|
|
I FIORI DEL DOMANI
Tutti i fiori di tutti i domani sono i semi di oggi e di ieri.
Proverbio cinese
|
|
|
|
POTETE SOLO ESSERE LA RIVOLUZIONE
Ursula le Guin
Non abbiamo nulla se non la nostra libertà. Non abbiamo nulla da darvi se non la vostra libertà. Non abbiamo legge se non il singolo principio del mutuo appoggio tra individui. Non abbiamo governo se non il singolo principio della libera associazione. Non potete comprare la Rivoluzione. Non potere fare la Rivoluzione. Potete solo essere la Rivoluzione. È nel vostro spirito, o non è in alcun luogo
da " The dispossessed" 1974
|
|
|
|
PIU’ LENTI, PIU’ PROFONDI, PIU’ DOLCI
Alexander Langer
La domanda decisiva è: Come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile? “Lentius, Profundis, Suavius”, al posto di ”Citius, Altius, Fortius”
La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta. La paura della della catastrofe, lo si è visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e dei controllo; e la stessa analisi scientifica Continua... |
|
CITTADINO DEL MONDO
Graffito a Monaco
Il tuo Cristo è ebreo e la tua democrazia è greca. La tua scrittura è latina e i tuoi numeri sono arabi. La tua auto è giapponese e il tuo caffè è brasiliano. Il tuo orologio è svizzero e il tuo walkman è coreano. La tua pizza è italiana e la tua camicia è hawaiana. Le tue vacanze sono turche tunisine o marocchine. Cittadino del mondo, non rimproverare il tuo vicino di essere…. Straniero.
|
|
Il viaggiatore leggero
Adriano Sofri Introduzione al libro di Alex Langer, ed. Sellerio 1996
Alexander Langer è nato a Sterzing (Vipiteno-Bolzano) nel 1946, ed è morto suicida a Firenze, nel luglio del 1995. Benché abbia dedicato la sua vita intera, fin dall'adolescenza, a un impegno sociale e civile, e abbia attraversato per questa le tappe più significative della militanza politica, da quella di ispirazione cristiana a quella dell'estremismo giovanile, dall'ecologista e pacifista dell'europeismo e alla solidarietà fra il nord, il sud e l'est del mondo, e sempre alle ragioni della convivenza e del rispetto per la natura e la vita, e benché abbia ricoperto cariche elettive e istituzionali, da quelle locali al Parlamento europeo, è molto difficile parlarne come di un uomo politico. O almeno, è del tutto raro che nella politica corrente si trovi anche una piccola parte dell'ispirazione intellettuale e morale che ha guidato la fatica di Langer. La politica professata, anche quando non è semplicemente sciocca e corrotta, non ha il tempo di guardare lontano, e imprigiona i suoi praticanti nella ruotine e nell'autoconservazione. Uno sguardo che Continua... |
|
|
|
|
|
|
AUTO-STOP
di Ivan Illich
Questo avvertimento sotto forma di racconto morale si presenta come un'esperienza mentale: immaginate una legge che proibisca a chiunque di guidare se non diventa autista di taxi. 0Gni veicolo è allora equipaggiato di un lettore di carte di credito con una fessura per ogni sedia del veicolo. Il guidatore si deve fermare e far salire i passeggeri che aspettano alle postazioni dei taxi finché resta una sedia libera. Il ragionamento è presentato in modo da mettere tra parentesi epistemiche la proposta sviluppata nel 1973 in Energia ed Equità. Per vent'anni, ho sostenuto che l'equità esige che fissino dei limiti alla massima velocità di tutti i mezzi di trasporto per evitare il monopolio assoluto delle ruote sulla locomozione. La sfida in gioco, qui, è molto meno fondamentale: l'integrazione effettiva del materiale esistente con i piedi che camminano o pedalano.
Questo saggio è stato largamente tradotto e riedito. Per quanto ne so , da nessuna parte ha portato a una concreta applicazione. A più riprese, pertanto, ha raggiunto il suo obiettivo proncipale: portare i lettori a prendere coscienza della loro immaginazione mutilata, della loro prigionia mentale.
La storia che vorremmo raccontare riflette un'assurdità del nostro modo di vivere. Riguarda la circolazione. Noi la raccontiamo perché crediamo che, domani mattina, potremo tutti vivere in una società più pacifica, forse perfino organizzata attorno alla bicicletta, se solamente la gente credesse che la modestia può orientare le scelte politiche.
Il ragionamento dimostra che il trasporto può rafforzare la libertà di spostarsi solo nella misura in cui vi può rinunciare. Ai nostri giorni, questa rinuncia non è affatto vivibile in una società in cui l'ingorgo è diventato il paradigma di tutti i tipi di consumo. I trasporti, pubblici o privati, hanno tutti conseguenza inevitabili. Al di là di una certa soglia, diminuiscono la mobilità personale in proporzione dei chilometri-passeggeri generati. I trasporti testimoniano dunque l'esperienza fondamentale dell'epoca. Più il sistema dei trasporti è raffinato e integrato, più viviamo in una società di gente che fa lo jogging al mattino e è immobilizzata tutto il resto della giornata.
