"Apri il cuore e accontentati di quello che la vita ti concede. Siamo tutti invitati alla festa della vita,
dimentica i giorni dell'oscurità, qualsiasi cosa possa essere successa non è la fine"
  Augusto Daolio

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UN ALTRO MONDO POSSIBILE
Creando una nuova Consapevolezza 
UN ALTRO MONDO  POSSIBILE
I FIORI DEL DOMANI
Tutti i fiori di tutti i domani
sono i semi di oggi e di ieri.

Proverbio cinese
Ancora un sogno
... Sì, è vero, io stesso sono vittima di sogni svaniti, di speranze rovinate, ma nonostante tutto voglio concludere dicendo che ho ancora dei sogni, perché so che nella vita non bisogna mai cedere.
Se perdete la speranza, perdete anche quella vitalità che rende degna la vita, quel coraggio di essere voi stessi, quella forza che vi fa continuare nonostante tutto.
Ecco perché io ho ancora un sogno...
Continua...
Varsavia
<b>Varsavia </b>







Hanno ucciso il ragazzo di vent'anni
l'hanno ucciso per rabbia o per paura
perché aveva negli occhi quell'aria sincera
perché era una forza futura
sulla piazza ho visto tanti fiori
calpestati e dispersi con furore
da chi usa la legge e si serve del bastone
e sugli altri ha pretese di padrone
Da chi usa la legge e si serve del bastone
e sugli altri ha pretese di padrone
Sull'altare c'è una madonna nera
ma è la mano del minatore bianco
che ha firmato cambiali alla fede di un mondo
sulla pelle di un popolo già stanco
Continua...

POTETE SOLO ESSERE LA RIVOLUZIONE
Ursula le Guin

Non abbiamo nulla se non la nostra libertà.
Non abbiamo nulla da darvi se non la vostra libertà.
Non abbiamo legge se non il singolo principio del mutuo appoggio tra individui.
Non abbiamo governo se non il singolo principio della libera associazione.
Non potete comprare la Rivoluzione.
Non potere fare la Rivoluzione.
Potete solo essere la Rivoluzione.
È nel vostro spirito, o non è in alcun luogo

da " The dispossessed" 1974
LA FINE DELLA VITA
é l'inizio della sopravvivenza

<b>LA FINE DELLA VITA<br> é l'inizio della sopravvivenza </b>





Come potete comperare
o vendere il cielo,
il calore della terra?
l'idea per noi é strana.
Se non possediamo
la freschezza dell'aria,
lo scintillio dell'acqua.
Come possiamo comperarli?
Continua...
I CREATIVI CULTURALI
<b>I CREATIVI CULTURALI</b>





L'altro modo di pensare
e vivere

Ervin Laszlo
Possiamo pensare in modi radicalmente nuovi circa i problemi che affrontiamo?
La storia ci dimostra che le persone possono pensare in modi molto differenti. C'erano, in Oriente e in Occidente, sia nel periodo classico, che nel Medio Evo ed anche nelle società moderne, concezioni molto diverse sulla società, sul mondo, sull'onore e sulla dignità. Ma ancora più straordinario è il fatto che anche persone moderne delle società contemporanee possano pensare in modi diversi. Questo è stato dimostrato da sondaggi di opinioni che hanno indagato su cosa i nostri contemporanei pensano di loro stessi, del mondo e di come vorrebbero vivere ed agire nel mondo.

