Dove c'è amore, c'è visione.
Richard of St. Victor

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UN ALTRO MONDO POSSIBILE
Creando una nuova Consapevolezza 
UN ALTRO MONDO  POSSIBILE
I FIORI DEL DOMANI
Tutti i fiori di tutti i domani
sono i semi di oggi e di ieri.

Proverbio cinese
Ancora un sogno
... Sì, è vero, io stesso sono vittima di sogni svaniti, di speranze rovinate, ma nonostante tutto voglio concludere dicendo che ho ancora dei sogni, perché so che nella vita non bisogna mai cedere.
Se perdete la speranza, perdete anche quella vitalità che rende degna la vita, quel coraggio di essere voi stessi, quella forza che vi fa continuare nonostante tutto.
Ecco perché io ho ancora un sogno...
Continua...
Varsavia
<b>Varsavia </b>







Hanno ucciso il ragazzo di vent'anni
l'hanno ucciso per rabbia o per paura
perché aveva negli occhi quell'aria sincera
perché era una forza futura
sulla piazza ho visto tanti fiori
calpestati e dispersi con furore
da chi usa la legge e si serve del bastone
e sugli altri ha pretese di padrone
Da chi usa la legge e si serve del bastone
e sugli altri ha pretese di padrone
Sull'altare c'è una madonna nera
ma è la mano del minatore bianco
che ha firmato cambiali alla fede di un mondo
sulla pelle di un popolo già stanco
Continua...

POTETE SOLO ESSERE LA RIVOLUZIONE
Ursula le Guin

Non abbiamo nulla se non la nostra libertà.
Non abbiamo nulla da darvi se non la vostra libertà.
Non abbiamo legge se non il singolo principio del mutuo appoggio tra individui.
Non abbiamo governo se non il singolo principio della libera associazione.
Non potete comprare la Rivoluzione.
Non potere fare la Rivoluzione.
Potete solo essere la Rivoluzione.
È nel vostro spirito, o non è in alcun luogo

da " The dispossessed" 1974
LA FINE DELLA VITA
é l'inizio della sopravvivenza

<b>LA FINE DELLA VITA<br> é l'inizio della sopravvivenza </b>





Come potete comperare
o vendere il cielo,
il calore della terra?
l'idea per noi é strana.
Se non possediamo
la freschezza dell'aria,
lo scintillio dell'acqua.
Come possiamo comperarli?
Continua...
I CREATIVI CULTURALI
<b>I CREATIVI CULTURALI</b>





L'altro modo di pensare
e vivere

Ervin Laszlo
Possiamo pensare in modi radicalmente nuovi circa i problemi che affrontiamo?
La storia ci dimostra che le persone possono pensare in modi molto differenti. C'erano, in Oriente e in Occidente, sia nel periodo classico, che nel Medio Evo ed anche nelle società moderne, concezioni molto diverse sulla società, sul mondo, sull'onore e sulla dignità. Ma ancora più straordinario è il fatto che anche persone moderne delle società contemporanee possano pensare in modi diversi. Questo è stato dimostrato da sondaggi di opinioni che hanno indagato su cosa i nostri contemporanei pensano di loro stessi, del mondo e di come vorrebbero vivere ed agire nel mondo.

Una recente indagine della popolazione americana ha dimostrato modi di pensare e di vivere molto differenti.
Questo è molto importante per il nostro comune futuro, poiché è molto più probabile che alcuni modi di pensare preparino il terreno per uno scenario positivo piuttosto che altri.
Questi sono stati i risultati principali:
Continua...
PIU’ LENTI, PIU’ PROFONDI, PIU’ DOLCI
<b>PIU’ LENTI, PIU’ PROFONDI, PIU’ DOLCI </b>





Alexander Langer


La domanda decisiva è: Come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile?
Lentius, Profundis, Suavius”, al posto di ”Citius, Altius, Fortius”

La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta.
La paura della della catastrofe, lo si è visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e dei controllo; e la stessa analisi scientifica
Continua...
CITTADINO DEL MONDO
<b>CITTADINO DEL MONDO</b> Graffito a Monaco






