Idee e Pratiche per una Vita Consapevole

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L'ECOLOGIA IN PRATICA
UNO STILE DI VITA NATURALE
PER SE' E PER IL PIANETA
L'ECOLOGIA IN PRATICA
Sono la natura
sono la terra.
i miei occhi sono il cielo,
le mie membra gli alberi.
Sono la roccia,
la profondità dell'acqua,
non sono qui per dominare
la Natura.
Io stesso sono la Natura.

Indiani Hopi

Questa terra é sacra
<b>Questa terra é sacra</b>





Come potete comperare
o vendere il cielo,
il calore della terra?
l'idea per noi é strana.
Se non possediamo
la freschezza dell'aria,
lo scintillio dell'acqua.
Come possiamo comperarli?
Continua...
ONDE DI CRESCITA INTERIORE
ONDE DI CRESCITA INTERIORE La crisi ecologica - ovvero il principale problema di Gaia - non è l’inquinamento, i rifiuti tossici, il buco nell’ozono o qualcosa del genere. Il principale problema di Gaia è che un numero non sufficiente di esseri umani si è sviluppato ai livelli di coscienza postconvenzionali, planetari e globali in cui sarebbero spinti automaticamente alla cura per il globale comune. E gli esseri umani sviluppano questi livelli postconvenzionali, non imparando la teoria dei sistemi, ma passando attraverso almeno una mezza dozzina delle principali trasformazioni interiori, che vanno dall’egocentrico all’etnocentrico al mondocentrico, punto in cui e non prima, possono risvegliarsi a una profonda e autentica cura per Gaia. La prima cura per la crisi ecologica non consiste nell’imparare che Gaia è la Rete della Vita, per quanto vero ciò sia, ma nel promuovere queste numerose e ardue onde di crescita interiore, nessuna delle quali viene indicata dalla maggior parte di questi approcci del nuovo paradigma.
Continua... 
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE 1 L’Italia vive l’anomalia di un nuovo Medioevo. Più che in altri paesi, è visibile in Italia l’emergenza ecologica, il degrado sociale e la crisi di fondamentali valori etici; permangono aree vaste di ignoranza, incapacità, ingiustizia. Meno facilmente che altri paesi, l’Italia quindi può affrontare la conversione ecologica delle attività economiche, il risanamento ambientale e morale del paese, la partecipazione diretta delle persone alla attività sociale ed una effettiva realizzazione di una sana cultura dei diritti e dei doveri che dovrebbero regolare ed ispirare la vita sociale collettiva. 2 Sia in Europa che nel resto del pianeta, vi è una tripla crisi :a) economica e finanziaria (causata da un modello di crescita superato) b) ambientale conseguente, c) socio-culturale. Tre grandi crisi che non trovano più risposte adeguate dal sistema della politica: non dai partiti socialdemocratici in crisi dappertutto e neppure dall’egoismo sociale e dall’indifferenza ambientale dei vari partiti conservatori. Solo un modello sociale e produttivo eco-orientato ed eco-sostenibile, che all’idea di una crescita senza limiti sostituisca un idea di sobrietà, che non escluda anche l’utilità di avere aree di decrescita virtuosa e felice, può essere in grado di affrontare le difficoltà del presente. ...Continua...
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO di Maneka Gandhi

Mangiare carne è una delle maggiori cause della distruzione ambientale. Ogni specie non solo ha il diritto di vivere, ma la sua vita è essenziale per il benessere dell’umanità. Ciò che chiamiamo sviluppo, cioè la sterile città nella quale portiamo i nostri cani al guinzaglio, non è vita. Ci abituiamo così velocemente al malessere, alla tensione, alle carestie e alle alluvioni che pensiamo che i pezzi di carta che teniamo in tasca possano sostituire un corpo sano e una mente gioiosa. Scegliamo di non sapere che, praticamente tutte le nostre malattie sono causate dalla mutilazione e dall’uccisione di animali: dai 70.000 acri di foresta pluviale del Sudamerica abbattuti ogni giorno – che in gran parte servono per far pascolare il bestiame – fino al virus Ebola, proveniente dalle scimmie strappate dal loro habitat naturale in Africa allo scopo di fare esperimenti. Abbiamo ottenuto più cibo uccidendo i lombrichi con le nostre sostanze chimiche o abbiamo ottenuto più malattie? Abbiamo ottenuto una salute vigorosa allevando forzatamente bestiame per il latte e la carne, o abbiamo piuttosto ottenuto emissioni di gas metano che hanno contribuito enormemente all’effetto serra, mettendo in pericolo la vita del pianeta? Continua...

LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE
LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE

di Lester Brown

Per creare una economia sostenibile bisognerà sostenere una rivoluzione ambientale, come è avvenuto per quella agricola e industriale. Alla fine del libro Piccolo è bello, Schumacher parla di una società che violenta la natura e danneggia gli esseri umani e, da quando queste parole sono state scritte, diciotto anni fa, abbiamo potuto vedere con maggiore evidenza i modi con i quali la nostra società agisce proprio in quella direzione.Mi trovavo all’aeroporto di Dulles e presi una copia del US News and World Report, che conteneva un editoriale di David Gergen, un alto funzionario dell’Ufficio Stampa di Reagan alla Casa Bianca. L’articolo descriveva quello che stava accadendo oggi alla società americana e l’autore affermava che, in un certo senso, abbiamo perso la strada. Continua...

RISPETTA LA (TUA) NATURA
<b>RISPETTA LA (TUA) NATURA </b> Michele Vignodelli

Il nostro corpo e la nostra mente sono meraviglie naturali in pericolo, da difendere come le foreste, i fiumi, il mare e le montagne. Sono continuamente aggrediti dal sistema tecnologico ed economico che ci governa, proprio come il resto del mondo naturale.
Non potremo mai rispettare e vivere veramente la suprema bellezza e armonia della natura esterna se non cominciamo da noi stessi. Eppure esiste una spaventosa ignoranza sulla nostra natura interna, che fa pensare a una congiura del silenzio.
Negli ultimi anni sono emerse abbondanti prove dell’esistenza di
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RICORDO DI IVAN ILLICH
RICORDO DI IVAN ILLICH


di Giannozzo Pucci *

Il primo libro di Illich, pubblicato alla fine degli anni '60, riguarda appunto la Chiesa nel processo di trasformazione della società moderna (The Church, change and development).
Il secondo, del 1970, intitolato "Celebration of Awareness (Celebrazione della consapevolezza": un appello alla rivoluzione istituzionale), è contro le certezze delle istituzioni che imprigionano l'immaginazione e rendono insensibile il cuore.
Poi, nel 1971, esce "Descolarizzare la società", che è stato al centro del dibattito pedagogico internazionale con la tesi che la scuola produce la paralisi dell'apprendimento e danneggia i ragazzi, educandoli a diventare meri funzionari della macchina sociale moderna. Convinto che il sistema educativo occidentale fosse al collasso sotto il peso della burocrazia, dei dati e del culto del professionalismo, combatteva i diplomi, i certificati, le lauree,
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LA VENDETTA DI GAIA
LA VENDETTA DI GAIA

di James Lovelock

La vendetta di Gaia : assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Per millenni abbiamo vissuto con la strategia del parassita, ai danni dell'organismo vivente che ci ospita. Ora, assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Il parassita e' un essere che vive a spese di un altro organismo. Se ne nutre, cresce, si riproduce e prospera. Eppure, la sua non e' una strategia lungimirante. Le energie dell'organismo ospite diminuiscono giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Finche' un giorno accade l'inevitabile: l'organismo ospite si avvia a una fine certa. E il parassita, senza risorse, e' destinato a scomparire. Questa immagine e' la perfetta metafora della storia della specie umana. A dimostrarlo sono i fatti. Migliaia di anni di occupazione del pianeta hanno provocato distruzione degli habitat, estinzione di molte specie, emissioni record di gas serra in atmosfera e nubi di polveri sottili nell'emisfero nord e sulle metropoli. Un'aggressione prolungata alla quale la Terra ora reagisce innescando una lunga serie di disastri naturali, quali inondazioni e uragani, sempre piu' numerosi e violenti, ed eventi climatici estremi, come estati torride e punte di freddo anomalo. Il pianeta che abitiamo non ha piu' anticorpi per difendersi. E allora attacca.
Lo sostiene a gran voce uno scienziato autorevole e indipendente, James Lovelock, nel suo nuovo libro, The revenge of Gaia (La vendetta di Gaia) in uscita il 2 febbraio in Gran Bretagna! . Il nostro mondo, afferma, potrebbe avere superato il punto d! i non ritorno: la soglia oltre la quale non possiamo fare piu' nulla per evitare che, entro la fine del secolo, i cambiamenti causati dall'attivita' umana distruggano la nostra civilta' Continua....
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EDILIZIA, SOSTENIBILITA' E BIOARCHITETTURA