Una recente indagine della popolazione americana ha dimostrato modi di pensare e di vivere molto differenti.
Questo è molto importante per il nostro comune futuro, poiché è molto più probabile che alcuni modi di pensare preparino il terreno per uno scenario positivo piuttosto che altri.
Questi sono stati i risultati principali:
Continua...
PIU’ LENTI, PIU’ PROFONDI, PIU’ DOLCI
<b>PIU’ LENTI, PIU’ PROFONDI, PIU’ DOLCI </b>





Alexander Langer


La domanda decisiva è: Come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile?
Lentius, Profundis, Suavius”, al posto di ”Citius, Altius, Fortius”

La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta.
La paura della della catastrofe, lo si è visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e dei controllo; e la stessa analisi scientifica
Continua...
CITTADINO DEL MONDO
<b>CITTADINO DEL MONDO</b> Graffito a Monaco






Il tuo Cristo è ebreo
e la tua democrazia è greca.
La tua scrittura è latina
e i tuoi numeri sono arabi.
La tua auto è giapponese
e il tuo caffè è brasiliano.
Il tuo orologio è svizzero
e il tuo walkman è coreano.
La tua pizza è italiana
e la tua camicia è hawaiana.
Le tue vacanze sono turche
tunisine o marocchine.
Cittadino del mondo,
non rimproverare il tuo vicino
di essere…. Straniero.
Il viaggiatore leggero
<b>Il viaggiatore leggero </b> Adriano Sofri
Introduzione al libro di Alex Langer, ed. Sellerio 1996

Alexander Langer è nato a Sterzing (Vipiteno-Bolzano) nel 1946, ed è morto suicida a Firenze, nel luglio del 1995.
Benché abbia dedicato la sua vita intera, fin dall'adolescenza, a un impegno sociale e civile, e abbia attraversato per questa le tappe più significative della militanza politica, da quella di ispirazione cristiana a quella dell'estremismo giovanile, dall'ecologista e pacifista dell'europeismo e alla solidarietà fra il nord, il sud e l'est del mondo, e sempre alle ragioni della convivenza e del rispetto per la natura e la vita, e benché abbia ricoperto cariche elettive e istituzionali, da quelle locali al Parlamento europeo, è molto difficile parlarne come di un uomo politico. O almeno, è del tutto raro che nella politica corrente si trovi anche una piccola parte dell'ispirazione intellettuale e morale che ha guidato la fatica di Langer. La politica professata, anche quando non è semplicemente sciocca e corrotta, non ha il tempo di guardare lontano, e imprigiona i suoi praticanti nella ruotine e nell'autoconservazione. Uno sguardo che
Continua...
MA CHE PIANETA MI HAI FATTO
MA CHE PIANETA MI HAI FATTO
di Beppe Grillo

Ma che pianeta mi hai fatto? Petrolio e carbone sono proibiti. Nei centri urbani non possono più circolare auto private. L'emissione di Co2 è punita con l'assistenza gratuita agli anziani. I tabaccai sono scomparsi, non fuma più nessuno. Non si trovano neppure le macchinette mangiasoldi nei bar. La più grande impresa del Paese produce biciclette. La plastica appartiene al passato, chi la usa di nascosto è denunciato all'Autorità per il Bene Comune e condannato ai lavori socialmente utili. Continua...
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FERMARE LA GUERRA ALL'IRAN
PRIMA CHE SCOPPI






di Scott Ritter (The Nation)

Se questo Congresso tradirà le aspettative, le elezioni del 2008 potrebbero rivelarsi una resa dei conti, non necessariamente favorevole a chi si sente già sicuro di vincere.
Nell’aprile del 2001 sono stato invitato a Washington DC da un gruppo di esponenti repubblicani del Congresso, pubblicamente conosciuto come “Theme Team”. L’argomento era l’Iraq. Sembra che il Theme Team, responsabile di monitorare l’inclinazione ideologica dell'America, fosse alquanto turbato che un ex ufficiale della marina Usa autodefinitosi repubblicano, nonché ex ispettore capo dell'ONU per gli armamenti, stesse insultando la condotta dell’America in Iraq. Se questo genere di cose sarebbero state accettabili durante il mandato di un presidente democratico come Bill Clinton, non lo avrebbero potuto certo essere nel “grandioso progetto” caratteristico della salita di George W. Bush al potere.

