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Richard of St. Victor

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VIVERE INSIEME
INTRODUZIONE ALLE CULTURE COMUNITARIE
VIVERE INSIEME
REPORTAGE DA AUROVILLE
REPORTAGE DA AUROVILLE


La Comunità di Adventure di Auroville

Adventure è una Comunità intenzionale, nel senso che raggruppa un numero di persone che hanno deciso di condividere uno spazio e un tempo sia fisico che spirituale.
È situata nella cosiddetta Green Belt di Auroville, la cintura verde dedicata al rimboschimento, all'agricoltura, al verde.  Nonostante ciò è molto vicina al centro della township Auroville, al Matrimandir, al Visitors' Center, alla Solar Kitchen, inoltre contigua al villaggio Tamil di Edyanchavadi e attigua alla Udavi School, la prima scuola di Auroville (in senso temporale).
Fisicamente viviamo in alloggi chiamati "capsule", abitazioni tradizionali di questa zona, fatte di legno con il tetto di foglie di palma o cocco, aperte ai quattro lati con portelloni triangolari, in qualche caso  con la parte inferiore in muratura.
Comunque ogni abitazione è differente, alcune hanno il "dojo" esterno o una cucina o un laboratorio, tutte i servizi esterni, tutte a una certa distanza e non a vista una dall'altra, immerse naturalmente nel verde. Servizi in comune sono la cucina, un ufficio chiuso in muratura da cui ci colleghiamo ad internet con un sistema centralizzato, un dojo detto Ganesha dove ci riuniamo regolarmente per meditare insieme, cantare bhajans un paio di volte la settimana, tenere riunioni per organizzare i lavori e le decisioni comuni, e fare il cosiddetto sharing settimanale.
Lo sharing, che in inglese vuol dire condivisione, è un momento molto importante, solitamente il giovedì sera dopo cena, alle 8, ci riuniamo nel dojo (una grande capanna di forma ottagonale aperta su tutti i lati) con al centro un piccolo mandala di fiori e candele, incenso e le foto dei Maestri, ma anche con altre simbologie non solo indiane. Dopo una breve meditazione o concentrazione collettiva e il canto di un om, cerchiamo di aprire i nostri cuori agli altri, partendo dagli avvenimenti della settimana, ma non necessariamente, cercando di comprendere e farci comprendere, aprendosi appunto, e condividendo le nostre sensazioni, positive o negative del momento, cercando diContinua...

IL DONO DEL VECCHIO RABBINO
IL DONO DEL VECCHIO RABBINO
Il “Dono del vecchio rabbino” racconta la storia di un monastero in decadenza nel quale vivevano quattro anziani monaci e l’abate i quali erano molto preoccupati per la fine del loro ordine monastico.
Nei boschi intorno al monastero si trovava una capanna usata ogni tanto come eremitaggio da un rabbino.
Dopo anni di preghiere, contemplazioni e meditazioni, il gruppo dei monaci aveva sviluppato una certa sensibilità e percepivano la presenza del rabbino quando era presente nella capanna-eremo.
L’abate, afflitto e addolorato per la situazione difficile del suo monastero decide di chiedere consiglio al rabbino.
Continua...
ESPERIMENTI GIAPPONESI PER NUOVE GENERAZIONI
ESPERIMENTI GIAPPONESI PER NUOVE GENERAZIONI di Lex Veelo

La conferenza internazionale sugli ecovillaggi è stata una meravigliosa opportunità per conoscere realtà in Giappone che intendono attuare progetti per la creazione di ecovillaggi. Ci era stato detto che la gente in Giappone un tempo aveva un forte senso della comunità nei loro migliaia di villaggi rurali e nei quartieri cittadini. Avevano anche un antico e sacro, senso di comunione con la natura, in particolare con gli alberi e con le foreste. Il Giappone infatti è ancora oggi riuscito a conservare il 66% della loro nazione insulare con la foresta, che rappresenta una cifra impressionante se si considera che la forte pressione di cancellare le foreste per ottenere aree coltivabili sempre maggiori ed alimentare la popolazione in aumento.
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IL DONO NELLA RETE


di Antonio Maccioni

C’è un volume che da pochi giorni occupa gli scaffali delle nostre librerie, merita davvero di essere letto con attenzione.

L’evoluzione della rete sollecita la riflessione di economisti, filosofi, antropologi, sociologi, psicologi, e il lavoro fatto da Marco Aime e Anna Cossetta è nato in questo tempo e lo vive appieno. Il dono al tempo di Internet (Einaudi, 2010) ha il merito – certamente indubbio – di aver posto l’accento della riflessione sul dono tradizionale altrimenti riferibile in questo caso alla condivisione e alla costruzione ed edificazione partecipata. In 120 pagine il lavoro di Aime e Cossetta solleva questioni enormi, ma lo fa senza dubbio in modo stimolante e con intento propositivo.