di Federico Della Puppa

La sostenibilità nelle costruzioni
Nel frattempo possiamo chiederci quali sono i passaggi, le politiche, le ipotesi perché nel futuro la sostenibilità diventi ciò che tutti auspicano ma che ancora non è. Per farlo cominciamo con il dire che l'edilizia, l'urbanistica e tutto ciò che ruota attorno al sistema delle costruzioni hanno un grande dovere ma anche una grande opportunità: inserire la sostenibilità al centro dei processi e dei percorsi che portano alla definizione di cosa fare, come farlo, con quali prodotti e con quali risorse e soprattutto dove. La sostenibilità è un percorso di sviluppo e come tale non ha solo una declinazione. Non esiste solo la sostenibilità ambientale, se pur centrale e fondamentale, ma anche la sostenibilità economica, quella finanziaria, quella urbanistica, quella tecnologica. Ma perché proprio l'edilizia? Perché come ci ricordano alcuni studi realizzati in ambito europeo, il settore delle costruzioni è il settore industriale in Europa a più alto impatto ambientale, dato che consuma il 45% dell’energia complessiva, produce il 50% dell’inquinamento ed quasi il 50% dei rifiuti. Il settore delle costruzioni ha una responsabilità importante: adottare un approccio corretto che contempli la sostenibilità del sistema nel suo complesso, dalla progettazione alla realizzazione, dalla manutenzione alla demolizione, mediando e ottimizzando le diverse esigenze (organizzative, distributive, economiche, estetiche) e coniugandole secondo criteri biocompatibili e sostenibili. Il perché di questa scelta inevitabile e strategica sta in quelle percentuali.

Ma quando potremo parlare veramente di ediliziasostenibile? Il concetto di sostenibilità prevede che un’attività sia considerata sostenibile se attuabile senza limiti di tempo e risorse per un tempo illimitato. E dunque va chiarito che l’edilizia, per sua natura, non è ad esempio ambientalmente sostenibile, in quanto anche se completamente realizzata con materiali riciclati (si pensi alle "case di cartone" di Shigeru Ban o alle realizzazioni di Buro Happold), utilizza comunque la risorsa “suolo”. Solo nel caso di demolizioni e successive ricostruzioni con materiali ecocompatibili e riciclabili al 90%, potremmo definire l’edilizia una pratica sostenibile. Il settore delle costruzioni si scontra con il primo consumo, che è quello di suolo. Poi si scontra con il sistema dell’approvvigionamento dei materiali strutturali, che a loro volta fanno riferimento al sistema, poco conosciuto e monitorato, delle cave. Poi si scontra con tutti i prodotti tecnologici che dipendono ancora dal petrolio e dai suoi derivati. E si potrebbe andare avanti. Ma l’approccio alla sostenibilità nelle costruzioni, al quale stanno lavorando numerosi centri di ricerca, sopratutto universitari, oggi sembra addirittura allargarsi anche ad altri aspetti (come indica il rapporto “Sostenibilità nelle costruzioni”, a cura di Ilaria Garofolo, EdicomEdizioni, 2003), oltre a quelli ben noti del consumo di risorse (energetiche ed idriche):