Il tuo Cristo è ebreo
e la tua democrazia è greca.
La tua scrittura è latina
e i tuoi numeri sono arabi.
La tua auto è giapponese
e il tuo caffè è brasiliano.
Il tuo orologio è svizzero
e il tuo walkman è coreano.
La tua pizza è italiana
e la tua camicia è hawaiana.
Le tue vacanze sono turche
tunisine o marocchine.
Cittadino del mondo,
non rimproverare il tuo vicino
di essere…. Straniero.
Il viaggiatore leggero
<b>Il viaggiatore leggero </b> Adriano Sofri
Introduzione al libro di Alex Langer, ed. Sellerio 1996

Alexander Langer è nato a Sterzing (Vipiteno-Bolzano) nel 1946, ed è morto suicida a Firenze, nel luglio del 1995.
Benché abbia dedicato la sua vita intera, fin dall'adolescenza, a un impegno sociale e civile, e abbia attraversato per questa le tappe più significative della militanza politica, da quella di ispirazione cristiana a quella dell'estremismo giovanile, dall'ecologista e pacifista dell'europeismo e alla solidarietà fra il nord, il sud e l'est del mondo, e sempre alle ragioni della convivenza e del rispetto per la natura e la vita, e benché abbia ricoperto cariche elettive e istituzionali, da quelle locali al Parlamento europeo, è molto difficile parlarne come di un uomo politico. O almeno, è del tutto raro che nella politica corrente si trovi anche una piccola parte dell'ispirazione intellettuale e morale che ha guidato la fatica di Langer. La politica professata, anche quando non è semplicemente sciocca e corrotta, non ha il tempo di guardare lontano, e imprigiona i suoi praticanti nella ruotine e nell'autoconservazione. Uno sguardo che
Continua...
MA CHE PIANETA MI HAI FATTO
MA CHE PIANETA MI HAI FATTO
di Beppe Grillo

Ma che pianeta mi hai fatto? Petrolio e carbone sono proibiti. Nei centri urbani non possono più circolare auto private. L'emissione di Co2 è punita con l'assistenza gratuita agli anziani. I tabaccai sono scomparsi, non fuma più nessuno. Non si trovano neppure le macchinette mangiasoldi nei bar. La più grande impresa del Paese produce biciclette. La plastica appartiene al passato, chi la usa di nascosto è denunciato all'Autorità per il Bene Comune e condannato ai lavori socialmente utili. Continua...
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ENERGIA ED EQUITA'


di Carlo Conte


Illich, nell’opera La convivialità, ha affermato che gli strumenti “dominanti” minacciano di distruggere cinque forme di equilibrio che finora hanno permesso all’uomo di sopravvivere. In questa sede vorrei esemplificare tale affermazione mostrando come queste cinque minacce riguardino uno degli strumenti che più caratterizza la civiltà industriale: il sistema dei trasporti. Per fare questo faccio riferimento al saggio Energia ed equità, pubblicato per la prima volta nel 1973. Credo sia importante sottolineare questa data, perché ci permette di evidenziare ancora una volta la natura quasi profetica degli scritti di Illich. Infatti chiunque si può rendere conto che i problemi sollevati in questo saggio sono, 36 anni dopo la sua uscita, peggiorati. La scelta della società industriale di non porre limiti a ciò che produce non può che avere delle conseguenze negative, non può che generare una Nemesi.

Illich vuole mettere in evidenza, usando l’esempio del trasporto, come l’utilizzo di una quantità eccessiva di energia generi necessariamente situazioni di disuguaglianza. Non tutti, infatti, possono permettersi di consumare alti quantitativi d’energia: c’è chi può prendere il Concorde e chi la bicicletta, dice Illich. Il problema è che il sistema si fonda sul continuo aumento dei consumi d’energia, lasciando dunque indietro chi non possiede una sufficiente quantità di questa preziosa merce. Inoltre, l’impiego sempre crescente d’energia ha imposto l’utilizzo degli strumenti dominanti a scapito di quelli conviviali. E mentre questi ultimi sono disponibili per tutti, gli strumenti dominanti sono merci acquistabili solo da chi può pagarne il prezzo.