Fatta questa premessa andiamo al dunque: sarà difficile ripercorrere queste pagine in poche battute e ci si dovrà dilungare. La tesi sostenuta dagli autori – ripresa in questi termini anche in ultima battuta – è che una delle caratteristiche principali della Rete sia quella di dare vita a comunità immaginate, che non sempre necessitano di relazioni tra gli individui. Parole chiave nell’analisi di Aime e Cossetta sono infatti: comunità, relazione; ma soprattutto: condivisione, dono.

Ci si chiede dunque cosa possa spingere tante persone a dedicare una parte consistente del proprio tempo e della propria vita alla condivisione di saperi ed esperienze, mettendo a disposizione tutto ciò senza un ritorno di tipo materiale, almeno nell’apparenza e nell’immediato. Tale processo potrebbe essere riletto – ci si chiede ancora – attraverso categorie analitiche e concetti mutuati dallo studio delle società umane e delle loro relazioni interne ed esterne? Ovvero: la forma di reciprocità tipica dello scambio peer to peer è vera reciprocità – intesa in senso tradizionale – o ci si trova piuttosto di fronte a qualcosa che avrebbe a che fare con la redistribuzione delle società già conosciute? Così ad esempio: il meticoloso lavoro di sottofondo di Wikipedia potrebbe essere assimilato al volontariato?

L’indagine tenta di tracciare una sorta di etnografia della Rete, analizzando i nuovi fenomeni relazionali e comparandoli con altri più tradizionali per evidenziarne analogie e differenze: il web (così come lo scambio, ovvero la condivisione, che sostanzialmente lo caratterizza) potrebbe essere considerato come una società dagli schemi simili a quelli della società tradizionale, o starebbe piuttosto alla base di nuovi ed originali modelli relazionali? Se si trattasse di un’innovazione radicale – secondo gli autori – andrebbero indagate ed analizzate le ripercussioni sulle dinamiche tradizionali, con cui continuiamo ad ogni modo a convivere, valutandone gli impulsi iniziali e il definitivo impatto.

Anna Cossetta – senza tralasciare riferimenti e citazioni che vanno da Mauss a Polanyj a Derrida – sembra dunque sostenere che dalla famiglia alla società, a tenere assieme un gruppo di persone sarebbero le relazioni di scambio, dato che l’uomo è animale relazionale e la sua incompletezza lo renderebbe sociale ma soltanto per necessità. Ovvero: l’uomo a differenza degli altri animali non sarebbe stato fornito di specializzazioni, né di una pelliccia per ripararsi dal freddo, né di artigli per aggredire, né di ali per volare, né di velocità particolare e nemmeno di particolare potenza. La cultura sarebbe dunque un espediente col quale l’essere umano vorrebbe colmare le sue lacune originarie, e potrebbe essere questa una definizione e una considerazione interessante. Non trovo però particolarmente fondati i riferimenti offerti al riguardo: se non altro, perché l’uomo – quanto è vero – non ha le ali per volare ma ha le ciglia per difendere gli occhi, non ha pelliccia per ripararsi dal freddo ma ha i piedi per sostenersi in posizione eretta. Verissimo: a ciò che manca è possibile sopperire con la cultura. Ed è altrettanto vero: le difese naturali non sono sufficienti e l’uomo ha dunque bisogno necessariamente – supponiamo noi – di una sciarpa. Ma in che senso la pelliccia può avere a che fare con la cultura? È vero che l’uomo è privo di specializzazioni? E se la pelliccia ha a che fare con la cultura, la sciarpa sopperisce a un bisogno naturale o a un bisogno culturale assimilato e – per così dire, sempre che si possa passare il termine – a un bisogno genetizzato? I riferimenti di Cossetta sono interessanti, ma pongono problemi e questioni decisamente più grandi.

Tornando al tema centrale, con Marcel Mauss si sostiene allora che il dono risponda a una logica fatta di tre gesti: donare, ricevere, contraccambiare. In termini economici, al valore d’uso e al valore di scambio dell’oggetto-bene si potrebbe aggiungere il valore di legame, quando il legame diventa più importante del bene stesso. Si farebbe un dono per avviare o consolidare una relazione con qualcuno, e se il regalo verrà gradito allora la persona coinvolta ricompenserà a sua volta con un altro dono. La differenza tra l’atto del dono e lo scambio mercantile potrebbe essere riassunta – secondo tale percorso – nella presenza della libertà. La libertà sarebbe forza e chiave del dono, e lo escluderebbe da uno scambio di tipo lucrativo rendendolo piuttosto un ibrido al di fuori della coercizione: è il donatore iniziale a rischiare sfidando la sorte, tentando di stabilire un legame che verrà consolidato inizialmente col contraccambio. La speranza finale del dono sarebbe appunto questa: la relazione. Secondo lo stesso percorso, considerando le posizioni di Jean Luc Marion, però, tra donatore e ricevente non dovrebbe esserci alcun rapporto di conoscenza, affinché l’attenzione si sposti sul gesto e sull’atto del donare, la donazione. Si considera ad esempio l’associazionismo con Jacques Godbout, o la filantropia diffusa nel mondo anglosassone. In modo simile, come nel caso del dono perfetto di Jean Luc Marion, nello scambio peer to peer si avrebbe sempre a che fare con sconosciuti, appartenenti però alla stessa comunità online che si aggrega con l’obiettivo di condividere delle informazioni.

