dell’aggettivo moderno e del sostantivo modernità utilizzati 11 volte, in tutti i passaggi in cui si propone di enfatizzare quanto di meglio gli uomini sono in grado di fare o possono aspirare a fare. Sull’individuazione delle cause non ha detto niente di più. E sulle soluzioni?

La strada per risolvere il problema, secondo Veltroni, «è quella indicata dai tre 20% fissati come obbiettivo al 2020 dall’Unione Europea: + 20% di fonti rinnovabili, - 20% di consumi energetici, - 20% di emissioni di gas serra». Pappa già pronta. Basta copiare quello che dice l’Europa. Ma per copiare  Nonostante questa chiarezza espositiva, qualcuno non se n’è accorto. Il vecchio saggio Eugenio Scalfari, uno dei principali sponsor di Veltroni attraverso il suo giornale e il gruppo di potere che lo controlla, riassumendo i passaggi fondamentali del discorso d’investitura del suo pupillo nell’articolo Un governo in affanno che deve durare, la Repubblica, 15 luglio 2007, pag. 29, ha omesso la parte relativa all’ambiente e all’effetto serra. «Nel discorso del Lingotto, - ha scritto - Veltroni ha reso esplicite le sue posizioni e l’orientamento che ritiene di poter dare al nascituro partito. Ha parlato di precariato, di previdenza, di sicurezza, di infrastrutture, di giovani, di Mezzogiorno e di Nord, di pressione fiscale da allentare, di evasione fiscale da perseguire, di lavoro autonomo e di lavoro dipendente, di Europa e d’America». bisogna prima capire.

Come è possibile considerare dello stesso tipo tre percentuali di cui la terza indica l’obbiettivo da raggiungere e le prime due i mezzi per raggiungerlo?2 La sua strategia per affrontare il più grave problema della specie umana in questa fase storica, un problema che può portarla all’estinzione, si fonda sulla banale ripetizione di una giaculatoria – fonti rinnovabili e riduzione dei consumi - senza il benché minimo sforzo di indicare le linee generali di come si possano perseguire praticamente questi obbiettivi, a cui attribuisce due valori percentuali a caso - perché non 18 e 24 % ? o 14 e 22 % ? - senza fornirne la benché minima motivazione, e aggiungendo in conclusione il gran botto di un cortocircuito logico. Al raggiungimento dell’obbiettivo di ridurre complessivamente del 60 % le emissioni di CO2 concorre una riduzione del 20 % delle emissioni di CO23. Zac !

È saltata la luce. Ma, quel che è più grave, non se n’è accorto nessuno. Non solo il vecchio saggio Scalfari che non ha sentito questo passaggio perché probabilmente dormiva. Nessuno che abbia fatto un salto sulla sedia, non un buh, non un ortaggio tirato sul palco del Lingotto, non un solo «Ma vattene a casa» come nella memorabile scena del teatro d’avanspettacolo degli anni quaranta descritta da Fellini nel film Roma. Il compassato pubblico del Lingotto di Torino ha applaudito molto educatamente e i servizi giornalistici seguenti hanno inneggiato al novello salvatore della patria.

Ionesco e tutto il teatro dell’assurdo non sarebbero riusciti a fare altrettanto. Del resto, per capire che si tratta di parole in libertà, basta fare riferimento a due fatti. Il primo sono gli impegni di ridurre le emissioni di CO2 assunti dall’Italia a Kyoto. Era un modesto - 6,7 % in 20 anni, dal 1990 al 2010, e si è avuto un aumento del 13,5 %. Adesso Veltroni parla del 60 per cento in 13 anni come se fosse una cosa da nulla. Il secondo è di quanto sono aumentate le emissioni di CO2 a Roma durante gli 8 anni in cui, fino ad ora, ne è stato sindaco. Eppure, come tutti i sindaci, aveva strumenti efficaci per ridurle: dalle limitazioni al traffico privato (come ha fatto il sindaco di Londra, Ken Livingstone) all’emanazione di un allegato energetico al regolamento edilizio che vincolasse la concessione delle licenze di costruzione al raggiungimento di obbiettivi di efficienza energetica nel riscaldamento e nel condizionamento degli edifici.