Il tema dei trasporti permette ancora una volta di mettere in rilievo il carattere paradossale degli strumenti industriali, come sottolinea Franco La Cecla, a commento di questo saggio: “L’automobile è un ossimoro. La risposta individuale alla mobilità finisce per impedire all’individuo di spostarsi: il traffico e l’imbottigliamento non sono un effetto secondario del sistema, ne sono l’essenza.”1

Illich non solo intuisce questo, ma lo dimostra presentando dati ufficiali: un americano medio passa 1600 ore all’anno in attività connesse all’automobile, dal lavorare per poterla comprare e pagarci tasse e assicurazione, al lavarla, utilizzarla, parcheggiarla e via di seguito. In cambio percorre con l’autovettura una media di 12.000 km l’anno. Con un semplice calcolo risulta così che la velocità media raggiunta in automobile da un cittadino

ericano è di sette chilometri e mezzo all’ora, praticamente la velocità di un pedone. Ma la cosa più importante, implicita in questo esempio, è che il cittadino medio dedica all’automobile un sesto della propria giornata, di ogni giornata. Per questo lo strumento industriale è uno strumento dominante.

Nonostante tutto ciò, nessun politico in nessuna parte del mondo ha in programma l’eliminazione del traffico, e questo perché il mito della velocità, esaltato per la prima volta un secolo fa dal movimento futurista, si è trasformato in una vera e propria fede. Questo rende il contenuto di questo scritto come minimo impopolare, e ne fa ritenere l’autore un utopista nel migliore dei casi, un pazzo nel peggiore. Scrive Franco La Cecla: “Illich ci ha sempre provocato con capovolgimenti impopolari, ci ha ricordato cosa avevamo perso per un piatto di lenticchie e ci ha messo in guardia contro i pericoli di sistemi che si propongono come soluzione di tutto e finiscono per mettere la nostra vita in prigione. Per questo, il suo pensiero è impopolare anche oggi […]”.2

Si è detto che lo strumento industriale sovrefficiente mette in pericolo cinque equilibri fondamentali per la vita dell’uomo e che essi sono tra loro collegati e vanno salvaguardati assieme. Quella diretta contro l’ambiente è la prima, ma non l’unica minaccia causata dal traffico. Non è perciò sufficiente pensare che il traffico abbia come controindicazione soltanto l’aumento di inquinanti: esso infatti distrugge non solo l’ambiente, ma anche le relazioni sociali. Rinchiusi all’interno del loro abitacolo gli automobilisti non solo non incrociano altre persone, non possono scegliere il percorso che preferiscono (magari quello che passa vicino alla casa di un amico), ma si incattiviscono. Le tipiche relazioni tra automobilisti consistono nel mandarsi reciprocamente a quel paese in occasione di semafori e precedenze, ed è successo che qualcuno sia morto a seguito di una lite per un parcheggio.

Inoltre la presenza di propulsori ecologici migliorerebbe la qualità dell’aria, ma non eliminerebbe certo gli ingorghi né gli incidenti. Illich propone una metafora dal contenuto piuttosto forte: passare all’utilizzo di “motori puliti” (se mai fosse possibile) è come passare dall’eroina al metadone, si salvaguarda il corpo ma si continua a sacrificare la psiche. Si continua a restare dipendenti, degradando la propria condizione a schiavo dello strumento:“ […] il passeggero abituale deve adottare una nuova serie di credenze e di aspettative. “Incontrarsi” significa per lui essere collegati dai veicoli. […] Ritiene che la libertà di movimento consista in un diritto alla propulsione. Crede che il livello della democrazia sia in correlazione con la potenza dei sistemi di trasporto e di comunicazione. Non ha più fede nel potere politico delle gambe e della lingua. Di conseguenza non vuol essere maggiormente libero come cittadino, ma essere meglio servito come cliente. […] Vuole un prodotto migliore, non vuole liberarsi dall’asservimento ai prodotti.”3 E quanto vale per l’individuo vale anche per gli Stati visto che, come già Platone affermava, il cittadino non è che uno Stato in miniatura:

”Nel momento in cui un paese povero sposa l’idea che una maggiore quantità di energia più attentamente gestita darà sempre come risultato un maggior volume di beni per più persone, quel paese si chiude nella gabbia dell’asservimento al massimo sviluppo del prodotto industriale.”4