• le soluzioni tecnico-costruttive per il risparmio energetico;
• la produzione di rifiuti a livello di filiera;
• gli scarti da demolizione;
• l’impiego di materiali eco-compatibili;
• il riutilizzo e il recupero dei materiali alla fine del ciclo di vita del prodotto;
• il recupero dei materiali e delle tecniche costruttive tradizionali.
Tra questi risultano particolarmente importanti quelli riferiti all’intero ciclo di vita del prodotto (produzione, trasporto, messa in opera, manutenzione, demolizione, riciclo e scarto residuo). E se oggi sono disponibili bilanci di impatto ambientale di prodotti e produzioni, in realtà poco se non nulla si sa sul bilancio ambientale complessivo. E ciò anche in ragione del fatto che se oggi sta iniziando a farsi strada il concetto di Lyfe Cycle Analysis (LCA o analisi del ciclo di vita), la mancanza di standard in relazione al calcolo di questi indicatori comporta l’impossibilità di valutare con precisione tali parametri, e dunque dare indicazioni veramente utili in tal senso. Come ricorda Ilaria Garofolo, “anche il comportamento ambientale dell’edificio nella sua globalità è difficilmente valutabile.

In via generale si può affermare che l’impatto ambientale cresce con l’aumentare della durata dell’edificio stesso (della sua vita in esercizio): basta pensare alla produzione di CO2 durante la vita media di un edificio (oltre 50 anni) dovuta principalmente all’impiego di energia elettrica, che da sola rappresenta forse l’impatto ambientale più rilevante, dopo il quale si può parlare di quello dovuto alla scelta di determinati materiali per la sua realizzazione” (“Sostenibilità nelle costruzioni”, EdicomEdizioni, 2003). In questo senso una provocazione interessante potrebbe essere quella di affermare che probabilmente dal punto di vista del bilancio energetico e di impatto complessivo, molti fabbricati in Italia oggi dovrebbero essere demoliti e ricostruiti.

Infatti una domanda difficile alla quale rispondere è ad esempio quella che si stanno ponendo i gruppi di lavoro dell’Università di Trento, del Politecnico di Bari e della seconda Università di Napoli: recuperare o no l’edilizia esistente? In un paese nel quale si fa fatica a demolire persino i fabbricati abusivi potrebbe sembrare una domanda retorica, ma non lo è se si considera il concetto di sostenibilità, che non è (soprattutto in questo contesto) solo ambientale, ma anche economica. L’azione di rinnovo di fabbricati vetusti e palesemente fuori norma potrebbe, in alcuni casi, risultare addirittura una pratica insostenibile soprattutto economicamente, oltre che ambientalmente.

Un approccio innovativo L'argomento è molto serio: la necessità di rivedere i parametri di giudizio e di scelta sui quali si fondano le scelte economiche, le uniche che ormai governano la nostra società.

E’ certo che dieci anni dopo la conferenza di Rio e oltre un anno dopo quella di Johannesburg è opportuno interrogarsi ancora su questi temi, cercando di ricordare quali sono gli elementi costitutivi del modello di sviluppo occidentale e quali implicazioni dirette ed indirette tale modello impone. Basti pensare al funzionamento di un ciclo produttivo e di consumo: si produce utilizzando materie prime per lo più sottratte all’ambiente, si consumano i prodotti e una volta consumati si trasformano in rifiuti. Ecco il nocciolo della questione: noi gettiamo via e non riutilizziamo, non ricicliamo, se non in minima parte. Ma come ci insegnano le leggi della termodinamica, un sistema così congegnato non può funzionare, perlomeno non può funzionare a lungo, e soprattutto a un certo punto si rompe. E in questo senso il settore delle costruzioni ha molto da dire e da fare, e soprattutto da progettare, viziato com’è dai trend del passato e permeato da una cultura dell’incremento e della crescita (di fatturato, di budget, di nuove costruzioni, di ampliamenti dell’edificato, ecc.).