A partire da questa intuizione, vi invitiamo a un'esperienza mentale. Limitando l'autoesproprio prodotto dai trasporti, una società può aumentare la libertà di spostarsi a piedi o in bicicletta. Non molto tempo fa, tutti sapevano che il mondo era accessibile. Ancora molto recentemente il “terzo mondo” era a portata di piedi per la maggior parte dei suoi abitanti. La gente poteva affidarsi ai propri piedi nel fare esperienza del suo mondo. Adesso sono diversi decenni che le guardie di frontiera manifestano la loro impotenza davanti ai trasgressori auto-mobili che si spostano a piedi.
Negli anni 1950, Città del Messico era già una metropoli di quasi tre milioni di abitanti, con una quarantina di piazze che ospitavano mercati popolari. La maggior parte di questi mercati si trovavano nel luogo stesso in cui Cortes li aveva trovati quattrocentocinquanta anni prima. Ogni settimana, meno di una persona su cento si avventurava al di là della frontiera del suo barrio. Da allora la popolazione della città si è moltiplicata per sette. I piani di circolazione hanno sventrato i quartieri; gli assi attrezzati a più corsie hanno separato gli abitanti in ghetti artificiali; gran parte della popolazione è vittima intrappolata dei trasporti quotidiani a lunga distanza: esiste una metropolitana efficiente. Questi trasporti rinchiudono gli studenti come i pensionati, gli impiegati così come le donne che hanno bisogno di sottoporsi a esami prenatali. Cinque milioni di persone, secondo le cifre ufficiali, devono andare ogni giorno in luoghi inaccessibili.
Storiacamente, la marcia non è mai stata un atto di puro svago. Poteva essere pericolosa, faticosa e deludente, ora avventurosa, piacevole o esaltante. Ma non è questo il problema. Quello che conta, è il fatto che usare i propri piedi non costava niente. Naturalmente, tutti dovevano trovare qualche spicciolo per pagare il ferry-boat. Solo il ricco poteva pagarsi un mulo o una macchina. La virtù sociale rafforzava la mobilità generalizzata: la tolleranza verso lo straniero, l'ospitalità, la carità, la convivialità sui luoghi di riposo. Per la maggioranza questi erano più importanti degli alberghi. La gente era cosciente di trovarsi in luoghi ai quali aveva accesso con i propri piedi.
Piaceva porsi la domanda: come comprendere che ciò che dava la libertà prendeva così poco la natura di una merce? Ed ecco che gli ingegneri moderni hanno la pretesa di condannare i piedi in quanto mezzi di locomozione sottosviluppati! In verità, l'equipaggiamento dei nostri antenati era così poco costoso: bastone e sandali con mantello e una bisaccia, poi la bicicletta. Le distanzem quando contavano, si misuravano in giorni; erano percepiti come tempo di vita, non di orologio. Non c'era nulla che somigliasse alla nozione di passeggero chilometro fino alla comparsa della diligenza- corriera, alla fine del XVIII secolo, poi le ferrovie all'inizio del XIX secolo.
Le ferrovie hanno creato il minuto e la tariffa che migliorava il costo orario del trasporto di un passeggero al chilometro. Questi concetti, elementari, acquistarono tutta la loro validità con la circolazione motorizzata. Unicamente sulla base di tali postulati la locomozione degli esseri umani può trasformasi in merce. E questa merce -il traffico- è stata prodotta per dei lavoratori salariati: ferrovieri o autisti, proto-passeggeri che costituiscono i consumatori. Tutto è cambiato con il modello T di Henry Ford. Questa innovazione annunciò che la mobilità sarebbe diventata un prodotto industriale di cui si poteva godere solo tramite del lavoro non pagato. Ogni impiegato ebbe oramai il “privilegio” di comprare una macchina. Grazie a questo investimento, doveva fornire la sua forza lavoro alla porta della fabbrica. Per molti la macchina divenne una condizione per vendersi sul mercato del lavoro, fare la spesa per la famiglia, educare i bambini e far visita ai genitori e anziani.
