Le cose sono unite da legami invisibili, non si può cogliere un fiore senza turbare una stella - Albert Einstein

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UN ALTRO MONDO POSSIBILE
Creando una nuova Consapevolezza 
UN ALTRO MONDO  POSSIBILE
I FIORI DEL DOMANI
Tutti i fiori di tutti i domani
sono i semi di oggi e di ieri.

Proverbio cinese
Ancora un sogno
... Sì, è vero, io stesso sono vittima di sogni svaniti, di speranze rovinate, ma nonostante tutto voglio concludere dicendo che ho ancora dei sogni, perché so che nella vita non bisogna mai cedere.
Se perdete la speranza, perdete anche quella vitalità che rende degna la vita, quel coraggio di essere voi stessi, quella forza che vi fa continuare nonostante tutto.
Ecco perché io ho ancora un sogno...
Continua...
Varsavia
<b>Varsavia </b>







Hanno ucciso il ragazzo di vent'anni
l'hanno ucciso per rabbia o per paura
perché aveva negli occhi quell'aria sincera
perché era una forza futura
sulla piazza ho visto tanti fiori
calpestati e dispersi con furore
da chi usa la legge e si serve del bastone
e sugli altri ha pretese di padrone
Da chi usa la legge e si serve del bastone
e sugli altri ha pretese di padrone
Sull'altare c'è una madonna nera
ma è la mano del minatore bianco
che ha firmato cambiali alla fede di un mondo
sulla pelle di un popolo già stanco
Continua...

POTETE SOLO ESSERE LA RIVOLUZIONE
Ursula le Guin

Non abbiamo nulla se non la nostra libertà.
Non abbiamo nulla da darvi se non la vostra libertà.
Non abbiamo legge se non il singolo principio del mutuo appoggio tra individui.
Non abbiamo governo se non il singolo principio della libera associazione.
Non potete comprare la Rivoluzione.
Non potere fare la Rivoluzione.
Potete solo essere la Rivoluzione.
È nel vostro spirito, o non è in alcun luogo

da " The dispossessed" 1974
LA FINE DELLA VITA
é l'inizio della sopravvivenza

<b>LA FINE DELLA VITA<br> é l'inizio della sopravvivenza </b>





Come potete comperare
o vendere il cielo,
il calore della terra?
l'idea per noi é strana.
Se non possediamo
la freschezza dell'aria,
lo scintillio dell'acqua.
Come possiamo comperarli?
Continua...
I CREATIVI CULTURALI
<b>I CREATIVI CULTURALI</b>





L'altro modo di pensare
e vivere

Ervin Laszlo
Possiamo pensare in modi radicalmente nuovi circa i problemi che affrontiamo?
La storia ci dimostra che le persone possono pensare in modi molto differenti. C'erano, in Oriente e in Occidente, sia nel periodo classico, che nel Medio Evo ed anche nelle società moderne, concezioni molto diverse sulla società, sul mondo, sull'onore e sulla dignità. Ma ancora più straordinario è il fatto che anche persone moderne delle società contemporanee possano pensare in modi diversi. Questo è stato dimostrato da sondaggi di opinioni che hanno indagato su cosa i nostri contemporanei pensano di loro stessi, del mondo e di come vorrebbero vivere ed agire nel mondo.

Una recente indagine della popolazione americana ha dimostrato modi di pensare e di vivere molto differenti.
Questo è molto importante per il nostro comune futuro, poiché è molto più probabile che alcuni modi di pensare preparino il terreno per uno scenario positivo piuttosto che altri.
Questi sono stati i risultati principali:
Continua...
PIU’ LENTI, PIU’ PROFONDI, PIU’ DOLCI
<b>PIU’ LENTI, PIU’ PROFONDI, PIU’ DOLCI </b>





Alexander Langer


La domanda decisiva è: Come può risultare desiderabile una civiltà ecologicamente sostenibile?
Lentius, Profundis, Suavius”, al posto di ”Citius, Altius, Fortius”