Oggi il mondo dell’edilizia deve guardare ad una diversa distribuzione delle risorse, deve trovare nuove strade per il proprio sviluppo. In un’ottica sostenibile si tratta di impostare oggi politiche in grado di dematerializzare la produzione, ovvero produrre tanto quanto oggi ma con un minor spreco di risorse, sia in entrata (materie prime e prodotti) che soprattutto in uscita (i rifiuti), prevedendo già nelle fasi di progetto tutti i flussi di scambio che si vengono a creare, ottimizzando le fasi produttive in modo da minimizzare gli impatti e ridurre le quantità di rifiuti e di emissioni prodotte. Il settore è particolarmente interessato da queste dinamiche (dall’efficienza energetica degli edifici al riutilizzo dei rifiuti da costruzioni) in quanto il prodotto edilizio per sua natura è un prodotto di prodotti: è un prodotto che racchiude in sè le caratteristiche di un prodotto finito, con un proprio ciclo di vita, ed è un prodotto fatto di altri prodotti, i quali, come singoli componenti, hanno anch’essi un proprio ciclo di vita. Basti pensare alle nostre abitazioni: l’abitazione nel complesso ha un suo ciclo di vita, ma i singoli elementi, dalle opere murarie alle finiture hanno propri cicli di vita. Il settore delle costruzioni in Italia produce annualmente circa un kg di rifiuti per abitante al giorno, contro una quantità di 1,3 kg di rifiuti urbani.

E’ una cifra considerevole, ma soprattutto colpisce il dato che riguarda le stime di quanto il settore recupera: a fronte di una media italiana di 139 kg pro capite per anno (ovvero il 38% del totale, con la conseguenza che il 62% è destinato alle discariche, spesso abusive), vi sono regioni che non arrivano neppure ad un quarto di tale valore medio (alzando inevitabilmente la percentuale di materiali non recuperati, non riutilizzati). Di fronte a questi dati emerge la significatività di impostare percorsi di sviluppo sostenibile e in questo senso anche l’esigenza di rivedere il concetto di crescita, impostando un più ragionevole sistema di redistribuzione complessivo delle risorse.

Quale dunque l’approccio innovativo alla pianificazione economica? Ovviamente quello che faccia della sostenibilità, quella vera, il suo piedistallo e il suo fulcro. Da alcuni anni le amministrazioni locali (comuni, province, regioni) si misurano con programmi di sviluppo territoriale basati sulla sostenibilità, che è sia ambientale che economica, sia sociale che amministrativa (ovvero burocratica, una variabile di non poco conto nel nostro paese).

Un sistema economico basato esclusivamente sulla crescita materiale e quantitativa non è sostenibile, sia per fattori tecnico-produttivi (di cui i rifiuti sono l’estrema conseguenza) che per fattori etici e politici. I primi ad avvisare di questo pericolo sono stati due economisti, due padri fondatori della moderna economia del benessere, J. S. Mills e A. C. Pigou, i quali oltre un secolo fa avevano già indicato il non senso di un’economia basata esclusivamente sulla crescita materiale a quantitativa, come ci ricorda il bel libro di Lester Brown “Eco economy”. Dobbiamo ripensare il nostro modello di sviluppo (non di crescita) e ricordarci, in particolare, cosa diceva oltre un secolo fa proprio John Stuart Mills nei suoi Principi di economia politica: “Io non posso perciò riguardare lo stato stazionario del capitale e della ricchezza con l’avversione palese, manifestata così generalmente verso di esso dagli economisti politici della vecchia scuola.

Io son propenso a credere che, in complesso, sarebbe un notevole miglioramento della nostra condizione attuale. Confesso che a me non piace l’ideale della vita sostenuto da coloro che pensano che lo stato normale degli uomini sia quello di lottare per procedere oltre; che lo schiacciarsi scambievole, che forma il tipo esistente della vita sociale, sia la cosa più desiderabile per gli uomini, e non uno dei più tristi sintomi del progresso industriale. (...) Gli è soltanto nei paesi retrivi che la produzione accresciuta è sempre oggetto importante; in quelli più avanzati, ciò di cui si abbisogna è una migliore distribuzione (...).