Non solo il sindaco di Roma non ha fatto nulla di tutto ciò, ma si vanta di aver introdotto in Italia la vergognosa usanza delle notti bianche, che comportano un aumento di consumi energetici certamente non necessari a migliorare la qualità della vita in un paese inserito in quel 20 per cento dell’umanità che si accaparra l’80 per cento delle risorse energetiche mondiali, sottraendo l’indispensabile al restante 80 per cento della popolazione mondiale. Africa inclusa. Indicare percentuali da raggiungere è un’operazione dalla valenza politica nulla, se non si basano su calcoli realistici effettuati su un pacchetto di proposte concrete. Quali indicazioni operative offrono frasi del tipo: «Potenziare le azioni di risparmio energetico» e «Potenziare l’uso delle fonti rinnovabili»? Con quale credibilità si possono indicare obbiettivi nazionali che fanno tremare le vene e i polsi, quando a livello locale il problema è stato completamente e irresponsabilmente ignorato?

L’unica proposta da cui si può, alla lontana, dedurre qualcosa di concreto è: «Investire in dosi massicce sulle Il documento più recente in cui la Commissione Europea ha affrontato il problema dell’effetto serra e delle strategie per contrastarlo è del 10 gennaio 2007 e s’intitola: Limiting global climate change to 2 degrees Celsius. The way ahead for 2020 and beyond. In questo documento si sostiene che per contribuire a limitare a 2 gradi Celsius l’aumento della temperatura terrestre rispetto all’era pre-industriale (dal 1905 al 2005 è stato di 0,74 gradi), entro il 2020 l’Europa deve ridurre le sue emissioni di CO2 del 20 per cento rispetto ai valori del 1990. Le misure indicate per raggiungere questo obbiettivo sono: un miglioramento dell’efficienza energetica del 20 per cento, l’innalzamento della percentuale di fonti rinnovabili dall’attuale 7 per cento al 20 per cento, il sequestro e lo stoccaggio geologico della CO2 in 12 grandi installazioni dimostrative entro il 2015. Non si può nemmeno pensare che si tratti di una svista perché la stessa formula è stata ripetuta da Veltroni in un articolo intitolato Ecologia del fare, pubblicato in prima pagina da La Stampa del 7 luglio 2007, dove si legge: «La via è quella indicata dall’Unione Europea con i tre obiettivi «20%» che si è data per il 2020: meno 20% sulle emissioni di anidride carbonica, meno 20% sui consumi energetici, più 20% almeno di fonti rinnovabili». E, inoltre, che occorre «un ecologismo del sì, che si batta per «fare» anziché per «non fare».

Un ecologismo che sostenga, anziché contrastare, l’energia eolica, l’alta velocità, i rigassificatori, tutte infrastrutture necessarie per ridurre i consumi di petrolio e carbone». Da dove sbuchi fuori l’obbiettivo di ridurre i consumi di petrolio e carbone per contrastare l’effetto serra non si capisce, se non dalla necessità di mantenere aperta, con un giochino delle tre carte, la porta ai rigassificatori. Purtroppo anche il gas contribuisce, seppure in maniera più ridotta, alle emissioni di CO2. Così come l’Alta Velocità, che consuma energia in una misura 9 volte maggiore rispetto ai treni attuali (tradizionali?). Ciò che accomuna queste infrastrutture ai grandi impianti eolici, che invece non generano CO2, è un tipo specifico di impatto ambientale e paesaggistico, nonché la componente di rischio, che ciascuno di essi ha. infrastrutture e sulle tecnologie per la mobilità ecosostenibile». Che in termini più chiari significa estendere la cementificazione per realizzare grandi opere. Il che comporta un aumento delle emissioni di CO2 e non una loro diminuzione.

A partire da questo nucleo di parole in cui i cortocircuiti logici si intrecciano con l’ignoranza del problema e con una assoluta evanescenza di proposte, il candidato alla segreteria del Partito democratico e alla presidenza del Consiglio parte lancia in resta a polemizzare con gli ambientalisti del «no a tutto», rivendicando di essere dalla parte di un ambientalismo dei sì senza peraltro averne nessuno nella sua sporta da sindaco. E lo fa presentando due proposte vaghe e generiche, una delle quali anche indeterminata, che a suo modo di vedere sarebbero le uniche «ecologicamente compatibili».