Dunque non è sufficiente pensare alla salvaguardia dell’ambiente, perché i danni del traffico si manifestano soprattutto a causa di due delle cinque minacce esaminate da Illich ne La convivialità, cioè il monopolio radicale e la polarizzazione del potere. Prima di prenderle in considerazione va comunque detto che le due minacce rimanenti (l’obsolescenza e la superprogrammazione) riguardano anch’esse in qualche modo il traffico. Sul rapporto obsolescenza – traffico si può facilmente portare un esempio: basta ricordare come qualche anno fa, per costringere le persone a sostituire la propria automobile con una più sicura ed ecologica, è stata soppressa per legge la cosiddetta “benzina super”, sopprimendo così anche il diritto ad utilizzare vetture che funzionavano con quel carburante.

La mossa successiva è stata quella di modificare costantemente e periodicamente le caratteristiche che rendono un motore “ecologico”: così oggi compro un’auto con motore “euro 5”, ma probabilmente il prossimo anno potrò entrare in città solo se avrò un “euro 6”. Pare (perché anche tra gli ingegneri queste definizioni si mantengono misteriose) che la differenza tra euro 4 ed euro 5 siano i secondi necessari al catalizzatore per raggiungere la piena efficienza: nel primo caso venti secondi, nel secondo venticinque! Si può perciò affermare che “I continui perfezionamenti tecnologici che vengono apportati a certi prodotti già affermati sul mercato si traducono spesso in un vantaggio per il produttore assai più che per il consumatore. La complessità crescente dei procedimenti produttivi fa sì che solo i grandi produttori siano in grado di sostituire in continuazione i modelli superati, mentre la domanda del consumatore tende a concentrarsi sui miglioramenti marginali del prodotto senza alcun riguardo per gli effetti collaterali concomitanti, cioè prezzi più alti, minore durata, utilità più limitata, maggiore onerosità delle riparazioni.”5

E’ giusto ricordare che negli ultimi anni la costrizione all’acquisto di un nuovo modello è stata mascherata da “incentivo” governativo. Insomma, non si può dire che Illich sbagliasse quando agli inizi degli anni ‘70 scriveva:

“Le stesse istituzioni politiche funzionano come meccanismi di pressione e di repressione che indirizzano il cittadino e raddrizzano il deviante, per renderli conformi agli obiettivi di produzione.”6

Per quanto invece riguarda la superprogrammazione, va ricordato che anche per guidare è necessario superare un esame, e solo in seguito a ciò viene conferita la patente di guida. E a quanto pare anche questo tipo di istruzione è perfettamente inutile, visto che gli incidenti più gravi vedono spesso come protagonisti proprio i neo – patentati, cioè coloro che dovrebbero avere più fresche nella memoria le regole della sicurezza stradale. E come per la scuola, anche questo tipo di istruzione crea gerarchie, perchè chi non ha la patente è di fatto estromesso da una serie di possibilità, anche lavorative: non solo le zone industriali sono spesso fuori dai percorsi dei mezzi pubblici, ma anche molti concorsi per accedere ad un pubblico impiego richiedono la patente come titolo d’accesso. Questo discorso ci introduce al tema dell’equità e alla polarizzazione del potere. Infatti le auto hanno trasformato le città in luoghi pericolosissimi per tutti, in particolare per i bambini che possono giocare solo in luoghi protetti, in cui sono accompagnati solitamente da un adulto in automobile. Che a fare le spese del traffico siano le persone più deboli è messo in evidenza da La Cecla:

“Si crede ancora che l’auto e il sistema a essa connesso […] sia una soluzione alle “urgenze”. Se uno deve andare in ospedale? E i vecchi che non hanno le gambe per camminare? E i bambini? Bisogna dire che se ci sono categorie punite dal sistema sono proprio queste tre. Un’ambulanza diventa molto spesso un feretro vista la vischiosità e l’impenetrabilità del traffico urbano. E quanto a vecchi e bambini le città sono diventate paurosamente prive di queste due classi, nuove riserve sono state inventate per rinchiuderli dove non diano fastidio, si chiamino scuole, ospizi, giardinetti o centri per “attività ludiche”. Una città dove non si può giocare per strada, dove gli anziani non possano stare seduti o appoggiati a osservare la vita che gli passa accanto e che li coinvolge, una città che ha eliminato la plurifunzionalità degli spazi pubblici è un parcheggio.”7