E’ superfluo l’osservare che una condizione stazionaria di capitale e di popolazione non implica uno stato stazionario di miglioramenti umani. Vi sarebbe sempre un altro scopo per ogni specie di cultura mentale, e pei progressi morali e sociali; vi sarebbe luogo, come prima, a perfezionare l’arte della vita, e vi sarebbe eziandio, più facilità per farlo”. Una perla di saggezza che oggi suona come una provocazione ante litteram estrema.

Dalla teoria alla pratica
La sostenibilità può e deve diventare il principale contenuto dei prodotti e dei processi produttivi di domani, ma oggi quali strumenti o azioni si possono mettere in atto, nel settore delle costruzioni, per mitigare gli impatti e per allontanare quel senso del limite che ci indica con chiarezza la finitezza delle risorse e dunque anche il nostro poco lungimirante modello di sviluppo? Per iniziare a rispondere a questa ennesima domanda, possiamo provare a illustare alcune buone pratiche oggi in grado di perseguire obiettivi di sostenibilità reale nel settore delle costruzioni. Prima di tutto dobbiamo considerare che vi sono tre tre aspetti fondamentali sui quali agire:
• una progettazione urbanistica ecosostenibile in una visione che superi la soglia comunale e che guardi al territorio come risorsa finita;
• una produzione di materiali biocompatibili e il loro conseguente inserimento all'interno di sistemi di progettazione bioarchitettonica, compatibilmente inserita nel contesto locale;
• l'attenzione e l'individuazione di nuove forme di controllo e monitoraggio della qualità della vita.
Il primo aspetto riguarda il governo del territorio e la necessità che l'urbanistica e la pianificazione guardino al territorio finalmente come una risorsa scarsa, da preservare e valorizzare, ma non da depauperare ulteriormente. La tangibilità di questa scarsità è data ad esempio dalla densità insediativa ma anche da alcuni nuovi indici come quelli richiamati in precedenza, ovvero ad esempio il numero di ettari di terreno agricolo in rapporto ad ogni capannone industriale-arigianale. Nuovi indici che sostituiscano, nei nuovi piani, il calcolo dello sviluppo della popolazione e nella necessità di nuove aree per insediamenti. Ancora oggi, purtroppo, molti piani utilizzano tabelle e metodologie di valutazione dell'incremento della popolazione secondo parametri che hanno i propri fondamenti in decenni dove queste esigenze erano primarie. Dare una casa a tutti un tempo era un'esigenza primaria. Oggi non abbiamo più bisogno di case.

Costruire fabbriche e capannoni significava dare occasioni di sviluppo economico locale, ma oggi non abbiamo più bisogno neppure di fabbriche e capannoni, ne abbiamo troppi. Oggi bisogna redistribuire. E per farlo è necessario individuare sistemi di coordinamento che superino la soglia comunale. Ma non solo: bisogna individuare sistemi e politiche che consentano di governare localmente, dal punto di vista finanziario, disinnescando dal punto di vista dell'uso del territorio quel meccanismo impositivo, l'ICI, che ha molta responsabilità nell'aver condotto a questa condizione insostenibile.

La progressiva diminuzione dei trasferimenti dello Stato agli enti locali e la necessità delle amministrazioni locali di fare cassa, ha spinto - giocoforza - sindaci e amministratori a cercare risorse finanziarie in ambito locale per sopperire ai minori trasferimenti. E l'ICI è stato il terreno di sviluppo di questo meccanismo oramai pericolosamente avvitato su se stesso, che se da un lato produce finanza locale necessaria a sostenere un adeguato livello dei servizi, da un altro propone un uso del territorio come risorsa dalla quale ottenere maggiori introiti, da cui l'esplosione delle aree industriali-artigianali e commerciali-direzionali, che hanno modificato strutturalmente territorio e paesaggio.