La domanda decisiva quindi appare non tanto quella su cosa si deve fare o non fare, ma come suscitare motivazioni ed impulsi che rendano possibile la svolta verso una correzione di rotta.
La paura della della catastrofe, lo si è visto, non ha sinora generato questi impulsi in maniera sufficiente ed efficace, altrettanto si può dire delle leggi e dei controllo; e la stessa analisi scientifica
Continua...
CITTADINO DEL MONDO
<b>CITTADINO DEL MONDO</b> Graffito a Monaco






Il tuo Cristo è ebreo
e la tua democrazia è greca.
La tua scrittura è latina
e i tuoi numeri sono arabi.
La tua auto è giapponese
e il tuo caffè è brasiliano.
Il tuo orologio è svizzero
e il tuo walkman è coreano.
La tua pizza è italiana
e la tua camicia è hawaiana.
Le tue vacanze sono turche
tunisine o marocchine.
Cittadino del mondo,
non rimproverare il tuo vicino
di essere…. Straniero.
Il viaggiatore leggero
<b>Il viaggiatore leggero </b> Adriano Sofri
Introduzione al libro di Alex Langer, ed. Sellerio 1996

Alexander Langer è nato a Sterzing (Vipiteno-Bolzano) nel 1946, ed è morto suicida a Firenze, nel luglio del 1995.
Benché abbia dedicato la sua vita intera, fin dall'adolescenza, a un impegno sociale e civile, e abbia attraversato per questa le tappe più significative della militanza politica, da quella di ispirazione cristiana a quella dell'estremismo giovanile, dall'ecologista e pacifista dell'europeismo e alla solidarietà fra il nord, il sud e l'est del mondo, e sempre alle ragioni della convivenza e del rispetto per la natura e la vita, e benché abbia ricoperto cariche elettive e istituzionali, da quelle locali al Parlamento europeo, è molto difficile parlarne come di un uomo politico. O almeno, è del tutto raro che nella politica corrente si trovi anche una piccola parte dell'ispirazione intellettuale e morale che ha guidato la fatica di Langer. La politica professata, anche quando non è semplicemente sciocca e corrotta, non ha il tempo di guardare lontano, e imprigiona i suoi praticanti nella ruotine e nell'autoconservazione. Uno sguardo che
Continua...
MA CHE PIANETA MI HAI FATTO
MA CHE PIANETA MI HAI FATTO
di Beppe Grillo

Ma che pianeta mi hai fatto? Petrolio e carbone sono proibiti. Nei centri urbani non possono più circolare auto private. L'emissione di Co2 è punita con l'assistenza gratuita agli anziani. I tabaccai sono scomparsi, non fuma più nessuno. Non si trovano neppure le macchinette mangiasoldi nei bar. La più grande impresa del Paese produce biciclette. La plastica appartiene al passato, chi la usa di nascosto è denunciato all'Autorità per il Bene Comune e condannato ai lavori socialmente utili. Continua...
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LA GUERRA: UNA MALATTIA DA CURARE


Enrico Cheli

In questi tempi di guerra e di grande conflittualità etnica e sociale ci si interroga sempre più spesso sul contributo che la cultura e la scienza possono dare alla pace e quasi ogni giorno si leggono interessanti analisi sui giornali e si ascoltano stimolanti dibattiti in radio e televisione. Come sociologo e docente universitario che da anni si interessa al tema delle relazioni sociali e della loro degenerazione in conflitti vorrei contribuire al dibattito in corso con alcune riflessioni che di seguito espongo.

