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Ricordalo sempre: solo il tuo essere totale può comprendere qualcosa, la parte no. Né la tua testa né il tuo cuore né le tue mani né le tue gambe possono comprendere, solo il tuo essere totale. La comprensione appartiene al tutto, l’incomprensione alla parte. Lo Zen è arrivato a capire che la comprensione appartiene alla totalità: mangia, dormi, sii naturale e sii totale, e non cercare di dividerti, corpo e mente, anima e materia. Non dividere: con la divisione sorgono il conflitto e la violenza, con la divisione sorgono milioni di problemi, e poi non ci sono soluzioni. Al contrario, esiste una sola soluzione ed è essere di nuovo integro, lasciare ogni cosa alla totalità naturale.» Osho
Dall'introduzione del libro
Dopo aver parlato per anni commentando i testi delle tradizioni religiose e mistiche di ogni epoca e paese – da Pitagora a Chuang-tzu, dai Vangeli a Guru Nanak, dai Sufi ai Baul… e così via, in un affresco senza limiti – Osho ha dedicato i suoi ultimi discorsi esclusivamente allo Zen, terminando con il Manifesto dello Zen, il suo testamento spirituale. Attraverso il commento di Osho, gli aneddoti e le storie Zen – che lui ama chiamare sutra, come i versetti della tradizione indiana – antichi e senza tempo, ricchi di fascino e al tempo stesso arcani ed enigmatici, a volte assurdi e paradossali, assumono una veste comprensibile anche per noi che ci avviciniamo alla dimensione interiore da tutt’altre prospettive.
Ma la cosa certamente più importante – e in un certo senso insolita – è l’atmosfera che ha accompagnato questi discorsi: Osho creava un ambiente davvero giocoso, scevro da ogni forma di intellettuale serietà, senza tuttavia perdere di vista le vette e i sentieri verso la dimensione del trascendente che i racconti Zen evocano. Ecco dunque il suo giocare con Avirbhava, una discepola americana, oppure il chiamare in causa Sardar Gurudayal Singh, “l’uomo che ride prima ancora che si racconti una barzelletta”, o il suo utilizzare Nishkria, di fatto il cameraman, per distribuire “bastonate Zen”. Tutto questo è parte di un messaggio di rinascita e di rinnovamento, perché solo uno spirito nuovo può avvicinare le nuove generazioni al trascendente. «Lo Zen tradizionale è duro, arduo. Richiede venti, trent’anni di meditazione costante, un ritiro totale delle proprie energie dal mondo, per dedicarle solo alla meditazione. Io sto cambiando radicalmente tutto ciò che è lo Zen tradizionale, perché non vedo come l’uomo contemporaneo possa dedicare venti o trent’anni della sua vita soltanto alla meditazione: se lo Zen rimane così severo, così austero, scomparirà dalla Terra. Dev’essere trasformato, in modo che l’uomo contemporaneo se ne possa interessare. Dev’essere una via facile, rilassata, non troppo ardua. Il vecchio Zen tradizionale ormai non può più esistere e non è neppure più necessario». Osho
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