La sala conferenze era gremita di oltre 70 rappresentanti e relativo personale. Nel mio discorso di apertura misi in rilievo il fatto che il processo creato contro Saddam Hussein e l’Iraq, incentrato com’era sulla questione delle ADM (armi di distruzione di massa), non fosse dimostrabile. Dissi ai legislatori repubblicani che se avessero continuato a contrastare l’Iraq di Saddam sulla base di una causa inventata, non solo avrebbero coinvolto l’America in una guerra persa in partenza, ma avrebbero finito col distruggere la credibilità del partito repubblicano, e indirizzare il controllo del Congresso, e della Casa Bianca, a favore dei Democratici. Quel giorno furono poste domande e vennero date risposte; alla fine, la maggior parte dei presenti mi ringraziarono per quello che definirono un incontro "illuminante".
Dopodiché, si è continuato a non fare nulla.

Quell’avvertimento è oggi diventato realtà. L’America è impantanata in un conflitto in Iraq senza speranza. Il partito repubblicano rimane preda del proprio sostegno aprioristico a una politica che, piuttosto che discussa, è sempre stata approvata senza sollevare obiezioni. I Democratici ora controllano Senato e Camera dei Rappresentanti; è molto probabile che nel 2008 ottengano la presidenza, poiché è altrettanto improbabile che la debacle irachena trovi una soluzione prima di allora.
Il Presidente Bush passerà alla storia per la sua smania di protagonismo nell’avventura irachena, e anche il partito repubblicano si macchierà di questo lascito. Non importa se le strategie di containment basate sulle sanzioni e il cambiamento di regime – quelle che hanno innescato l’invasione statunitense dell’Iraq nel marzo del 2003 – furono concepite e implementate da Clinton, oppure che gli stessi democratici al Congresso furono complici di quelle politiche (e incapaci di agire opportunamente) attraverso il proprio sostegno "bipartisan" sia dell’"Iraq Liberation Act" del 1998 e la "War Authorization Resolution" del 2002 – che ha compromesso le responsabilità costituzionali del Congresso al momento della dichiarazione di guerra all’Iraq.
 
Per la maggior parte degli americani, la guerra in Iraq è una guerra repubblicana, e la responsabilità è stata attribuita direttamente a chi nel conflitto li ha trascinati, il comandante in capo repubblicano George W. Bush.
Nel suo recente discorso sullo Stato dell’Unione, Bush ha parlato molto dell’Iraq, e ha illustrato i suoi piani su come uscire "vincitori" dal conflitto. I democratici hanno replicato, criticando a ragione il Presidente e giudicando i suoi progetti inverosimili e ingiustificati. Il terreno per un chiarimento vecchio stile tra potere esecutivo e potere legislativo sembra sia stato dunque preparato; i benefici maggiori sembrano pendere dalla parte di coloro che controllano il bilancio e le finanze (il Congresso), in quanto la nuova strategia “ondata” (“surge strategy”) del Presidente dipende non solo dalla disponibilità di soldati da riversare in Iraq ma anche dal denaro necessario a pagarli.

In merito all’Iraq, i democratici al Congresso, da poco al potere, stanno godendo di vantaggi a spese di altri, per così dire. Sebbene la cosa nobile (e giusta) da fare più di ogni altra sarebbe probabilmente combinare la propria legittima critica della strategia del Presidente con una propria visione (e corrispondente piano) su come proseguire in Iraq, i democratici sembrano invece aver intrapreso un sentiero meno rischioso e politicamente più pratico; semplicemente, puntare un dito accusatore contro il Presidente, chiedendo di rimediare al danno che ha provocato. Non hanno proposto alcun piano coerente ed esaustivo per la questione irachena che non sia il criticare il Presidente, e hanno dimostrato di essere solo capaci di lasciar morire i soldati americani con lo scopo di preservare le proprie ambizioni politiche – proprio come fanno i loro colleghi repubblicani.