L'importanza della comunicazione
Per prima cosa, ritengo che ogni guerra vada vista come la punta di un iceberg che ha spesso dietro di sé una lunga storia di carente o scadente comunicazione, di incomprensioni, di sordità e chiusura di una o di entrambe le parti. In situazioni di fondo contrassegnate da diffidenza e ostilità basta una scintilla perché scoppi una guerra: è vero che spesso gruppi economici e politici senza scrupoli fomentano e manovrano certe dinamiche per i loro fini di potere e denaro, ma nessuna scintilla potrebbe innescare un incendio se vi fosse tra le popolazioni un clima amichevole e rispettoso delle differenze. Ci si scontra perché non si comunica, perché non ci si conosce, tant'è che da sempre l'alternativa alle guerre è la diplomazia, che è appunto una forma di comunicazione tra stati.

I processi di globalizzazione comportano indubbiamente dei pericoli, ma favoriscono anche il nascere di una nuova e più ampia visione della realtà che può portarci a conoscere meglio gli altri abitanti e culture del pianeta e a considerare le differenze non più motivo di conflitto, ma anzi una grande ricchezza dell'umanità che attende solo di essere capita e utilizzata. Grazie alla comunicazione si va sempre più verso una coscienza planetaria - cioè il rendersi conto che siamo tutti sulla stessa "barca" - e ciò fa sorgere una concreta possibilità di coesistenza pacifica e collaborativa di sistemi sociali, culturali e religiosi diversi.

L'interculturalità rappresenta, sul piano macrosociale, quello che la comunicazione è sul piano microsociale, ed entrambi possono portare a superare gli antagonismi basati sulla paura del "diverso da noi", facendo emergere punti di contatto e somiglianze tra le diverse persone, culture e religioni: finché si rimane distanti, vediamo solo le differenze, ma se ci si avvicina si scoprono somiglianze tra noi e gli altri e dallo scontro si può passare al confronto e alla condivisione

Comunicare è l'opposto di combattere, come rivela l'etimologia stessa della parola: essa deriva dal latino communis, che rinvia a cum (con, insieme) e a munia (doveri, vincoli), ma anche moenia (le mura) e munus (il dono). Communis significa quindi: essere legati insieme, collegati dall'avere comuni doveri (munia), dal condividere comuni sorti (le mura che proteggono e accumunano) o dall'essersi scambiati un dono. Tramite la comunicazione ci si avvicina agli altri mentre combattendo si agisce per allontanare (fino anche a eliminarlo) chi suscita in noi paura o disprezzo.

Il nesso tra le guerre e i conflitti interpersonali
Il secondo punto che mi propongo di evidenziare è la stretta connessione tra le guerre e i conflitti interpersonali. Anche se la guerra è uno scontro tra popoli e stati, essa trae alimento dalle mille e mille piccole guerre, manifeste o sotterranee, che le persone combattono quasi ogni giorno: nel traffico, sul posto di lavoro, in famiglia, perfino dentro se stessi. Varie sono le motivazioni di questa diffusa aggressività: dalla competizione per affermarsi al desiderio di potere, dal bisogno di difendersi allo stress incipiente. I conflitti prima o poi possono spuntare in ogni relazione, sia essa tra persone, aziende o stati, ma non è detto che lo scontro sia l'unica via d'uscita.

Il problema è che nessuno ci ha mai insegnato ad impostare in modi sani e costruttivi i nostri rapporti con gli altri e siamo costretti ad arrangiarci da autodidatti. Impariamo a parlare e a scrivere ma non ad ascoltare e comprendere realmente l'altro in quanto diverso da noi. Ci viene insegnata una storia fatta di guerre ma non ci viene detto niente su come poterle evitare. Riceviamo una formazione professionale ma nessuna formazione relazionale per prepararci ai rapporti che avremo con i colleghi e con i superiori, rapporti che pure incideranno in modo determinante sulla nostra soddisfazione o insoddisfazione, sulla gratificazione o frustrazione che ricaveremo dal lavoro e quindi anche sul nostro rendimento. Oggi a scuola si affronta perfino l'educazione sessuale, ma niente viene fatto per una educazione relazionale (e la maggior parte dei problemi di coppia e delle separazioni dipende proprio da problemi relazionali, non sessuali). Insomma, possiamo anche definirci una civiltà tecnologicamente avanzata ma siamo tutt'altro che avanzati sul piano dei rapporti con gli altri.