L'urbanistica del futuro, l'urbanistica sostenibile, dovrà percepire e recepire nei propri meccanismi di costruzione dei piani e delle varianti, il concetto di "sistema", ovvero l'insieme di interazioni che, al pari di qualsiasi organismo biologico, il territorio ha. Non dimentichiamo infatti che il territorio può essere identificato come un insieme di luoghi collegati da flussi, ovvero come un organismo. E dunque dobbiamo pensare "ecologicamente" l'urbanistica, ovvero non guardando all'ecologia come ad un elemento, ma ponendo un pensiero "ecologico" (nel vero senso del termine) al centro della progettazione territoriale, come suggerisce ad esempio Frederick Steiner.

Pensare ecologico significa capire che vi sono interrelazioni più complesse di quelle che possiamo immaginare tra economia, politica, ambiente. "In campo economico, per esempio, il punto di vista dell'ecologia ci obbliga a pensare un sistema di relazioni più complesso di quello che lega la domanda all'offerta. Offerta di che cosa e da dove e al quale costo, non soltanto in euro, ma per le altre specie e per le future generazioni" (Frederick Steiner, Costruire il paesaggio, McGraw-Hill, Milano, 2004, p. XII). E' inserire l'equità intergenerazionale nel sistema di pianificazione strategica del territorio.

Verso una vera bioedilizia
Il secondo aspetto da considerare è che i prodotti vanno valutati nel loro ciclo di vita, e dunque con una visione che va al di là del semplice scambio domanda-offerta, ovvero della loro produzione per l'uso. Si tratta di comprendere e inserire all'interno del sistema di bilancio dei prodotti il fatto che all'interno di ciascun prodotto, qualunque esso sia, vanno considerati i costi ambientali e sociali della loro produzione e uso, in una visione che contempli un percorso dalla culla alla tomba o, per dirla all'anglosassone, "from the cradle to the grave".

Alcuni prodotti e alcuni produttori sono impegnati da anni su questo fronte, ma ancora questa non è una pratica condivisa. Inoltre l'edilizia ha una specificità che riguarda proprio l'utilizzazione dei materiali: il prodotto edilizio è un prodotto fatto di prodotti, e dunque non si tratta solo di considerare i prodotti nel loro ambito, ma va considerata l'interazione e la coazione dei prodotti al fine di definire un prodotto edilizio biocompatibile. L'obiettivo per il futuro sarà raggiungere una vera bioedilizia, ovvero una metodologia pratica costruttiva che rispetti queste interazioni e consideri anche il prodotto edilizio dalla culla alla tomba, ovvero dalla sua progettazione alla demolizione. I progettisti hanno un ruolo determinante in questo ambito, in quanto è nella fase di progettazione che va progettata la sostenibilità, del progetto in sè, dei materiali utilizzati, dell'uso e manutenzione del bene, della sua demolizione e riuso dei materiali.

Introdurre concetti di questo tipo, ma non solo, allargarli fino a farli diventare pratica condivisa e comune è una delle più grtandi sfide che il settore delle costruzioni e in particolare il mondo della progettazione oggi ha di fronte. Si tratta di fare un salto di qualità: bioarchitettura non come fine, come prodotto in sè, relegato a nicchia esclusiva di mercato per committenti stravaganti, ma bioarchitettura come mezzo per il raggiungimento della sostenibilità. Se e quando le pratiche bioarchitettoniche diventeranno sistema di riferimento allora si sarà fatto un passo decisivo verso la sostenibilità.

Oggi si parla del mercato della bioedilizia come di un mercato in forte crescita, derivante da una maggiore domanda di benessere associata ad un rinnovato interesse per il risparmio energetico. A questo scopo è favorita l’utilizzazione di pratiche costruttive e di installazione di impianti che trovano proprio nel segmento bioedilizio una loro compiuta affermazione. Tuttavia a fronte di questo interesse e di una tangibile crescita delle quote di mercato per questo settore (rappresentata dal sempre maggiore spazio dedicato a questo segmento ad esempio nelle fiere dei prodotti per edilizia), molto poco si sa sull’effettiva quantificazione di soggetti (progettisti, imprese, installatori e finitori) che operano nel settore, e pertanto molto aleatorie risultano le poche stime di quanto vale oggi il mercato bioarchitettonico e di quanti siano i soggetti in esso operanti. In particolare non vi sono dettagliate informazioni sull’organizzazione della filiera bioarchitettonica e l’organizzazione del mercato (produzione, distribuzione, progettazione, costruzione, installazione, ecc.), soprattutto a livello regionale o di singoli sistemi locali produttivi o della domanda.

