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ECONOMIA CONSAPEVOLE
Etica e spiritualità per una nuova
economia consapevole e sostenibile
ECONOMIA CONSAPEVOLE
DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO
L'ETICA E' INSUFFICIENTE

DI FRONTE AL FETICISMO DEL DENARO<BR>L'ETICA  E' INSUFFICIENTE
Raoul Vaneigem
Di fronte al feticismo del denaro, l'etica, necessaria quanto si vuole, è insufficiente. Sperare di moralizzare gli affari é vano quanto incitare ad una maggior igiene chi vive su un cumulo di spazzatura. Niente, in compenso, é più apprezzabile della libertà di parola concessa a tutti affinché una fioritura di idee nuove presieda alla ricostruzione dell'esistenza individuale e della società in un momento in cui un sistema fondato sulla ricerca esclusiva del denaro che rovina i
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LA SERENITA' INTERIORE
Plutarco

Gli insensati disprezzano e trascurano
perfino i beni di cui dispongono
perché con il pensiero
sono perennemente protesi verso il futuro
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
UN'ALTRA ECONOMIA: CARTA DEI PRINCIPI
1. Sono comprese nella definizione di altra economia, intesa come diversa e alternativa a quella oggi dominante, tutte le attività economiche che non perseguono le finalità del sistema economico di natura capitalistica e di ispirazione liberista o neo liberista. In particolare sono da essa rifiutati gli obiettivi di crescita, di sviluppo e di espansione illimitati, il perseguimento del profitto ad ogni costo, l’utilizzazione delle persone da parte dei meccanismi economici e nel solo interesse di altre persone, il mancato rispetto dei diritti umani, della natura e delle sue esigenze di riproduzione delle risorse.
2. Le attività di altra economia perseguono il soddisfacimento delle necessità fondamentali e il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone, sono dirette all’affermazione di principi di solidarietà e di giustizia, hanno come finalità primaria la valorizzazione delle capacità di tutti. Sono comprese in questa definizione anche le attività che prevedono la parziale o graduale uscita dal sistema economico dominante e le sperimentazioni di stili e modelli completamente nuovi di vita sociale, di
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IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?
IN CHE MODO IL LAVORO E' IN RAPPORTO CON LE FINALITA' E GLI SCOPI DELL'ESSERE UMANO?

di Maurizio Di Gregorio

Tutti gli insegnamenti spirituali hanno sempre riconosciuto che qualsiasi uomo non deve lavorare solo per tenersi in vita ma anche per tendere verso la perfezione. Per i bisogni materiali sono necessari vari beni e servizi che non potrebbero esistere senza il lavoro dell’uomo, per perfezionarsi però l’uomo ha bisogno di una attività dotata di senso che magari anche attraverso l’affronto e la soluzione delle difficoltà gli permetta di esprimersi, di”trovarsi”, di realizzare un opera con cui si senta in armonia e che gli permetta anche un rapporto armonico con la società e con tutto l’universo. Per Schumacher i fini del lavoro umano sono: 1) provvedere a fornire i beni necessari ed utili; 2) permettere a ciascuno di utilizzare e di perfezionare i propri doni e talenti, come buoni amministratori di se stessi; 3) Agire al servizio degli altri per liberarci del nostro egocentrismo ...Continua...
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO
MESSAGGIO DALL'UNIVERSO