Illich afferma che al di sopra di una certa soglia di energia è inevitabile che venga meno l’equità sociale, e questa soglia è inferiore a quella che provoca degrado ambientale. Infatti il trasporto (cioè il traffico industrializzato, lo spostamento che utilizza energia ulteriore rispetto a quella metabolica) crea delle distanze ed obbliga la gente a percorrerle. E’ la nemesi: ciò che dovrebbe eliminare le distanze in realtà le crea. Nel momento in cui le distanze si dilatano viene meno l’uguaglianza: tutti gli uomini hanno le gambe per muoversi, ma con le gambe soltanto non si possono fare centinaia di chilometri in poche ore. Tutti quei chilometri li potrà fare solo il possessore di automobile.

Se ci sono le automobili devono anche esserci strade per farle correre. Ma lungo queste strade crescono pian piano abitazioni, fabbriche, uffici, supermercati, e così sempre più persone si ritrovano costrette a percorrerle. Ed essendo queste strade nate per le automobili, non saranno percorribili che con tali mezzi. La maggioranza di chi lavora oggi deve percorrere numerosi chilometri al giorno per poterlo fare, e per farlo deve procurarsi un’automobile. Così ha bisogno dell’auto per andare al lavoro, ed ha bisogno del lavoro per comprare e mantenere l’auto. Tutto questo risulta evidente se si prendono in esame gli effetti dovuti all’introduzione dell’automobile nei paesi in via di sviluppo:

“All’inizio degli anni Trenta […] il Messico si dotò di un sistema di trasporti moderno.

[…] I principali villaggi furono collegati da piste o strade in terra battuta. Grossi camion, semplici e solidi, cominciarono a percorrere i loro tragitti a velocità non superiori a 30 km l’ora. […] Sulle distanze brevi il camion non costituiva un’alternativa per della gente che era abituata a camminare con pesanti carichi, ma tutti ebbero la possibilità di percorrere lunghe distanze. L’uomo non andava più a piedi al mercato spingendosi avanti il suo maiale: se lo caricava con sé sul camion. […] Dal 1945, ogni anno non si fa che spendere di più per la rete stradale. Si costruiscono autostrade fra questo e quel centro maggiore. Fragili automobili sfrecciano su strade lucide di asfalto .

[…] I vecchi camion buoni per tutti gli usi sono stati respinti in montagna. In quasi tutte le regioni, il contadino deve prendere un pullman per andare al mercato ad acquistare prodotti industrializzati, ma sul pullman non può caricare il maiale e deve perciò venderlo al mercante ambulante di bestiame. Finanzia, con le tasse, la costruzione di strade che recano profitto ai detentori dei vari monopoli specializzati […] il messicano medio ha perduto gran parte della mobilità che il vecchio sistema gli garantiva, senza peraltro guadagnare in libertà. Uno studio condotto in due grandi Stati tipici del Messico […] conferma questo giudizio: meno dell’1 per cento della popolazione, in ognuno di questi due Stati, ha percorso nel 1970 più di 20 km in meno di un’ora. Un sistema di biciclette e carretti, eventualmente motorizzati, avrebbe costituito, per il 99 per cento della popolazione, una soluzione tecnicamente molto più efficace della tanto vantata rete autostradale.”8

Anche in questo modo si creano disuguaglianze: ad esempio i prezzi delle case variano a seconda della distanza dalle strade principali, e mentre fino a qualche anno fa era privilegiato chi aveva l’auto più potente e veloce, ora anche lui è imbottigliato in un ingorgo insieme alle utilitarie, ed il privilegiato è colui che possiede un’auto che assomiglia ad un carro armato e che in caso di incidente può considerarsi ben protetto. Ovviamente questa è una forma di polarizzazione del potere: ci si può immaginare la fine che potrebbe fare il pedone o il ciclista che dovesse impattare con uno di questi SUV. Inoltre queste auto, che richiamano palesemente i veicoli militari, si propongono come oggetto esclusivo proprio perché sono “fuoristrada”, non sono costrette come le altre a stare in coda, possono (perlomeno simbolicamente) divorare qualsiasi superficie di terreno.
 