Per definizione e, quindi, senza bisogno di dimostrazione. In alternativa ci sarebbe solo il permanere delle attuali situazioni di degrado ambientale, di cui si farebbero paladini gli ambientalisti del no. Tertium non datur. In realtà tra le sue proposte evanescenti e l’inazione che attribuisce agli ambientalisti del no, mentre invece è l’esito di decenni di cattiva gestione della politica ambientale da parte di chi ha governato, ce ne sono altre che non prende nemmeno in considerazione. Perché non le conosce? Perché, essendo tra coloro che hanno governato e portano la responsabilità di un degrado ambientale che non sono stati capaci di contrastare (che non si sono posti il problema di contrastare), fa comodo attribuirne la responsabilità a ipotetici avversari che avrebbero impedito con i loro «no a tutto» l’applicazione delle loro soluzioni «ecologicamente compatibili»?

«Non si può dire no all’alta velocità – attacca- se poi l’alternativa è il traffico che inquina e la qualità della vita che peggiora perché per spostarsi ci vuole il doppio del tempo e il doppio dei consumi e il doppio dell’energia». L’alta velocità è veramente l’unica alternativa agli intasamenti da traffico? L’unico modo di ridurli e di ridurre i consumi energetici nel settore dei trasporti? Nel bilancio 2006 di Trenitalia si legge che l’80 per cento dei biglietti emessi sono per viaggi inferiori ai 50 chilometri. Poiché i treni ad alta velocità per essere tali non possono effettuare fermate a distanze così ravvicinate (sulla linea Torino Milano non ce n’è nessuna intermedia), il loro contribuito alla riduzione del traffico automobilistico e dei tempi di spostamento è praticamente nullo.

Quanto ai consumi energetici, non solo non li dimezzano, ma li moltiplicano, perché a parità di chilometri percorsi, l’energia necessaria a far viaggiare un treno è proporzionale al quadrato della velocità. Viaggiando a 300 chilometri all’ora se ne consuma 9 volte di più di quanta ne occorre a 100 chilometri all’ora. Ma non è tutto. I treni ad alta velocità non possono utilizzare la rete ferroviaria esistente. Bisogna costruirne una nuova in grado di resistere alle maggiori sollecitazioni. Per cui occorrono quantità impressionanti di calcestruzzo. Basta osservare le devastanti muraglie dei tratti già costruiti, con le loro dotazioni di ponti e sovrappassi necessari a mantenere i collegamenti tra le porzioni di mondo che spaccano in due.

La produzione di cemento è un’attività molto energivora che fornisce un contributo rilevante all’incremento delle emissioni di CO2 (per non parlare degli sfregi apportati alle montagne dalle cave) e la cementificazione del suolo naturale comporta la riduzione della fotosintesi clorofilliana, l’unico processo biochimico che assorbe la CO2 e ne riduce la concentrazione in atmosfera.

Per «ridurre il traffico che inquina» e peggiora la qualità della vita, per dimezzare i consumi energetici e i tempi degli spostamenti occorre potenziare e migliorare le linee ferroviarie esistenti, occorre potenziare i mezzi di trasporto pubblico e porre limiti alla circolazione delle auto private nelle aree urbane. Con quale credibilità si può sostenere di far parte degli ambientalisti del sì presentando proposte che peggiorano i problemi invece di risolverli? Con l’aggravante etica e politica di non averli attenuati nemmeno un po’, pur avendo i mezzi e il potere per farlo, in due mandati da sindaco della capitale?
 
Da quale pulpito si scarica la responsabilità della mancata soluzione di questi problemi sugli ambientalisti definiti del «no a tutto», che invece hanno detto no documentati a proposte ecologicamente devastanti elaborando proposte alternative scientificamente ben documentate? «Non si può dire di no al ciclo di smaltimento dei rifiuti moderno ed ecologicamente compatibile e lasciare che l’unica alternativa siano le discariche a cielo aperto ed aria irrespirabile e nociva».