La Rete sembrerebbe dunque aver a che fare in qualche misura con categorie preesistenti. Al di là dei critici che la accusano di spingere gli utenti verso un isolamento sociale e fisico spezzando i tradizionali canali di comunicazione, Internet mostrerebbe per altri versi come il proprio comportamento non venga influenzato dalla tecnologia ma piuttosto viceversa. Internet si adatterebbe – davvero in soldoni – alle esigenze di ognuno. Che poi è un argomento interessante. Ed è un argomento discutibile? È un argomento discutibile.

Però individui con problemi di ogni tipo (informatici, sanitari, personali e così via) possono trovare nel web un luogo per aiutarsi anonimamente: ed è vero come ricorda Cossetta che nell’era del pieno dei consumi, Internet fornisce spazi che travalicano la deriva consumistica e ripropone – in modo nuovo ma su basi antiche – la stessa logica del dono.

Tentando di individuare alcune principali forme di dono e di scambio in rete, Marco Aime si occupa con taglio storico-descrittivo di Wikipedia, free software, open source, file sharing, forum, social network e blog. Si chiarisce ad esempio come il dono – secondo i canoni di Wikipedia – come in Jean Luc Marion non abbia a che fare con un ricevente conosciuto e non vi sia dunque una relazione tra donatore e ricevente. Nel caso dell’open source, si analizza l’incidenza del programma alternativo e mirato – come chiarisce Aime – a minare il mercato dominante: ma si potrebbe essere notati da qualche grossa azienda e venire assunti, dato che il mercato ingloba spesso i propri nemici anche lusingandoli. In questo caso il dono potrebbe essere inteso solamente in ottica maussiana: non è un atto gratuito ma comporta una certa aspettativa; donando qualcosa, il donatore non può sapere con certezza se verrà ricambiato, ma potrà comunque averne un beneficio in termini di reputazione.

In riferimento particolare al file sharing allora la questione sostanziale sembrerebbe essere questa: nello scambiare si cede qualcosa ottenendo qualcos’altro, ma quando l’oggetto di scambio è riproducibile non vi è nulla da perdere e si otterrebbe comunque una disponibilità analoga dagli altri attori. Verrebbe in ogni caso da chiedere – per quanto gli autori del volume lascino emergere la questione in modo più velato del resto: e il tempo? Che tipo di bene (immateriale?) è il tempo? Che tipo di bene è la perdita di diritti economici nel caso di un testo messo liberamente a disposizione in rete?

Però social network, chat, newsgroup, forum – si chiedono piuttosto Aime e Cossetta – potrebbero essere considerati in modo analogo alle comunità tradizionali? La comunità tradizionale – secondo una visione funzionalistica vicina a Simmel – avrebbe a che fare con uno spazio fisico ben definito e condiviso (posizione evolutasi con Cohen che spostava l’attenzione dall’osservatore esterno all’osservatore interno, rivalutando la sua funzione simbolica). Con la rete come nella modernità saltano i confini che determinavano territori, culture, società: i riferimenti a Bauman sono frequenti.

Se il paradigma del dono viene dunque assunto come centrale nella costruzione di una rete di relazioni e di una comunità, la sua forza starebbe nel suo valore di legame, nella capacità di dare vita a relazioni tra le persone. Ma la condivisione, spesso anonima, non produce legami. La socialità della rete sembrerebbe escludere gesti, movimenti del corpo, comunicazione gestuale e teatrale. Secondo Aime e Cossetta l’atteggiamento dell’utente in rete potrebbe essere più simile a quello di un consumatore che non a quello del membro di una vera comunità; per il resto si accumulano contatti dal valore simile a quello degli indirizzi di un elenco telefonico. Allora la discutibilissima ma davvero affascinante soluzione all’enigma degli autori del saggio Il dono al tempo di Internet sembrerebbe rivelarsi davvero questa:

L’aspetto sociale del dono viene a sfumarsi, in quanto manca la perdita, che crea quel vuoto in cui, se il ricevente contraccambia perdendo anch’egli qualcosa, si inserisce il rapporto, durevole nel tempo, tra donatore e ricevente.

Ma si potrebbero assimilare – solo per fare un esempio – categorie adatte alla lettura del file sharing trasferendole per via di interpretazione alla rete tutta intera? Per dirla pure altrimenti: la rete è una rete o è una rete di reti?

Fonte: Come La Carta

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