IL FURTO DEL LINGUAGGIO
di Arundhati Roy
Come autrice e scrittrice di finzione, spesso mi hanno chiesto se l'intento di essere sempre precisa, di cercare di fare in modo che tutto corrisponda esattamente ai fatti, riduce in qualche modo la misura epica di quello che sta succedendo nella realtà. Se occulta in ultima istanza una verità maggiore? Mi preoccupa il fatto che mi si faccia pressione perché offra una precisione prosaica, obiettiva, quando forse ciò di cui abbiamo bisogno è un grido bestiale, o il potere trasformatore e la vera precisione della poesia.
Sembra che qualcosa della natura subdola, brahmanica, intricata, burocratica, dipendente dagli archivi […] e dell'asservimento dell'India mi abbiano convertito in una burocrate. La mia unica scusa è affermare che vengono richiesti strumenti insoliti per scoprire il labirinto del sotterfugio e l'ipocrisia che maschera l'insensibilità e la fredda violenza calcolata della nuova superpotenza favorita del mondo. La repressione “attraverso canali adeguati” a volte genera resistenza “attraverso canali adeguati”. Quando si tratta di resistenza non basta, lo so. Però per adesso è tutto quello che ho. Forse un giorno si trasformerà in fondamento per la poesia o per il grido bestiale.
Nell'attualità, parole come “progresso” e “sviluppo” son diventate intercambiabili con “riforme economiche” “liberalizzazione” e “privatizzazione”. Libertà è arrivata a significare tutt'altro. Ha meno a che vedere con lo spirito umano che con diverse marche di deodorante. Mercato non significa più un luogo in cui si acquistano provviste. Il “mercato” è uno spazio de territorializzato in cui le multinazionali anonime fanno affari, incluso l'acquisto e la vendita di “futuro”. Giustizia è giunta a significare diritti umani (e di quelli, come dicono, “ne basteranno pochi”).
Questo furto del linguaggio, questa tecnica di usurpare parole e puntarle come armi, di utilizzarle per mascherare l'intenzione e per fare in modo che significhino esattamente il contrario di quello che hanno significato tradizionalmente, è stata una delle più brillanti vittorie strategiche degli zar della nuova amministrazione. Gli ha permesso di rendere marginali i propri detrattori, privandoli di un linguaggio che potesse esprimere la critica e scartandoli per essere “contrari al progresso”, “contrari allo sviluppo”, “contrari a riforme” e certamente “anti-nazionali”.
Se si parla di salvare un fiume o di proteggere un bosco dicono: “Non credi nel progresso?”. Alla gente la cui terra è stata sommersa da dighe, e le cui case sono state spazzate via, viene detto: “hai un modello alternativo di sviluppo?”. A coloro che credono che un governo abbia il dovere di garantire alla popolazione l'educazione di base, la tutela sanitaria e la sicurezza sociale, dicono: “Vai contro il mercato”. E chi, eccetto un cretino, si opporrebbe al mercato.
La rivendicazione di queste parole rubate richiede spiegazioni che son troppo tediose per un mondo con capacità di attenzione limitata, e troppo costose in una era in cui la Libertà di Espressione si è fatta inaccessibile per i poveri. Questa rapina linguistica può diventare la chiave della nostra rovina.
Due decadi di “progresso” in India hanno creato una vasta classe media intontita dalla ricchezza e dal repentino rispetto che l'accompagna – e una classe emarginata molto più ampia e disperata-. Decine di milioni di persone sono state espropriate e spostate dalle proprie terre per inondazioni, siccità e desertificazione causate dall'ingegneria indiscriminata sull'ambiente e massicci progetti di infrastrutture, dighe, miniere e Zone Economiche Speciali. Tutte realizzate in nome dei poveri, ma che hanno in realtà il proposito di servire la crescente domanda della nuova aristocrazia.
Le antiche istituzioni della democrazia indiana – l'apparato giudiziario, la polizia, la stampa libera e chiaramente le elezioni- lungi dal funzionare con un sistema di limitazioni e controlli, spesso fanno il contrario. Si coprono reciprocamente per promuovere gli interessi più grandi di Unione e Progresso. Facendo così, generano tanta confusione, tanto rumore, che la voce che si alza come avvertimento può solo far parte del rumore. E questo aiuta solo a esaltare l'immagine della democrazia tollerante, turpe, pittoresca, caotica. Il caos è reale. Però lo è anche il consenso.
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