A parte il fatto che non è dato sapere in cosa consista il misterioso ciclo di smaltimento dei rifiuti moderno ed ecologicamente compatibile a cui fa Veltroni riferimento (ma il fatto che sia moderno è una garanzia forse maggiore del fatto che sia ecologicamente compatibile) l’unica alternativa a questo misterioso ciclo è davvero la discarica maleodorante e nociva? Sta forse pensando alla discarica di Malagrotta, che in 8 anni da sindaco non è stato capace di sostituire col suo misterioso ciclo? Si è mai preso la briga di annusare quelle vere e proprie «discariche a cielo aperto ed aria irrespirabile e nociva» che sono i cassonetti dei rifiuti nelle vie di Roma? Il misterioso ciclo ecologicamente compatibile a cui allude ne farà a meno? Li abolirà? Poiché quasi certamente con quella formula allude all’incenerimento senza avere il coraggio di dirlo esplicitamente, i cassonetti stradali di rifiuti indifferenziati ne sono il necessario supporto, sono i magazzini territoriali del suo cibo e quando si fa un inceneritore con un forno da tot tonnellate/giorno bisogna rifornirlo quotidianamente con quella quantità di rifiuti indifferenziati.

I cassonetti dovranno continuare a traboccare di rifiuti da bruciare, a essere piccole «discariche a cielo aperto e aria irrespirabile e nociva» distribuite sul territorio comunale, perché se i forni alimentati a misura della loro capacità digestiva già costano più di quanto rendono (tant’è che occorre sostenerne i disavanzi economici dirottando su di essi le tasse che si pagano per sviluppare le energie rinnovabili), figuriamoci quanto denaro in più sarà necessario se si sottoalimentano perché la raccolta differenziata aumenta, si riduce la quantità di rifiuti indifferenziati e, di conseguenza, il numero dei cassonettiminidiscariche- diffuse che li contengono. In più gli inceneritori non sono un sistema alternativo alle discariche, anzi hanno bisogno di discariche per le ceneri, che ammontano al 30 per cento in peso dei rifiuti bruciati e sono un rifiuto pericoloso e nocivo, molto più difficile e costoso da trattare dei materiali che finiscono nelle discariche di rifiuti solidi urbani.

Quanto all’ecologicamente compatibile, ammesso che il ciclo misterioso consista nell’incenerimento, tra emissioni di nanoparticelle, furani e diossine, non è facile trovare impianti industriali più nocivi. Ammettiamo tuttavia per assurdo che non lo siano, che non emettano nessun inquinante, la combustione dei rifiuti, come tutte le combustioni, emette comunque CO2. Ma la riduzione delle emissioni di CO2 del 60 per cento in 13 anni non era la priorità della prima delle quattro priorità per fare l’Italia nuova? Si può ragionevolmente pensare di ridurle di quella portata, aumentando le fonti di emissione ?

A differenza di quanto dice Veltroni, oltre all’incenerimento e alla discarica vi è una terza modalità di trattare i rifiuti, di cui si fanno sostenitori gli ambientalisti che lui definisce del no mentre invece sono di un sì diverso dal suo. Molto più interessante sia ecologicamente che economicamente, perché invece di sprecare le risorse contenute negli oggetti dismessi, interrandole o bruciandole, le recupera mediante una raccolta differenziata gestita con criteri di economicità. Ovvero: controllata per ottenere una separazione in materiali omogenei riutilizzabili (la tecnica migliore sulla base delle esperienze fatte in differenti tipi di contesti urbani è la raccolta porta a porta); finalizzata a ridurre le quantità dei rifiuti con l’applicazione di tariffe commisurate alla quantità residua di rifiuti indifferenziati; organizzata in funzione del riciclaggio delle materie prime secondarie recuperate, in modo da guadagnare dalla loro vendita e reimmissione nei circuiti produttivi.