Il conflitto dentro di noi
Veniamo adesso alla terza considerazione: i cattivi rapporti con gli altri sono anche il riflesso di cattivi rapporti con noi stessi. Fin dall'infanzia ci troviamo a vivere in un mondo sociale ben poco idilliaco, contrassegnato da conflitti aperti o sotterranei, da lotte per il potere, da scarsa disponibilità all'ascolto, da maschere che soffocano la spontaneità a favore delle strategie utilitaristiche. In questo clima o ci adattiamo, imitando gli altri, o ci rinchiudiamo in noi stessi.
In entrambi i casi si crea in noi un conflitto, poiché operiamo una scelta tra bisogni ugualmente fondamentali e apparentemente antagonistici: essere riconosciuti dagli altri oppure essere se stessi; comunicare in modo funzionale ai propri obbiettivi o esprimersi con spontaneità; essere temuti o essere amati etc. etc.

Ogni volta che scegliamo - ed è una scelta che si ripresenta più volte nella vita: in famiglia, a scuola, con gli amici, sul lavoro - reprimiamo una parte di noi, dicendogli in sostanza: "tu sei meno importante dell'altra parte, dell'altro bisogno", e la releghiamo nell'inconscio. Ma questa parte non ci sta a farsi tagliare fuori e farà di tutto per ottenere ciò che vuole: sobillerà, saboterà, seminerà zizzania, insomma fomenterà il conflitto dentro di noi e, per rifesso, anche fuori di noi. Proveremo antipatia e repulsione per qualcuno perché in realtà ci ricorderà - magari in eccesso - parti di noi che abbiamo chiuso in "prigione"; combatteremo con nemici esterni ma in realtà saremo in guerra con noi stessi.

Se imparassimo ad accettare la globalità di ciò che siamo e non solo alcune parti, sarebbe assai più facile accettare i diversi da noi; se sapessimo conciliare creativamente i nostri diversi bisogni invece di accettarne solo metà e rinnegare l'altra metà, saremmo anche in grado di negoziare con equità con altri individui, classi sociali, popoli o stati, invece di considerare le nostre esigenze più importanti delle loro e liquidarli con poche briciole e molta arroganza.

Modelli culturali limitanti
La radice del problema è dunque anche dentro di noi, ma sarebbe semplicistico ridurre tutto alla sola psicologia. Difatti, il conflitto interiore è collegato a sua volta a distorsioni e ottusità culturali: in primis il considerare valori solo certi bisogni e qualità umane e disvalori tutti gli altri. Questa dicotomia porta poi ad accettare di noi stessi solo quella metà che corrisponde ai valori della nostra cultura di appartenenza e a rinnegare l'altra metà. Ma siccome esistono culture diverse dalla nostra, ecco che alcuni popoli o individui manifestano apertamente quei tratti che per noi sono invece tabù, e noi facciamo lo stesso verso di loro, suscitando reciproco rifiuto e ostilità.

C'è poi un altro fattore culturale che contribuisce ad aggravare il problema: la credenza che si possano soddisfare i propri bisogni solo penalizzando qualcun altro. Questo modo di vedere è stato definito dalla “teoria dei giochi” (Cfr. J. von Neumann e O. Morgensten, 1944) gioco a somma zero: un gioco, cioè, dove la posta è limitata e non è sufficiente per soddisfare tutti (ad es. due naufraghi che si contendono un unico giubbotto di salvataggio o due tribù che lottano per un unico lembo di terra fertile, insufficiente per i fabbisogni di entrambe). Ma vi sono molti altri "giochi" dove non solo si può vincere entrambi, ma dove si vince di più se vincono tutti. Il sistema relazionale della coppia o della famiglia, quello insegnanti-allievi, quello medico-paziente, quello imprenditore-lavoratore e molti altri seguono appunto le leggi di questo secondo genere di gioco, definitoa somma positiva.