Nonostante si tratti di un atteggiamento disgustoso, è molto probabile che i democratici la facciano franca. Dopo tutto, non sono stati loro a provocare l’orrore nell’attuale Iraq; si tratta di una debacle repubblicana, che politicamente proseguirà in quanto tale sul fronte interno.
Se oggi venissi invitato a Washington per parlare all’equivalente democratico del Theme Team repubblicano, spenderei poche parole sulla questione irachena. Giusta o sbagliata, la guerra in Iraq è stata un prodotto di politica interna americana, non un’autentica minaccia alla sicurezza nazionale, e come tale la soluzione dipenderà non da ciò che succede all’interno dell’Iraq stesso – sia che vengano incrementate le truppe Usa oppure no – quanto piuttosto da ciò che accade in America. Gli elettori americani avranno bisogno di altri due o più cicli elettorali nazionali per epurare il Congresso di quegli elementi, sia repubblicani che democratici, che hanno causato il pantano iracheno.

Finché i politici americani di entrambi i partiti mostreranno di preoccuparsi strumentalmente di più delle vite degli uomini e delle donne dell’esercito rispetto al proprio operato politico, rimarremo in Iraq. Ci vuole coraggio per opporsi a questa guerra quando la crescente ondata di opinione pubblica continua a coltivare grandi speranze di vittoria. "Fare la cosa giusta" sembra appartenere al passato. "Fare la cosa politicamente vantaggiosa” è la tendenza attuale. Il pubblico americano può aver esternato frustrazione nel corso degli eventi in Iraq, ma questo sentimento è frutto più di una delusione per una sconfitta che di qualsiasi altro sdegno morale per essere coinvolti in una guerra che prima di tutto non doveva essere combattuta. Finché gli americani riusciranno a indignarsi per il semplice fatto che ci troviamo in Iraq come si indignano per i costi crescenti del conflitto – in termini umani, morali ed economici – il Congresso continuerà a vacillare.

Se dovessi rivolgermi all’equivalente democratico di un Theme Team, focalizzerei i miei sforzi nel cercare di convincere i miei interlocutori con una questione che in futuro potrebbe costar loro tutto il proprio prestigio politico. Tale questione è l’Iran. Mentre il Presidente Bush, repubblicano, rimane comandante in capo, un Congresso a maggioranza democratica condivide da questo punto in poi le responsabilità su guerra e pace. Il conflitto in Iraq, sebbene in corso, è un prodotto del passato a maggioranza repubblicana. Un conflitto con l’Iran, tuttavia, sarà considerato il prodotto di un presente e futuro a maggioranza democratica. Se l’Iraq ha distrutto il partito repubblicano, l’Iran potrebbe distruggere i Democratici.

Raccomanderei fortemente al Congresso, sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato, di tenere delle vere e proprie udienze sull’Iran. Non le ipocrite sedute sull’Iraq presiedute da Joe Biden a cui abbiamo assistito nei mesi di luglio e agosto del 2002 – dove assieme ai suoi colleghi Biden approvò senza obiezioni la decisione del Presidente di andare in guerra – ma reali dibattiti che possano far tesoro di tutte le lezioni di insuccessi congressuali quando si è trattato di gestire la situazione irachena. Suggerirei di convocare tutti gli uomini (e donne) del Presidente, e interrogarli su ogni parola pronunciata in merito alla “minaccia” iraniana, soprattutto se legata alle armi nucleari. Chiederei che vengano esposti i fatti che possano avvalorare la retorica.