La parte residua di rifiuti indifferenziati (minore quantitativamente e molto meno inquinante delle ceneri degli inceneritori) può essere ulteriormente ridotta in impianti di trattamento meccanico biologico, TMB, dove i residui organici vengono inertizzati, accelerando meccanicamente i processi biologici di fermentazione aerobica che avverrebbero naturalmente in tempi più lunghi, e si recuperano con sistemi meccanici ulteriori frazioni di metalli ferrosi e non ferrosi, inerti, carta, plastica, legno. L’impatto ambientale di questo processo è minimo, i costi di investimento molto inferiori a quelli di discariche e inceneritori, la vendita dei materiali recuperati copre i costi di gestione e consente di ottenere utili che, trattandosi di un servizio pubblico, possono tradursi in una riduzione delle tariffe, come è già accaduto nei comuni più virtuosi. Se ben organizzato, questo sistema è il più ecologicamente compatibile ma, contrariamente a quanto crede Veltroni, è moderno solo perché utilizza tecniche moderne per gestire un processo antico quanto le società umane, dove si sono sempre riutilizzati e riciclati gli oggetti dismessi e i rifiuti non esistevano nemmeno concettualmente.

Per completare il suo ragionamento passando dai due esempi dell’alta velocità e degli inceneritori a un criterio di carattere generale, Veltroni aggiunge: «Quello a cui pensiamo è l'ambientalismo dei sì. Sì a utilizzare le immense possibilità della tecnologia per difendere la natura».

Chiunque abbia raggiunto i quarant’anni ha avuto modo di vedere come sia stato proprio lo sviluppo tecnologico a distruggere progressivamente la natura. Fiumi inquinati da veleni di sintesi chimica, emissioni nocive in atmosfera, fusti di rifiuti tossici interrati nei piazzali delle fabbriche e nelle aree golenali, eutrofizzazione delle acque costiere, falde idriche contaminate da diserbanti e trielina, maree nere di petrolio defluito da navi affondate, nubi radioattive rilasciate da centrali nucleari, alterazioni irreversibili degli habitat di centinaia di migliaia di specie viventi, estensione della cementificazione e della impermeabilizzazione dei suoli. Viste dalle navicelle spaziali, le incrostazioni di cemento e asfalto delle aree urbanizzate appaiono come vere e proprie confomazioni geologiche che attraversano interi continenti.

Una motosega consente a una persona di abbattere in un giorno quantità di alberi che non potevano essere abbattute in un mese da una squadra di boscaioli. L’aumento delle concentrazioni di CO2 nell’atmosfera terrestre da 280 a 380 parti per milione e l’innalzamento della temperatura terrestre, da cosa dipendono se non dall’uso di tecnologie sempre più potenti per estrarre quantità sempre maggiori di idrocarburi dal sottosuolo, con cui alimentare impianti industriali dotati di tecnologie sempre più potenti che consumano sempre maggiori quantità di energia per produrre sempre maggiori quantità di oggetti che consumano quantità sempre maggiori di energia per funzionare? Come si faccia ad avere una fiducia così totale nella tecnologia, una fiducia con le caratteristiche di una vera e propria venerazione, è difficile da capire. Quando si parla delle sue immense possibilità, come si fa a evidenziarne soltanto quelle sino ad ora più immaginate che attuate di difendere la natura, cancellando dal proprio orizzonte visivo quelle distruttive applicate in ben più ampia misura?

Tuttavia è anche vero che la difesa della natura attualmente non può più prescindere dalle possibilità offerte dalla tecnologia. Auspicare una moratoria delle innovazioni tecnologiche, come pure è stato fatto, oltre a non essere possibile, per lo meno a livello mondiale, aggraverebbe l’impatto ambientale dell’umanità sull’ecosistema terrestre. Il raggiungimento di soglie minime di benessere da parte delle popolazioni più povere sarebbe distruttivo se non venisse supportato dalla tecnologia. Le cucine a gas, meglio se prodotto mediante fermentazione anaerobica di scarti organici, sono ecologicamente molto più compatibili della combustione della legna all’aperto. Il miglioramento dell’efficienza tecnologica dei pannelli fotovoltaici comporta una proporzionale riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dalla generazione termoelettrica. Indicare nelle innovazioni tecnologiche la dannazione o la salvezza dell’umanità ha la stessa inconsistenza concettuale. Allora dov’è il discrimine ?