di E.F. Schumacher

Il nostro "ambiente", si potrebbe dire, è l'Universo meno noi stessi. Se oggi sentiamo che non tutto è in ordine con l'ambiente, al punto che richiede la protezione del suo Segretario di Stato, il problema non riguarda l'Universo come tale, ma il nostro impatto su di esso. Questo impatto sembra produrre, troppo spesso, due effetti deleteri: la distruzione della bellezza naturale, che è sufficiente già di per sé, e la distruzione di ciò che viene chiamato "equilibrio ecologico", o la salute e il potere di sostenere la vita della biosfera, che è anche peggio. Qui farò riferimento solo al secondo punto, e cioè ciò che stiamo facendo al pianeta. Chi è "noi" in questo contesto? E' la "gente-in-generale"? E' la popolazione mondiale? Sono tutti e nessuno? No, non sono tutti e nessuno. La grande maggioranza delle persone, anche oggi, vive in un modo che non danneggia seriamente la biosfera o esaurisce il dono delle risorse naturali.
Queste sono le persone che vivono in culture tradizionali. In genere ci riferiamo a loro come ai poveri del mondo, perché conosciamo di più la loro povertà piuttosto che la loro cultura. Molti diventano anche più poveri nel senso che perdono il loro capitale più prezioso, cioè la loro tradizione culturale, in rapida disintegrazione. In alcuni casi uno potrebbe a ben diritto affermare che diventano più poveri mentre diventano un po' più ricchi. Mentre abbandonano i loro stili di vita tradizionali e adottano quelli del moderno occidente, possono anche avere un crescente impatto dannoso sull'ambiente.
Resta il fatto, tuttavia, che non è la gran parte della popolazione povera a mettere a rischio la Navicella Spaziale Pianeta ma il relativamente esiguo numero di ricchi. La minaccia all'ambiente, e in particolare alle risorse e alla biosfera, deriva dallo stile di vita delle società ricche e non da quello dei poveri. Anche nelle società povere troviamo alcuni ricchi e finché questi aderiranno alla loro tradizione culturale fanno poco danno, o non lo arrecano affatto. È solo quando vengono "occidentalizzati" che scaturisce il danno all'ambiente. Ciò dimostra che il problema è alquanto complicato. Non è semplicemente questione di ricchi o poveri – i ricchi fanno danni e i poveri no. È una questione di stili di vita. Un americano povero può fare molti più danni ecologici di un asiatico ricco. Continua...

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UNA PANORAMICA SUL MICROCREDITO


Il microcredito è ritenuto nella letteratura strumento di riduzione della disoccupazione, di sostegno al self-employment e di stimolo alla nascita di microimprese (Murdoch 1999, Murdoch e Shreiner 2001, Armendáriz de Aghion e Morduch 2004). Questa posizione è condivisa dall’Unione Europea che ritiene che la micro finanza possa giocare un ruolo centrale nella realizzazione della strategia di Lisbona, che coniuga l’obiettivo dell’occupazione con l’inclusione sociale nel contesto generale della “flexicurity” (European Coomission 2007 p.3).

Il tema del microcredito affonda le sue radici nella letteratura sulle asimmetrie informative (Akerlof 1970) e sui “fallimenti del mercato” estesa al mercato del credito (Stiglitz e Weiss 1981) a partire dalla quale si è sviluppato un ricco filone di ricerca sull’esclusione dalla possibilità di ottenere finanziamenti come ostacolo alla rimozione della povertà[1].

Questo processo di ricerca ha subito una notevole accelerazione con la creazione della Grameen Bank da parte di colui che avrebbe successivamente ricevuto il Premio Nobel per la pace – Muhammed Yunus. Egli ha il grande merito di aver reso noto ad un pubblico molto ampio le sue iniziative di microfinanza proponendole come strumenti per la promozione dello sviluppo nei paesi poveri. L’attività di questa banca - che si fonda su tradizionali meccanismi di mercato, sul controllo diretto del percorso di restituzione del prestito da parte del debitore e su incentivi di tipo altruistico - è tesa alla concessione di piccoli prestiti a persone tradizionalmente ritenute al di fuori del circuito economico. Questa iniziativa è stata ritenuta convincente ed ha avuto una tale risonanza sul piano internazionale da diffondersi in breve tempo in tutto il mondo. In particolare i risultati maggiori si sono ottenuti nel Sud-est asiatico, in America latina ed in Africa.

 

La tabella riporta la dimensione del fenomeno per area geografica. l’Asia rappresenta l’area geografica dove il fenomeno ha avuto maggiore diffusione. Sin dalla fine degli anni ’90, è’ noto che in Bangladesh e in Indonesia il microcredito non solo è stato strumento di sostegno alla povertà, ma ha ricoperto anche un ruolo di ammortizzatore sociale nel periodo della crisi finanziaria (Marconi e Mosley, 2006).

