FIGLIA DI DUE MONDI
Quando sento parlare Sandra mi fa un certo effetto, si esprime in perfetto fiorentino, con tanto di acca aspirata!! Ma cosa c’è di strano visto che siamo alle porte di Firenze? E’ che Sandra Chen è una vivace ragazzina cinese dal viso dolce e i modi gentili, figlia quindi di due culture, due tradizioni che tentano con caparbietà di convivere qui, nella operosa periferia fiorentina. Il progetto migratorio degli immigrati cinesi mira all’insediamento stabile e soprattutto ad una piena integrazione dei figli nella società di arrivo e quindi Sandra è un esempio vivente, sempre più frequente, della concreta possibilità di convivenza e di positiva relazione fra questi due mondi così diversi e distanti tra loro. Prato, Campi Bisenzio, San Donnino, ecco i luoghi dove si è maggiormente concentrata l’immigrazione cinese in Toscana, cresciuta progressivamente nel corso degli anni ’90, con un forte incremento nell’ultimo triennio, caratterizzata dalla alta percentuale femminile, oltre il 50% dei 20.000 immigrati.
A differenza di altre immigrazioni la comunità cinese ha una dimensione prevalentemente familiare ed è dotata di una forte capacità di inserimento economico fondato sullo sviluppo di imprese, per lo più autonome, caratterizzate da una realtà di lavoro durissimo e avendo alle dipendenze altri connazionali che sovente intrattengono col titolare relazioni di parentela. Il ruolo della famiglia (intesa nell’accezione più ampia del termine, quale è quella della cultura cinese) e i legami esistenti tra i cinesi d’oltremare residenti in differenti realtà condizionano fortemente le dinamiche migratorie che si localizzano dove vi sia già una presenza, più o meno consistente, di altri cittadini cinesi. La rete etnica è un aiuto che fornisce input ben precisi ai nuovi arrivati su come procedere nell’inserimento nel nuovo ambiente. Questa concentrazione territoriale costituisce facilmente fonte di diffuse preoccupazioni tra gli autoctoni ed inevitabilmente esprime un impatto duraturo anche sul sistema dei servizi educativi e socio-sanitari.
Prato è caratterizzata da una forte presenza di immigrati, il 3.2% dell’intera popolazione. Su un totale di 13.360 presenze straniere, ben 7900 sono di provenienza della Cina popolare, e questo dato è sempre in aumento. L’imprenditoria cinese nella provincia di Prato è, ovviamente, sviluppata nel settore delle industrie tessili e dell’abbigliamento, nonché nella ristorazione. Gli immigrati sono persone in bilico fra due mondi, quello di provenienza e la società di accoglienza. L’interazione fra popoli, culture, abitudini diverse è un processo complesso e il cammino verso l’integrazione con i residenti italiani non è certo facile sia dal punto di vista urbanistico, produttivo e culturale.
La solidarietà non è comunque riducibile soltanto all’assistenza. Per realizzare una vera società interculturale occorre andare ben oltre. Non ci si deve limitare, come attualmente accade, ad un’interazione puramente economica e, per tutto il resto, lasciare che le due comunità vivano separate, per incontrarsi solo talvolta, a livello folcloristico. E’ infatti proprio la mobilità che permette non solo l’incontro/scontro di culture, ma anche, e soprattutto, la trasformazione, il cambiamento, il miglioramento reciproco. Oggi per esempio, gli immigrati provenienti dall’Oriente ci propongono la cucina cinese e i maghrebini ci insegnano l’arte del cous-cous, tanto per indicare solo gli aspetti più visibili e in qualche modo folcloristici di questa convivenza.
La stragrande maggioranza dei cinesi presente in Italia proviene da una regione sud orientale della Cina, lo Zhejiang, una zona per lo più montuosa e gli emigranti sono prevalentemente contadini. Questa origine socioculturale continua ad agire anche qui in Italia formando una comunità piena di contraddizioni e di contrasti spesso delusa dal contatto con il nostro universo culturale, così lontano da quello d’origine e che mostra le profonde differenze esistenti tra queste due culture.
C’è da evidenziare comunque che, nell’ultimo decennio, le cose sembra stiano cambiando anche nell’universo cinese. La famiglia tradizionale ha dovuto infatti subire notevoli trasformazioni: ruoli ed atteggiamenti si sono dovuti adattare alle esigenze del momento e del luogo, spesso causando un certo disorientamento nei vari componenti, specie per quanto riguarda il ruolo della donna all’interno della famiglia e della comunità. La società patriarcale come quella cinese mirava a mantenere una netta divisione tra uomini e donne. Una donna veniva educata all’obbedienza, conformandola ad un rigido articolato codice morale consacrato dagli anni e dalla tradizione. La donna accettava passivamente la sua condizione d’inferiorità intellettuale e rimaneva tagliata fuori dal mondo esterno. Essa imparava soltanto a sbrigare le faccende domestiche e quelle poche attività collaterali che le erano concesse.