Se la tecnologia viene posta a servizio della crescita economica non può che essere distruttiva nei confronti della natura. Le innovazioni tecnologiche di processo finalizzate ad aumentare la produttività comportano un consumo crescente di risorse, che esaurisce progressivamente - sta esaurendo - gli stock di quelle non rinnovabili ed eccede le capacità naturali di rigenerazione di quelle rinnovabili. Inoltre scaricano negli ambienti emissioni liquide, solide e gassose non metabolizzabili dai cicli biologici o in quantità maggiori di quelle che riescono a metabolizzare. Se l’impronta ecologica dell’umanità nel suo complesso è già oggi superiore alle capacità del pianeta terra e ne richiederebbe uno e mezzo, le innovazioni tecnologiche finalizzate alla crescita del prodotto interno lordo non possono che aggravare progressivamente questi problemi fino all’implosione. Ma non è tutto.
 
Le innovazioni tecnologiche di processo finalizzate a incrementare la produttività richiedono contestualmente innovazioni tecnologiche di prodotto finalizzate a rendere obsoleti in tempi sempre più brevi i prodotti per accelerare i tempi di sostituzione. Da ciò deriva un incremento costante dei rifiuti, l’altro gravissimo problema ambientale che i paesi industrializzati soprattutto, ma non solo, si trovano a dover risolvere e non riescono a risolvere.

Tutto il discorso d’investitura di Veltroni al Lingotto è un inno alla crescita e alle innovazioni finalizzate ad accrescere la competitività: cioè a produrre sempre di più a prezzi sempre più bassi. «Il Partito democratico, il partito di chi crede che la crescita economica e l’equa ripartizione della ricchezza non siano obiettivi in conflitto, e che senza l’una non vi potrà essere l’altra». «L’Italia ha bisogno di crescita. Il governo Prodi sta lavorando per questo. […] L’Italia deve crescere e investire nella sua competitività. […] Crescere e competere è possibile. […] La nazionalità non si difende con le barriere, ma con una maggiore competitività, con un’ampia disponibilità all’innovazione». «… senza crescita gli obiettivi di una grande forza dell’equità e delle opportunità sono destinati a soccombere».

Non è forse la ricerca esasperata della competitività la causa dell’abnorme diffusione dei rapporti di lavoro precari, soprattutto tra i giovani, e delle varie forme di inquinamento ambientale? Non è questa la causa dello sfruttamento dei bambini nelle fabbriche occidentali delocalizzate nel sud est asiatico? Se cresce il prodotto interno lordo in Italia e nei paesi industrializzati dove il 20 per cento dell’umanità consuma l’80 per cento delle risorse, lasciandone al restante 80 per cento della popolazione mondiale il 20 per cento, non aumenterà inevitabilmente la povertà dell’Africa su cui pure Veltroni si commuove e riversa quantità industriali di buonismo? Quando scrive: «Perché mai oggi un ragazzo non deve poter avere le garanzie, le tutele sociali e le opportunità che esistono per i suoi coetanei inglesi», sta parlando di un ragazzo italiano, non di un ragazzo del Ghana che, se l’italiano, grazie alla crescita del pil, riuscirà ad averne come l’inglese, ne avrà ancor meno di quelle che ha oggi. Così Veltroni potrà commuoversi ancora di più accompagnando gli studenti romani in Africa.

Contare sulle potenzialità immense della tecnologia per risolvere i problemi ambientali che sono stati causati dalla crescita della potenza tecnologica significa credere che un problema possa essere risolto rafforzandone le cause. In questa convinzione, che potrebbe essere definita un assurdo logico, per una volta Veltroni non è da meno dei modelli americani a cui ispira la sua concezione politica. Le sue posizioni coincidono con quelle espresse da uno di loro in una frase che icasticamente connette la crescita economica con la possibilità di accrescere le risorse da dirottare nelle tecnologie di tutela ambientale. «La crescita è la chiave del progresso dell’ambiente, perché fornisce le risorse che permettono di investire nelle tecnologie pulite; rappresenta quindi la soluzione e non il problema». Non è però una frase pronunciata dai suoi amati Kennedy, Clinton, Al Gore, bensì dall’attuale presidente degli Stati Uniti George W. Bush in un discorso pronunciato nella sede dell’Amministrazione americana della meteorologia, a Silver Spring, il 14 febbraio 20024.