Convocherei in prima linea l’"American-Israeli Public Affairs Committee" (AIPAC) o una qualsiasi delle altre lobby che sostengono lo scontro con l’Iran, in modo che le frasi dietro le quinte vengano esposte di fronte ai cittadini americani. Riterrei questi “professionisti della distruzione” responsabili delle proprie posizioni – chiedendo di confermarle con fatti incontrovertibili. Verificherei se la comunità di intelligence Usa condivide i controversi avvertimenti suggeriti da questi esponenti delle lobby pro-guerra, e se così non fosse, mi chiederei chi, quindi, sta guidando la politica Usa verso l’offensiva contro l’Iran. Coloro che per legge hanno ricevuto un mandato e sono soggetti alla tutela del Congresso? O altri che operano al di fuori di qualsiasi struttura rappresentativa della volontà del popolo americano?
Se esiste un motivo reale, basato su fatti che riguardano reali questioni di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, per uno scontro con l’Iran che porta al conflitto militare, così sia. L’America non dovrebbe mai evitare di difendere ciò che legittimamente ha bisogno di essere difeso. Il sacrificio previsto delle forze militari Usa, nonostante tragico, sarà accettabile. Ma se la ragione per andare in guerra con l’Iran si rivela essere illusoria quanto quella della guerra con l’Iraq, il Congresso deve agire per prevenire che ciò avvenga. Questa è l’attuale questione di cui i Democratici devono occuparsi, una questione che deciderà del destino di questo partito nel 2008 e oltre.
Se dalle udienze non uscirà alcun buon motivo per dichiarare guerra all’Iran, il Congresso deve agire affinché gli Stati Uniti non si muovano verso il conflitto in questione basandosi sul solo comando esecutivo. Così come stanno le cose, l’amministrazione Bush, così incoraggiata dalla teoria dell’unitary executive1 come mai prima d’ora nella storia della nazione americana, ritiene di avere tutta l’autorità legale necessaria per occupare militarmente l’Iran. Il silenzio del Congresso dopo la decisione del Presidente di inviare un secondo gruppo di portaerei nel Golfo Persico è stato assordante. Anche il fatto che un terzo gruppo delle stesse (la USS CVN-76 Ronald Reagan) a breve probabilmente si unirà agli altri due è passato inosservato alla maggior parte, se non a tutti, i membri del Congresso.
Il Presidente e i suoi consiglieri ritengono di agire in conformità ai poteri assegnati all’esecutivo dalla Costituzione Usa e in conformità all’autorità legislativa, come previsto sia nella risoluzione per l’autorizzazione all’uso della forza militare del 14 settembre 2001 (“Authorization for Use of Military Force Resolution”) – approvata dopo gli attacchi dell’11 settembre, con la quale il Congresso non solo autorizzò il Presidente ad impiegare la forza militare contro gli autori degli attacchi terroristici ma anche contro quelle nazioni ritenute responsabili di offrire asilo a persone od organizzazioni coinvolte negli attentati stessi – sia in quella per l’autorizzazione all’uso della forza militare contro l’Iraq dell’ottobre 2002 (“Authorization of Military Force Against Iraq Resolution”), attraverso la quale il Congresso convenì sul fatto che qualsiasi azione del Presidente deve essere "coerente con il fatto che Stati Uniti e altri paesi continuino ad agire contro i terroristi e le organizzazioni terroristiche internazionali, comprese quelle nazioni, organizzazioni o persone che hanno pianificato, autorizzato, commesso o favorito gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001".

La strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti (“National Security Strategy”) promulgata nel marzo del 2006 classifica l’Iran come minaccia numero uno, non solo per il suo programma di armi nucleari ancora da dimostrare, ma anche per la sua condizione di Stato leader mondiale, come dichiarato dalla Casa Bianca, nel sostegno al terrorismo. L’amministrazione Bush ha ripetutamente associato la Repubblica Islamica agli esecutori degli attacchi terroristici dell’11 settembre e ha accusato il paese di offrire asilo a persone ed organizzazioni negli stessi coinvolte. Se il Congresso non interverrà, l’amministrazione Bush continuerà a credere di avere le carte in regola per muovere un’azione militare contro l’Iran senza l’approvazione delle due Camere.
Non si tratta di una mia frivola dichiarazione. Basta leggere le parole di Bush durante il suo recente discorso allo Stato dell’Unione:
Osama bin Laden ha dichiarato: "La morte è meglio della vita in questa nostra terra popolata da miscredenti". Le parole di questi uomini non sono chiacchiere, e sono solo una fazione del movimento radicale islamico nel suo complesso. Negli ultimi tempi è diventata evidente la pericolosità dell’estremismo sciita – tanto ostile all'America quanto determinato a dominare il Medio Oriente. È noto come il regime iraniano diriga e finanzi molti miliziani sciiti; tra questi, i fondamentalisti di Hezbollah, un gruppo secondo soltanto ad al-Qaeda per il numero di americani uccisi.