A grande distanza, per quantità di progetti e ammontare di risorse, seguono l’Africa sub-sahariana, l’America Latina e l’area relativa ai paesi arabi (Medio Oriente e Nord Africa – MENA countries) con una posizione del tutto marginale. Di particolare rilievo però sono alcune esperienze dell’America Latina come quella della Bolivia dove prima il Bancosol e poi anche altre istituzioni finanziarie si sono dedicate con grande successo al microcredito (Navajas, Conning e Gonzales-Vega 2003).

I progetti di microcredito nelle economie avanzate rappresentano una quota del tutto irrisoria - mai oltre il 6% e spesso al di sotto dell’1% (vedi ultima riga della tabella 1). Anche nei paesi dell’Europa dell’Est il fenomeno della microfinanza è assai poco diffuso nonostante la riconversione dalle economie socialiste all’economia di mercato abbia creato un consistente numero di individui che vivono al di sotto della soglia di povertà.

La diversa diffusione nel mondo di esperienze di micro finanza porta ad interrogarsi sulle ragioni di una distribuzione così diseguale. Perché la finanza per i poveri possa essere una esperienza di successo devono verificarsi alcune condizioni: 1. la possibilità di destinare il prestito ad attività redditizie (reddito atteso) 2. l’impossibilità di ottenere retribuzioni alternative dignitose (salario di riserva).

Queste due condizioni risultano tanto più vere quanto più l’economia è arretrata e ha bassi livelli di reddito e di capitale pro-capite Solo una volta che esse si siano verificate e siano state poste le premesse per una domanda adeguata, gli economisti possono interrogarsi su come rendere il credito accessibile a tutti e la finanza per i poveri profittevole per il sistema bancario.

Morduch e Schreiner - economisti accesi sostenitori del microcredito e dell’estensione delle esperienze nei paesi in via di sviluppo - sottolineano che perché possa essere realizzabile in una economia avanzata come gli Stati Uniti deve essere accompagnato da efficaci programmi di sostegno e di controllo del percorso di investimento, e da strategie volte al contenimento dei costi delle aziende di credito (Morduch e Schreiner 2001). Potremo dire da un percorso che renda l’attività redditizia all’interno dei tradizionali canoni di mercato. Ma subordinare l’efficienza di mercato ai programmi di intervento sembra rappresentare una contraddizione.

A ben osservare cosa accade nei paesi avanzati, è possibile notare che la pratica di concedere prestiti di importo ridotto esiste da tempo e svolge le funzioni di strumento per colmare le carenze di liquidità e di distribuzione dei consumi nel tempo. Il sistema bancario e finanziario, infatti, concede credito ai privati - individui e imprese - per le necessità personali o per finanziare progetti; sostiene poi i consumi correnti, attraverso la rateizzazione, a chi dimostri di essere capace di produrre reddito e di non avere una storia passata di insolvenza. Diversa è la questione relativa all’altezza dei tassi d’interesse e all’incapacità del costo del finanziamento di incorporare tutte le informazioni del debitore e del creditore (adverse selection e moral hazard), questione che potrebbe essere stemperata attraverso una maggiore regolamentazione e all’utilizzo di strategie alternative di politica monetaria, ma che è necessario porsi in seconda battuta[2].

La domanda di strumenti finanziari da parte delle persone indigenti, potrebbe infatti non esistere in una economia sviluppata: essa infatti è funzione diretta del reddito futuro atteso dell’attività alla quale è destinata e funzione inversa del salario ottenibile in alternativa: in una parola funzione inversa della povertà di un sistema economico nel suo complesso. La finanza per i poveri trova perciò tanto più spazio e sarà tanto più redditizia quanto più un paese è in una condizione di sottosviluppo. In questo caso il microcredito potrebbe rappresentare una “terza via” perché aggiunge un nuovo elemento di propulsione per la crescita, senza esasperare i conflitti tipici dell’economia di mercato né ricorrere a pratiche vicine all’assistenzialismo.