La polarizzazione del potere si mostra anche nel fatto che il tempo non è prezioso per tutti allo stesso modo: “Oltrepassata una certa soglia nel consumo di energia per i passeggeri più veloci, si crea una struttura di classe, su scala mondiale, di capitalisti di velocità. Il valore di scambio del tempo diviene dominante, rispecchiandosi anche nella lingua: il tempo si spende, si risparmia, s’investe, si spreca, s’impiega. Quando una società segna un prezzo sul tempo, tra l’equità e la velocità veicolare si stabilisce una correlazione inversa.

L’alta velocità capitalizza il tempo di poche persone a un tasso spropositato, ma paradossalmente lo fa deprezzando il tempo di tutti gli altri. A Bombay solo pochissime persone posseggono un’auto; esse possono raggiungere in una mattinata la capitale d’una provincia […] Due generazioni addietro ci sarebbe voluta un’intera settimana per lo stesso viaggio […] Adesso spendono una quantità maggiore di tempo per un maggior numero di spostamenti.

Ma quelle stesse poche persone, con le loro auto, scompigliano il flusso di traffico delle migliaia di biciclette e di taxi a pedale che circolano nel centro della città […] La spesa complessiva di tempo assorbita dal trasporto in una società cresce assai più in fretta del risparmio di tempo conseguito da un’esigua minoranza nelle sue veloci escursioni.”9 Quest’ultimo passo ci ricorda che la velocità degli strumenti non ha modificato solo lo spazio che ci circonda ed in cui viviamo, ma anche il tempo: “Gli orari dei treni hanno introdotto il minuto nella società.”10 Nell’era della velocità il tempo è denaro, ma non per tutti allo stesso modo: il tempo di qualcuno è più prezioso di quello di altri.

Concludo l’analisi di Energia ed equità esaminando molto brevemente una questione che ormai dovrebbe essere chiara, quella cioè del monopolio radicale e dell’induzione dei bisogni.

Infatti “Un’industria non impone un monopolio radicale a tutta una società per la semplice scarsità dei beni che produce o perché elimina dal mercato la concorrenza, bensì grazie alla capacità che possiede di creare e plasmare un bisogno che essa soltanto è in grado di soddisfare.”11

Si è visto sopra come le cose sono andate per il trasporto: all’inizio l’automobile era un lusso per pochi che nel tempo è stato trasformato in una necessità per tutti. Si sono create le strade per permettere ai privilegiati di andarvi con la propria vettura, ma poi quelle stesse strade hanno creato distanze percorribili solo in automobile. E’ il destino di qualsiasi strumento dominante, è la sua natura, e non vi si può porre rimedio con interventi di giustizia distributiva: “Immagino che cosa accadrebbe se l’industria del trasporto potesse in qualche modo distribuire più adeguatamente il suo prodotto: un utopico sistema di trasporto rapido e gratuito per tutti porterebbe inevitabilmente a un’ulteriore espansione del dominio del traffico sulla vita umana.

Come si configurerebbe questa utopia? Il traffico sarebbe organizzato esclusivamente in funzione dei mezzi di trasporto pubblici; verrebbe finanziato mediante un’imposta progressiva, calcolata in base al reddito e in base alla distanza del domicilio del contribuente dalla fermata più vicina e dal posto di lavoro; sarebbe concepito in modo da permettere a chiunque di occupare qualunque posto, secondo il principio che chi prima arriva viene servito prima: nessun diritto di precedenza verrebbe riconosciuto al turista, al medico o all’autorità. In un simile paradiso degli sciocchi tutti i passeggeri sarebbero uguali, ma anche tutti in egual misura consumatori coatti di trasporto. Ogni cittadino di questa Utopia motorizzata sarebbe egualmente privato dell’uso delle gambe ed egualmente impegnato a far proliferare le reti di trasporto.”
 
Fonte: Associazione Eco Filosofica


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