Una coincidenza casuale? Una malevola estrapolazione di citazioni per dimostrare surrettiziamente una identità culturale e politica che in realtà non esiste? Più volte Veltroni nel suo discorso rivendica di essere di sinistra e la persistenza delle differenze culturali e politiche tra destra e sinistra. Come del resto, capovolgendo il punto di vista e la collocazione politica, fanno Bush e il suo omologo italiano Berlusconi, rivendicando la loro appartenenza alla destra.

La distinzione tra destra e sinistra riportata da Veltroni nel suo discorso d’investitura è stata formulata dal «più giovane vecchio della sinistra italiana, Vittorio Foa, quando rispose: destra e sinistra? La prima, è figlia legittima degli interessi egoistici dell’oggi. La seconda, è figlia legittima degli interessi di quelli che non sono ancora nati». Accentuando al massimo lo sfruttamento delle risorse oggi per far crescere il prodotto interno lordo, utilizzando tecnologie finalizzate ad accrescere la produttività, aumentando la produzione dei rifiuti non si risponde forse proprio agli interessi egoistici dell’oggi? Esaurendo le risorse e riempiendo il mondo di rifiuti inquinanti si fanno gli interessi di quelli che non sono ancora nati? Si è di sinistra?

Del resto, lo nega lui stesso di esserlo, quando afferma che: «La ripresa economica non è di destra né di sinistra: è un bene per tutto il Paese». E aggiunge: «Il Partito democratico, il partito dell’innovazione, del cambiamento realistico e radicale, della sfida ai conservatorismi, di destra e di sinistra». Se l’obbiettivo fondamentale del governo di un paese è la crescita economica e la crescita economica non è di destra né di sinistra, questa distinzione ha ancora senso? In effetti nella sua concezione il discrimine politico si sposta tra gli innovatori e i conservatori di destra e di sinistra. Lui, naturalmente, è dalla parte degli innovatori che combattono contro i conservatori, salvo ammettere che «L'ambientalismo è l'unico campo in cui l'obiettivo più radicale è conservare: conservare un equilibrio naturale. Ma – aggiunge con una capriola logica - è anche l'unico campo in cui l'unico modo per conservare è innovare: dal ciclo di cfr. Le Monde, 16 febbraio 2002

La distinzione tra destra e sinistra secondo Veltroni non ha nessun significato anche in relazione alla sicurezza, la quarta delle priorità da lui indicate per fare un’Italia nuova. «La sicurezza è un diritto fondamentale che non ha colore politico, che non è di destra né di sinistra». Sulla seconda priorità, il «nuovo patto fra le generazioni», il problema principale da risolvere sono le resistenze frapposte dai «conservatori di sinistra», i lavoratori con occupazione stabile difesi dai sindacati, per cui di sinistra tra le quattro priorità rimane soltanto la formazione come strumento di mobilità sociale basata sul merito e non sui privilegi di origine familiare. Una concezione che spesso non rientra nella prassi, ma esiste nel patrimonio culturale della destra. Sinistrula vagula blandula […] pallidula.
 
A titolo d’informazione, può essere significativo ricordare che il 19 gennaio 2007, parlando a Padova agli industriali veneti, il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo ha detto: «Le grandi questioni che toccano il futuro e lo sviluppo del paese non sono né di destra né di sinistra».

smaltimento dei rifiuti, appunto, alla possibilità di muoversi usando infrastrutture su ferro; dall'uso dell'energia solare all'idrogeno. Sono le conquiste scientifiche e tecnologiche a consentire, oggi, di difendere l'aria, l'acqua, la Terra».