Gli estremismi sciita e sunnita sono due facce della stessa medaglia. Qualunque siano i loro slogan, quando ammazzano persone innocenti vengono riuniti dagli stessi perversi scopi: uccidere gli americani, uccidere la democrazia in Medio Oriente e ottenere armi per uccidere su scala persino maggiore. Nel sesto anniversario degli attacchi terroristici contro la nostra nazione, mi piacerebbe poter affermare che i pericoli sono scongiurati. Ma non lo sono.
Pertanto, questo governo ha il diritto di usare tutti gli strumenti legittimi e appropriati in termini di intelligence, diplomazia, applicazione della legge e azione militare per svolgere il proprio dovere, trovare questi nemici e proteggere il popolo americano.
Ciò di cui non ci si rende conto in questo passaggio è riflesso dal fragoroso applauso che, rispetto a questi temi, i membri del Congresso hanno rivolto alle parole del Presidente.

I Democratici al Congresso hanno l’opportunità di stroncare sul nascere questo incombente disastro. Il fatto che la maggior parte di loro abbiano votato a favore delle varie risoluzioni, affidando al Presidente un illimitato potere, è un punto controverso. I Democratici sono abili nel ricordare a chi pone dubbi di aver agito sotto l’influenza del controllo repubblicano e di non aver potuto constatare adeguatamente, attraverso una supervisione efficace, come stavano davvero le cose. Ma ora è diverso. I Democratici al Congresso vantano oggi una maggior capacità di presa sul proprio futuro, e con esso quello dell’America. Se ci sarà una guerra all’Iran, questo Congresso ne sarà ritenuto totalmente responsabile
.
I Democratici, in merito all’Iran, dovrebbero ricorrere ad immediate ingiunzioni legislative per annullare i poteri di guerra conferiti al Presidente nel settembre 2001 e nell’ottobre 2002 ("War Powers Resolution"). Il Congresso dovrebbe approvare una risoluzione congiunta che imponga a Bush di consultarsi col potere legislativo su qualsiasi minaccia alla sicurezza nazionale che l’Iran possa muovere contro gli Stati Uniti, e che preveda che gli Usa non possano promuovere alcuna azione militare senza una completa dichiarazione di guerra costituzionalmente ordinata. Coloro che abbracciano la nozione “unitary executive” si faranno beffe del concetto di dichiarazione di guerra congressuale. Mentre la dichiarazione formale di guerra è enumerata nella Costituzione, la realtà (come riflessa dall’attuale "War Powers Act"2) è che i poteri atti a condurre l’America in uno stato di guerra sono tra loro interconnessi, con il Congresso che supervisiona gli stanziamenti di bilancio e il Presidente che esplica il suo comando.

Non è un male in sé. Ma una cosa è più che mai chiara: solo il Congresso detiene il controllo delle finanze (“power of the purse”). Sebbene un Presidente possa impegnare l’esercito americano a combattere senza il consenso del Congresso (per un periodo che non superi i 180 giorni), non può spendere denaro che non sia stato stanziato. Quando si tratta di difesa nazionale, al Presidente può essere affidato potere inerente, nell’approvazione di qualsiasi budget. Tuttavia, il Congresso può, se lo vuole, stabilire restrizioni specifiche sulla facoltà del Presidente di utilizzare i fondi pubblici. Un esempio fu quello del 1982, quando il Congresso approvò l’"Emendamento Boland"3 per limitare il finanziamento di azioni sostenute dal potere esecutivo, più o meno note, in Nicaragua. Quando si tratta di valutare la politica dell’America rispetto all’Iran, il Congresso farebbe bene a promuovere una risoluzione che possa fungere appunto da nuovo “Emendamento Boland”. E che possa suonare così:

Un emendamento per proibire operazioni militari offensive, segrete o pubbliche – a cominciare da quella contro l’Iran – senza il consenso espresso del Congresso. L’emendamento riserverebbe la facoltà del Presidente, commisurata al "War Powers Act", di condurre azioni appropriate per la difesa degli Stati Uniti nel caso di attacchi diretti. Ciononostante, non sarebbe possibile assegnare un qualsiasi finanziamento attualmente stanziato dal Congresso a supporto di operazioni in corso per azioni militari preventive, pubbliche o segrete, senza previo consenso espresso del Congresso.

In qualunque modo venisse formulato, l’impatto di un tale emendamento sarebbe immediato, e potrebbe prevenire qualsiasi iniziativa militare pianificata dall’amministrazione Bush contro l’Iran – fino a quando il Congresso possa avere piena consapevolezza di ogni eventuale minaccia alla sicurezza Usa.
Bush sembra ostinato a voler agire contro l’Iran. Il passare del tempo è nemico degli obiettivi e degli scopi della sua amministrazione. Nei tempi necessari, e prevenendo la possibilità di un’azione preventiva immediata attraverso restrizioni finanziarie, il Congresso potrebbe senz’altro risparmiare all’America, e al mondo intero, un’altra tragedia simile all’Iraq. Se questo Congresso a maggioranza democratica tradisse le aspettative, e l’America si ritrovasse coinvolta in un’altra disavventura mediorientale, le elezioni del 2008 potrebbero rivelarsi una resa dei conti, non necessariamente favorevole a chi si sente già sicuro di vincere.

1. Filosofia di governo secondo cui – soprattutto in caso di guerra o di minaccia imminente – il presidente degli Stati Uniti (potere esecutivo) può scavalcare il Congresso (potere legislativo) e lo stesso potere giudiziario per imporre una guida unica e unitaria del paese, imponendo all’intero settore pubblico di conformarsi solo ed esclusivamente alle direttive del presidente (NdT).

2. Il "War Powers Act" del 1973, conosciuto anche come "War Powers Resolution" (Risoluzione sui poteri di guerra) limita il potere del Presidente degli Stati Uniti a muovere guerra senza l’approvazione del Congresso (NdT). 3. Verso la fine del 1982, Edward P. Boland, rappresentante democratico, introdusse il primo di una serie di "Emendamenti Boland" che limitavano la capacità dell'amministrazione Reagan di sostenere i Contras, in quel periodo al lavoro per rovesciare il governo nicaraguense sandinista. Le restrizioni di Boland portarono gli ufficiali della Casa Bianca ad orchestrare attività illegali per finanziare le attività dei Contras, compresa la vendita di armi americane, attraverso Israele, all'Iran. Alla metà degli anni ottanta ne uscì lo scandalo omonimo (NdT).

L'ultimo libro di Scott Ritter, "Target Iran: The Truth About the White House's Plans for Regime Change", è edito da Nation Books. Ritter è stato ispettore Onu per gli armamenti in Iraq tra il 1991 e il 1998. Prima di lavorare per le Nazioni Unite è stato ufficiale dei marines e consigliere del generale Schwarzkopf nella prima guerra del Golfo. Attualmente è opinionista di FoxNews. Ritter è autore di Iraq Confidential – Intrighi e raggiri: la testimonianza del più famoso ispettore ONU (prefazione di Seymour Hersh, prefazione all'edizione italiana di Gino Strada).

fonte: www.nuovimondimedia.com


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