E’ bene ricordare che è soltanto del 1928 l’ordinanza contro la fasciatura dei piedi delle bambine cinesi! Ma la concezione maschile conservatrice, che vede nella donna un essere inferiore e un passatempo, è ancora dura da estirpare anche se, con l’ascesa di Mao al potere, la donna cinese poté essere considerata “la metà del cielo”. Nonostante ciò è ancora tanta la strada da percorrere per una concreta parità dei sessi. Infatti, nonostante gli sforzi del governo cinese, nelle aree rurali è ancora difficile tramutare in realtà l’uguaglianza fra i sessi ormai acquisita dalle leggi vigenti. Ancora adesso le conseguenze dei maggiori problemi sociali ricadono prevalentemente sulle donne e sulle bambine. Di questa disparità ancora esistente tra città e campagna in Cina, bisogna tenerne conto nel considerare l’immigrazione cinese residente nel nostro Paese.
Quanto tempo dovrà ancora passare perché abbia termine la terribile pratica della soppressione e dell’abbandono delle bambine neonate? Quanto ancora dovranno lottare le figlie della Cina affinché nascere donna cessi di essere una maledizione? E’ questo che si chiede Bamboo Hirst nel suo libro “Figlie della Cina”. L’ostacolo più sentito dalla comunità cinese è quello della lingua e tutti i servizi sociali dei Comuni interessati, aiutati spesso anche da associazioni di volontariato, parrocchie, centri, si prodigano nel tentativo di trovare soluzioni a questo problema, attenti anche a facilitare una positiva interazione con la comunità cinese senza che questa perda il contatto con le sue radici.
In generale le donne extracomunitarie in Italia sono al centro di opinioni, atteggiamenti, pregiudizi e silenzi che rendono problematica la rappresentazione della loro presenza a livello sociale. C’è’ il doppio svantaggio sociale di donne e di immigrate. Le donne cinesi, numerose soprattutto in Lombardia, Lazio e Toscana, sono assenti dalle vie delle città, sembrano non uscire mai dai ristoranti o dagli altri luoghi dove lavorano. Esse invece rappresentano un microcosmo, spesso nascosto ma vitale, ricco di interessi e valori, formato da studentesse, operaie, mediatrici culturali, imprenditrici, artiste. E’ comunque l’intera comunità cinese, chiusa e formalizzata, a renderle invisibili alla società italiana. I loro percorsi, le loro aspirazioni, i loro desideri sono tutti da studiare e comprendere. Così come la rilevanza delle loro radici culturali e delle loro reti personali e familiari. Solo in questa prospettiva sarà possibile metterle al centro di interventi specifici, di reti di solidarietà e di sostegno e fornire loro opportunità effettive di accesso e di integrazione nella società “ospitante”.
Ad esempio, nei consultori i problemi che le donne cinesi devono affrontare, oltre a quello della lingua, sono causati dal fatto che gli operatori, non conoscendo le tradizioni e le culture del paese di origine delle pazienti, si relazionano con loro con le stesse modalità usate per le donne italiane e quindi non sono in grado di costruire un concreto rapporto di apertura e fiducia. D’altra parte le utenti, non trovando corrispondenza culturale e comprensione nell’operatore e non essendo abituate a parlare con estranei di certe problematiche considerate personali (come quelle ginecologiche e sessuali), spesso assumono un atteggiamento di maggior chiusura. Le donne cinesi si fanno accompagnare da una connazionale, oppure vanno col marito e danno molta rilevanza a conoscere il sesso del bambino, vista la tradizione contadina, cui facevo cenno prima, ancora molto diffusa in Cina. Una positiva iniziativa per venire incontro ai bisogni delle donne e, in generale, della popolazione cinese, è stata realizzata, in via sperimentale, nel Comune di Campi Bisenzio, nella frazione di San Donnino, chiamata scherzosamente “San Pechino” dove, in alcuni momenti, vi è stata la più grande comunità cinese d’Italia, dedita soprattutto all’attività pellettiera. Da qualche anno opera il “Fior di Prugna”, un consultorio di agopuntura e di medicina tradizionale cinese frequentato sia da cinesi che da italiani.
Mariagrazia De Cola [email protected]
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