Il gioco a somma zero è caratterizzato da una accesa competizione, in quanto uno vince (+1) ciò che l’altro perde (-1), da cui +1 -1 = 0. Nei giochi a somma positiva invece, al guadagno di uno non deve necessariamente corrispondere la perdita per l’altro, anzi, il guadagno è maggiore se l’altro guadagna a sua volta (es: +2, +2 = +4) . Si prenda ad esempio la relazione insegnante-allievo: è evidente che più l’allievo apprende con profitto, più l’insegnante è appagato (cioè guadagna), e viceversa, più l’insegnante è gratificato, meglio insegnerà e più positivamente si porrà nei confronti della classe, con conseguenze positive (guadagno) anche per l’allievo. Voler affrontare una relazione del genere secondo un modello competitivo del tipo “a somma zero” rappresenta, come è ovvio, un'assurdità, comportando per entrambi i soggetti solo mancati guadagni.
Dobbiamo prendere coscienza che gran parte dei nostri obbiettivi - come individui e come gruppi e popoli - non sono affatto antagonistici a quelli altrui ma possono anzi realizzarsi di più e meglio se collaboriamo.

Intervenire alla radice
Come ogni altra malattia - e la guerra è sicuramente una malattia, la più nefasta e persistente che affligga l'umanità - essa va affrontata alla radice, altrimenti, curando i sintomi, la malattia sparisce per un po' ma prima o poi riaffiora, con rinnovata virulenza, tant'è che qualcuno ebbe a definire la pace come la pausa di riposo e riorganizzazione necessaria a prepararsi per una nuova guerra. Rimanendo in tema di massime, vorrei invece citarne una orientale, più positiva, che recita pressappoco così:

Se vuoi la pace nel mondo devi mettere pace nel tuo paese
Se vuoi pace nel tuo paese devi mettere pace nelle città.
Se vuoi pace nelle città devi mettere pace nelle famiglie.
Se vuoi pace nella tua famiglia devi mettere pace in te stesso.

Dunque, la pace va costruita dal basso, comprendendo e conciliando i conflitti interiori, superando limitazioni e cecità culturali e poi imparando a relazionarsi equamente con le altre persone, ad accettare le differenze, a superare l'egocentrismo e l'etnocetrismo, a superare costruttivamente i conflitti che inevitabilmente si creano tra diverse personalità, diversi interessi, diverse culture.
Può sembrare un percorso lungo ma non ci sono scorciatoie, perché finché non cambieremo i nostri schemi individuali e culturali non sarà possibile uscire dalla spirale perversa della guerra: potrà trattarsi di guerre vere e proprie, o di guerriglie come quelle domenicali negli stadi, ma periodicamente ci sarà bisogno di sfogare l'aggressività di popolazioni composte da persone e classi sociali per lo più insoddisfatte e arrabbiate. La rabbia non può essere repressa all'infinito e prima o poi deve trovare uno sfogo; il problema quindi non si può risolvere reprimendola ma fornendo alle persone valide alternative per prevenirla, in primo luogo imparando ad affrontare in modo più costruttivo e soddisfacente le proprie relazioni con gli altri, siano essi superiori, colleghi o familiari.

Come si è visto, molti sono i fattori in gioco e tra loro variamente interconnessi, pertanto è sterile lavorare su un solo livello e si richiede piuttosto un approccio di tipo globale che nasca da una vasta collaborazione interdisciplinare nell'ambito delle scienze socio-psico-antropologiche e della comunicazione. Oggi non solo sono note le cause e le dinamiche dei conflitti interpersonali ma è anche possibile, in certa misura, facilitare il passaggio da uno scontro distruttivo ad un confronto costruttivo.

