La tesi di fondo di questo volume echeggia la perennis philosophia di Leibniz, ovvero la teoria di un sapere più antico di ogni scienza e di un culto più antico di ogni religione. Quindi la magia come residuo, frammento di una cultura perduta. A ciò allude da sempre la dottrina sincretista tra il furore e lo scherno dei suoi avversari, ma la Butier si guarda bene dall'immischiarsi nella contesa davvero eterna tra i seguaci dell'"esoterismo comparato", secondo l'efficace espressione di Schuré, e quelli che potremmo definire i "saperi forti" di ogni tempo.
Le basta semplicemente registrare l'impatto dell'archetipo del Mago sulla tradizione letteraria, dalle origini mesopotamiche e antico-giudaiche, attraverso il variegato corpus delle leggende medievali e rinascimentali, fino alla narrativa contemporanea. E come negare la presenza, finanche stucchevole, delle storie magiche nella letteratura, nel cinema, nel fumetto - in una parola -, nel cosiddetto "immaginario collettivo" di qualunque epoca, dalla Bibbia a Dylan Dog?
Un archetipo, sostanzialmente immutato, percorre la mente degli uomini da almeno cinquemila anni, eccitando la loro fantasia, nutrendo le loro speranze, provocando il loro scetticismo; nessun illuminismo, nessun positivismo, nessun trionfo della tecnica ha saputo diradare l'aura magica che di quando in quando avvolge persone, luoghi ed eventi; e, d'altro canto, nessun'impresa, nessun prodigio, nessun miracolo ha mai potuto spegnere il ghigno beffardo degli scettici e degli agnostici.
Forse è questo il vero mistero che illumina l'impareggiabile galleria di maghi d'ogni tempo sapientemente raccolta da Eliza Butier. (dalla prefazione di Massimo Ortelio)