Infatti pur nella generale convinzione che il settore sia in espansione, mancano dati precisi e osservatori in grado di restituire con sufficiente precisione le dimensioni e le dinamiche del settore. Nel settore della bioedilizia infatti esiste soprattutto una forte presenza di informazioni su metodologie costruttive e di utilizzo di materiali, su eventuali referenti, sulle azioni delle diverse associazioni di professionisti, ma poco si sa, se non nulla, sull’effettiva quantificazione dei diversi soggetti della filiera e sulla loro organizzazione a livello di rapporti di mercato. Tale sistema informativo è tipico di un settore in fase di espansione, dove la maggior parte degli sforzi è concentrata sulla comunicazione volta a far conoscere ed affermare prodotti, sistemi, soluzioni. Eppure vi sono delle azioni innovative che rappresentano per ora riferimenti di avanguardia, ma che sono anche la testimonianza di percorsi fattibili e replicabili.

E' perciò assolutamente interessante l'esperienza che si è avviata in Veneto, in provincia di Treviso, dove in base alla legge regionale n. 8 del 2003 è stato presentato e approvato un patto per un distretto della bioedilizia. Inizialmente sottoscritto da 132 imprese, ne conta oggi 250 con 3.500 addetti e rappresenta una interessante e innovativa iniziativa di filiera che merita sostegno e attenzione. Un primo passo per la sfida di domani Il settore delle costruzioni oggi ha una grande opportunità: costruire la sua sostenibilità (come richiede il VI° Programma Quadro dell'Unione Europea) a partire dalle fasi iniziali della filiera. Se pensiamo al sistema di produzione edilizia, al sistema di filiera produttiva, prima ancora della costruzione vera e propria, a monte vi è il sistema dei materiali. E i primi materiali che entrano in gioco nel processo costruttivo sono i materiali strutturali. E dunque l'approvvigionamento di tali materiali in un'ottica sostenibile constituisce la conditio sine qua non per lo sviluppo futuro del settore.

Un primo passo importante, significativo e determinante per una nuova politica della sostenibilità nelle costruzioni riguarda l'impostazione di politiche di riutilizzazione dei materiali derivanti da demolizioni e bonifiche in modo da ridare al territorio, perlomeno in parte, quello che abbiamo sottratto in anni e anni di attività. Il settore delle costruzioni e tutti i suoi attori (produttori di materiali, imprese, progettisti) ha molto da dire e da fare, e soprattutto da progettare al riguardo. Vi è la necessità di una consapevolezza della sostenibilità che deve fare sistema a partire dalle fasi iniziali del processo di approvvigiaonamento dei materiali. Pensiamo alle cave, ad esempio: in molte regioni sono stati realizzati piani cave che regolano l'attività estrattiva, curiosamente chiamata in gergo "coltivazione", come se il marmo o la sabbia potessere crescere come colture agricole.

Già il cambiamento di questo termine sarebbe un passo avanti verso la consapevolezza della sostenibilità. Una cava non si coltiva, si sfrutta. Dobbiamo esserne consapevoli tutti. E dobbiamo essere consapevoli che abbiamo consumato molto e che non possiamo continuare a consumare con questi ritmi. Altrimenti il territorio, di fronte alla continua e iterata noncuranza, alle aggressioni e allo sfruttamento unilaterale delle sue risorse, potrebbe rischiare di perdere quel residuo equilibrio necessario a garantire la sua sopravvivenza. Parlare di sostenibilità nelle costruzioni significa dunque non solo individuare i principi guida per le azioni, ma iniziare anche a mettere in pratica esempi di sostenibilità vera. Qualcosa in questi anni è stato fatto, mom non è abbastanza. La sostenibilità deve diventare vero elemento intrinseco delle costruzioni. Altrimenti non ci resta che augurarci, con triste ironia, che il territorio "speriamo che se la cava".

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