Sono ormai venticinque anni che riflettiamo sui trasporti perché ci vediamo un tipo ideale di merce postindustriale: una sintesi di pagamenti a rate, di costi di sfruttamento, di premi assicurativi e di lavoro non remunerato per rendere l'investimento realmente utile. Il lavoro fantasma – il miglioramento non remunerato, consumatore di tempo, disciplinato e rischioso per rendere una merce utile – è diventato un fondamento della vita moderna. È molto sorprendente constatare quanto questo auto-asservimento sia rimasto un angolo cieco nelle prime due generazioni di automobilisti. Noi vediamo chiaramente oggi il fascino possente che le ha sedotte. Un misto di moda, vanità, feticismo della merce e cupidigia aguzzata da una pubblicità abile e insinuante ha creato la chimera di un'automobile liberatrice – fatta di orari, code in attesa, orizzonti limitati e itinerari tutti tracciati. Per la maggior parte della gente nata prima del 1970, l'automobile resta il simbolo allettante della libertà personale attraverso un prodotto industriale. Una generazione dopo, però, è un ossimoro trasparente. Raramente si trova una distanza così grande fra due generazioni.
Veniamo alla nostra storia. Al lettore decidere se è un progetto serio o un racconto morale. La storia comincia con un decreto della Corte Suprema secondo il quale le strade, finanziate con le tasse, saranno riservate ai veicoli che svolgono un servizio pubblico. Concretamente, ciò significa che ogni veicolo con un posto libero deve fermarsi su richiesta. Per attuare questa decisione, il Congresso adotta una legge una legge che limita le patenti ai guidatori che producono dei chilometri-passeggeri e guadagnano dei redditi in questo modo. Nessun bisogno di buoni samaritani. Da ora in avanti, chi non guida si farà guidare, e tutti coloro che guidano possono funzionare da autisti.
L'impensabile è fattibile? Un semplice decreto di giustizia può capovolgere la nostra maniera di guardare ai beni economici? Senza innovazione tecnica, una società può trasformare il suo ambiente sociale e materiale? Un piccolo cambiamento che cambia la natura dei trasporti può sfociare in una rivalutazione morale importante? Come immaginare i dettagli? Ogni cittadino riceve una tessera. Se un eventuale passeggero fa segno a una macchina con un sedile libero, il guidatore deve fermarsi. La macchina contiene un computer con tante fessure quanti sono i sedili. Per la messa a punto della scatola nera, lo strumento per fare fattura agli utenti e pagare i guidatori, Toshiba e il fisco sono manifestamente competenti. Oppure lasciamo che la società Sprint (carta telefonica prepagata) insegni la gestione dei circuiti ai servizi stradali (ne ha l'esperienza da quando è stata presa la decisione della Corte Suprema sul monopolio di cui beneficiava un tempo la BelI Telephone).
Le spese potrebbero figurare sulla cartella delle tasse (permettendo di rendere poco caro lo spostamento, cioè gratuito per i redditi bassi), a meno che una fattura non sia inviata a ogni consumatore' come succede con la bolletta del telefono. Prevediamo delle stazioni dove la gente segnali la sua destinazione e dove ogni macchina che passa e che ha un posro libero deve fermarsi se le si fa segno. Rendiamole comode nei luoghi isolati, mettiamole all'ombra quando il sole picchia. Che la gente organizzi da sola le code in attesa come hanno imparato a farlo tranquillamente all'Avana o in Messico. Possono segnalare ogni veicolo che rifiuta di fermarsi. Se ci sono dei mascalzoni nel quartiere, c'è forse un luogo più sicuro di un veicolo i cui passeggeri sono muniti di una carta che registra i loro spostamenti?
Per coloro che vedono qui un progetto, restano parecchie questioni pratiche da esaminare. Per esempio, in quale misura l'eliminazione degli ingorghi accelererebbe la circolazione? Quanto spazio si troverebbe libero per i pedoni e i ciclisti? Quanti rinuncerebbero ai trasporti e quando? Chi potrebbe finalmente offrirsi? Quanti posti di lavoro di autisti sarebbero creati paragonati ai posti di lavoro perduti dall'industria automobilistica? Quali conseguenze sociali avrebbe l'abbandono delle flotte delle imprese e dei poteri pubblici? Si potrebbe limitare il privilegio del poliziotto di passare davanti a tutti quando è in uniforme? Quale sarebbe l'impatto ecologico? Una simile decisione accelererebbe la transizione verso veicoli meno inquinanti? Quali economie si farebbero in termini di investimenti pubblici? Quanto tempo occorrerebbe perché questo risparmio crei i fondi necessari a coprire la «perdita» sociale legata alla diminuzione del numero delle macchine fabbricate, comprate e guidate? Come tener testa ai sindacati dei tassisti che cercherebbero di contestare la decisione della Corte Suprema? Come raccontare una storia migliore per aprire l' «immaginazione sociologica»?
Se solo è un racconto morale, perché c'è gente che vede rosso quando lo raccontiamo? Ce ne vogliono forse per il fatto che non proponiamo una nuova tecnologia? Di non difendere un'ideologia? Apparentemente una semplice proposta che invita alla riflessione approfondita.
Tratto da La Perdita dei Sensi, Ivan Illich, Libreria Editrice Fiorentina
|
|
|
|
|
|