A parte il fatto che la possibilità di muoversi usando infrastrutture su ferro risale al 1825 (in Italia al 1839) e quindi non può essere propriamente considerata un’innovazione (nemmeno l’alta velocità, essendo stati raggiunti i 210 chilometri all’ora nel 1903); a parte il fatto che il modo più ecologicamente compatibile di trattare i rifiuti è sempre stato il riciclaggio, che oggi richiede soluzioni organizzative e tecniche più complesse soprattutto in conseguenza dello sviluppo abnorme delle aree urbane, ma non è un’operazione sostanzialmente diversa da quanto si è sempre fatto; che l’energia solare sotto forma di energia termica, eolica e idrica è parimenti stata utilizzata dall’inizio della storia umana prima di essere stata sostituita, in nome della modernità e del progresso, dall’innovazione delle fonti fossili, per cui oggi non occorre reinventarle, ma migliorarne l’efficienza in modo da accrescere le quantità prodotte; che l’energia idroelettrica risale alla fine del secolo scorso ed è rimasta sostanzialmente immutata da allora; che l’idrogeno è un pozzo di San Patrizio in cui si buttano enormi quantità di denaro pubblico nella vana speranza di ricavarne più energia di quella necessaria a produrlo e, se mai si riuscirà a farlo, sarà fuori tempo massimo non solo rispetto alla scadenza del 2020, ma anche del 2050; l’unica innovazione è l’energia fotovoltaica, che però ancora lontana dal fornire un contributo significativo al fabbisogno.

Tutto il resto è un ritorno a tecnologie del passato reso necessario dal fatto che la modernizzazione, la proiezione verso il futuro, le innovazioni hanno dimostrato di non offrire un futuro all’umanità. Per conservare gli equilibri naturali occorrono innovazioni tecnologiche che implementino le tecnologie tradizionali senza cancellarle come arretratezze di cui ci si deve sbarazzare al più presto. Per innovare in maniera positiva e non distruttiva, occorre conservare quanto di buono è già stato fatto.

Non sono le conquiste scientifiche e tecnologiche in quanto tali, e meno che mai se finalizzate alla crescita, «a consentire di difendere l’aria, l’acqua e la Terra». Le innovazioni tecnologiche di cui c’è bisogno per ottenere questi risultati devono essere finalizzate a ridurre progressivamente le quantità di energia, di materie prime e di rifiuti per unità di prodotto o di servizio fornito.

Ma se si produce ciò di cui si ha bisogno consumando meno energia, consumando meno materie prime, producendo meno rifiuti e riutilizzando le materie prime secondarie contenute negli oggetti dismessi, si riduce la crescita del prodotto interno lordo. Se per riscaldare edifici mal coibentati occorrono 20 litri di gasolio al metro quadrato all’anno, a edifici ben coibentati ne bastano 5, per cui costruendo bene le case e ristrutturando le case esistenti, i consumi energetici si riducono di tre quarti e il prodotto interno lordo diminuisce. Ma si sta meglio e si riducono le emissioni di CO2. E ce n’è di più anche per l’Africa, affinché un ragazzo del Ghana possa avere se non proprio «tutte le garanzie, le tutele sociali e le opportunità che esistono per i suoi coetanei inglesi», qualche garanzia, tutela sociale e opportunità in più di quelle che ha oggi. Le innovazioni tecnologiche di cui abbiamo bisogno per salvare la Terra e per una più equa redistribuzione delle risorse tra i popoli sono quelle finalizzate alla decrescita del prodotto interno lordo.

Nel mio piccolo cerchio di conoscenze sono abituato a sentir definire provocazioni intellettuali i miei ragionamenti e a essere considerato un estremista perché mi permetto di sottoporre a critica alcune idee che la stragrande maggioranza considera i pilastri fondanti del nostro sistema sociale, economico e produttivo. Insomma, dei tabù. A mio sostegno vorrei riportare le parole non proprio recenti di un uomo politico a cui, tra l’altro, non mi sento particolarmente vicino.

«Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare […] i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (Pil). Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle […]. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

[…] Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. […] Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta».

È un passaggio del discorso pronunciato il 18 marzo 1968 all’Università del Kansas da Robert Kennedy. Uno degli uomini politici a cui Veltroni racconta di ispirarsi. Racconta.

Maurizio Pallante

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