Nel caso delle economie sviluppate, invece, per quanto possano trovarsi in fase di recessione, l’impossibilità di ottenere redditi adeguati rende il microcredito in prevalenza strumento di solidarietà, perché va a colmare il vuoto lasciato dall’assenza di ammortizzatori sociali, dalla riduzione del welfare state e più in generale dalla progressiva riduzione dello Stato nell’attività economica[3].

Il microcredito nelle economie avanzate deve essere perciò ricondotto, se pur con le sue peculiarità, all’ambito della letteratura sul non-profit alla quale bisogna far riferimento per l’approfondimento della conoscenza dei limiti e delle opportunità (Zamagni 1998).


Note

[1] Per una rassegna della letteratura Armendáriz de Aghion e Morduch (2004).

[2] La regolamentazione dei mercati finanziari e le strategie alternative di politica monetaria, sono questioni su cui la letteratura economica ha prodotto cos’ tanti contributi che sarebbe impossibile renderne conto in questa sede.

[3] Diverso è il discorso del microcredito concesso per finanziare l’investimento in capitale umano perché in questo caso si finanzia la crescita della produttività futura di un paese e creando maggiori possibilità di reddito e di nuova occupazione.


Bibliografia

Adams J. E Raymond F. (2008) Did Yunus Deserve the Nobel Peace Prize: Microfinance or Macrofarce? Journal of economic issues, n.2 vol. XLII
Aherlof G. (1970), The Market for „Lemons: Quality Uncertainty and the Market Mechanism, Quarterly Journal of Economics, 1984
Arestis P. e Caner A., (2008) Capital Account Liberalization and Poverty: How Close is the Link? Working Paper No: 08 -11 TOBB University of Economics and Technology Department of Economics
Armendáriz de Aghion B. e Morduch J. (2004), Microfinance. Where do we stand? in G. Goodhart Finanial development and Economic Growth: Explaining the links, Besingstoke, Hampshire, pel Grave Macmillan 2004.
Borgomeo C.&co (2008), III Rapporto sul microcredito in Italia, Rubbettino Editore
Demirguc-Kunt A. e Levine R. (2009) Finance and inequality: theory and evidence NBER WP 15275 August European Commission (2007) A European initiative for the development of micro-credit in support of growth and employment COM(2007) 708 final/2.
Gonzalez A. Rosenberg R. (2006) The State of Microfinance – Outreach, Profitability, and Poverty, Findings from a Database of 2300 Microfinance Institutions, SSRN WP n. 1400253, may.
Goodhart G. (2004), Finanial development and Economic Growth: Explaining the links, Besingstoke, Hampshire, Pelgrave Macmillan
Krugman, P., (1991). Increasing Returns and Economic Geography, Journal of Political Economy, vol. 99(3), pages 483-99, June.
Marconi R. e Mosley P. (2006), Bolivia during the global crisis 1998–2004: towards a‘macroeconomics of microfinance’, Journal of International Development, 18, 237–261
Microcredit summit campaign (2009) , Annual Report 2009 disponibile on line all’indirizo http://www.microcreditsummit.org/uploads/socrs/SOCR2009_English.pdf
Morduch J. e Schreiner M. (2001) Replicating microfinance in the united states: opportunities and challenges, chapter 1 of Replicating Microfinance in the United States, edited by Jim Carr and Zhong Yi Tong, Washington, D.C.: Fannie Mae Foundation, 2001
Navajas S. Conning J. e Gonzalez-Vega C.(2003), Lending technologies, competition and consolidation in the market for microfinance in Bolivia, Journal of International Development, 15, 747–770.
Stiglitz J. (2009) The Current Economic Crisis and Lessons for Economic Theory, Eastern Economic Journal, 35, 281–296.
Stiglitz J.E. - Weiss A. (1981), “Credit Rationing in Markets with Imperfect Information”, American Economic Review, 71, 393-410
World Bank (2001), World Development Report 2000/2001, Attacking Poverty, Oxford University Press.
Yunus M. (2000), Il banchiere dei poveri, Milano, Feltrinelli. Trad.it Bankers to the poor (1997).
Zamagni S (ed.) (1998), Non profit come economia civile, Il Mulino: Bologna.2 Commenti



Fonte:www.economiaepolitica.it



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