Negli Stati Uniti si è assistito - accanto ad uno sviluppo selvaggio delle attività economiche e finanziarie puramente speculative e di frequente truffaldine - anche alla forte crescita di un’economia e di una finanza nonprofit, spesso a forti contenuti etici, sia pure in dimensioni più contenute.
Si tratta di un fenomeno di rilevante interesse, molto articolato e molto vario nelle sue forme, che può anche sorprendere in un paese che associamo di solito al capitalismo più spinto. Abbiamo saltuariamente dato qualche informazione su alcuni aspetti di tali accadimenti; questa volta, insistendo su tale filone di notizie, vogliamo parlare dei cosiddetti Community Development Financial Institutions (CDFI, li chiama il governo) e di alcuni recenti sviluppi di tale, per molti versi interessante, fenomeno. I Cdfi sono delle istituzioni finanziarie non governative e nonprofit che cercano di fornire credito, capitale ed altri servizi finanziari alle comunità e alle aree povere, o, comunque, meno sviluppate del paese, concentrando la loro attività, nelle aree di disagio sociale, in particolare sullo sviluppo delle piccole imprese e su quello di iniziative immobiliari, spesso di risanamento.
Tali organismi possono assumere differenti forme specifiche, che vanno da quella di una banca vera e propria sino a quella di una società di venture capital. Gli specifici Cdfi sono registrati presso un’istituzione pubblica, il Cdfi fund, che opera nell’ambito del Ministero del Tesoro e che fornisce anche delle risorse finanziarie al settore per lo sviluppo delle sue attività. Il numero di tali istituzioni oggi si aggira intorno al migliaio di unità, di cui almeno 350 rappresentato da delle vere e proprie banche; esse sviluppano complessivamente attività per diversi miliardi di dollari. Tali organismi operano sostanzialmente all’interno del paese, anche se non manca qualche proiezione all’estero, nel caso almeno di alcune tra le istituzioni più grandi.
Esiste anche un organismo centrale interno di coordinamento del fenomeno, la Cdfi coalition, che comunque è una struttura, relativamente leggera, di promozione del fenomeno e di informazione sullo stesso. I Cdfi si finanziano facendo ricorso, oltre che a risorse proprie, anche a dei fondi federali, come del resto già indicato, a doni da parte di fondazioni, nonché a risorse fornite dalle banche commerciali.
Ai primi di febbraio di quest’anno l’amministrazione Obama ha annunciato la volontà di usare sino a un miliardo di dollari dei fondi della TARP -che è uno dei programmi pubblici rivolto a concedere risorse finanziarie alle banche del paese per superare la crisi- per fornire del capitale a più basso costo ai Cdfi. Ma tra i finanziatori del fenomeno è sempre più importante il ruolo assunto di recente proprio dalle banche ordinarie.
Intanto esse cercano di operare in tale area di attività perché in questo modo adempiono ad alcune delle indicazioni poste dal cosiddetto Community Reinvestment Act. Nei fatti, gli organismi pubblici, a livello nazionale e locale, quando devono approvare delle fusioni, acquisizioni o anche dei programmi di espansione delle istituzioni finanziarie esistenti prendono in considerazione anche il rispetto da parte di tali organismi delle norme CRA.
Ma l’interesse crescente delle banche ordinarie per il settore ha origine anche da altre motivazioni: intanto la pubblicità che viene fuori da tale coinvolgimento fa molto comodo in questo momento a degli organismi quali la Goldman Sachs o la JP Morgan, che hanno una brutta immagine presso il pubblico americano per i larghissimi profitti che stanno facendo, nonché per i lauti bonus che essi elargiscono ai loro dirigenti, mentre la disoccupazione e la sottoccupazione dilagano nel paese. E in effetti le grandi banche del paese non tralasciano certo di informare il pubblico, sui mass media, in merito alle loro importanti attività benefiche.
Poi, intervenire nei programmi dei Cdfi fornisce alle banche un modo a basso costo e a basso rischio per raggiungere dei potenziali futuri clienti. C’è da considerare, a questo proposito, che in effetti gli stessi Cdfi si prendono normalmente in carico il rischio primario dei prestiti e che poi gli stessi organismi, oltre ai finanziamenti, forniscono assistenza tecnica ai clienti e migliorano così le prospettive di successo degli stessi, nonché quindi la probabilità di restituzione dei prestiti a suo tempo accordati.
Fonte:
www.finansol.it