Negli ultimi decenni sono state messe a punto - grazie proprio ad approcci olistico-sistemici - valide tecniche di mediazione tra i diversi punti di vista, di negoziazione dei diversi interessi, di "sfogo" costruttivo del risentimento e dell'aggressività, che possono portare in molti casi a una risoluzione pacifica dei conflitti e a una prevenzione degli stessi. Queste conoscenze e queste tecniche sono purtroppo poco note al grande pubblico e perfino alla maggior parte degli studiosi ed addetti ai lavori, ma rappresentano un patrimonio di grande valore che può essere proficuamente impiegato sia per iniziative di sensibilizzazione e educazione su vasta scala, sia per interventi più circoscritti volti a formare personale altamente specializzato da impiegare poi in ruoli strategici. Tali iniziative dovrebbero rivolgersi non solo ai paesi occidentali (il che comunque sarebbe già molto) ma anche ad altri paesi, perché il cambiamento dovrebbe prima o poi riguardare l'intero pianeta.
Tuttavia non possiamo aspettare che qualcun altro faccia il primo passo: dobbiamo dare l'esempio noi occidentali - magari addirittura noi italiani - e avviare seri interventi di educazione relazionale e di crescita culturale per imprimere un balzo evolutivo agli individui e alle collettività.
Si spendono ogni anno miliardi e miliardi di dollari per opere pubbliche materiali: è adesso il caso di investire seriamente anche su un bene immateriale ma essenziale come la pace.
Ne abbiamo a sufficienza di parole e buoni propositi che lasciano il tempo che trovano: sono necessarie iniziative concrete, e con opportuni finanziamenti si potrebbero avviare progetti pilota che poi potrebbero essere perfezionati e diffusi su vasta scala. Progetti in cui la serietà scientifica si combini con l'interdisciplinarietà e la creatività.
Per fare qualche esempio, nell'ambito del Club di Budapest - associazione internazionale per la pace e la coscienza planetaria, di cui fanno parte illustri scienziati e molti premi nobel per la pace - avevamo progettato durante la scorsa estate una interessante iniziativa denominata "Scuola di pace" che prevedeva di invitare in Italia alcune decine di giovani palestinesi e israeliani e di fargli seguire - vivendo assieme per un mese - un corso volto a migliorare la comunicazione e la comprensione reciproca e ad apprendere strumenti e tecniche di mediazione e di risoluzione pacifica dei conflitti.
Questi giovani, una volta tornati in patria, sarebbero stati esempi viventi del fatto che è possibile convivere pacificamente e avrebbero anche potuto prestare attivamente la loro opera in vari contesti per facilitare - grazie a quanto imparato - processi di miglioramento delle relazioni interne.
Numerose associazioni culturali e gruppi di volontariato erano disponibili a collaborare come pure docenti universitari ed esperti del settore, ma purtroppo i tragici fatti dell'undici settembre hanno reso impraticabile questa strada.
Se per il momento il progetto "scuola di pace" è costretto allo stand-by, vi sono comunque altri progetti che procedono in quella stessa direzione. Tra questi vorrei menzionare il Master in comunicazione e relazioni interpersonali, appena istituito, su mia proposta, presso l'università di Siena (sede di Arezzo) perché rappresenta - assieme ai corsi di laurea per operatore di pace attivati da alcuni atenei - un importante segnale di attenzione dell'università verso questa problematica di altissima rilevanza sociale.
Il master suddetto intende affrontare specificamente proprio i temi della educazione relazionale alla cooperazione, al lavoro di gruppo e alla risoluzione pacifica dei conflitti di cui si diceva più sopra, preparando esperti in grado di lavorare in vari settori: da quello socio-assistenziale a quello aziendale, da quello educativo-formativo a quello terapeutico.
La durata è di un anno (con lezioni intensive nei week end per favorire la partecipazione di chi già lavora) e possono iscriversi in primo luogo laureati in sociologia, psicologia, scienze della comunicazione, scienze della formazione e assistenti sociali.
Tuttavia il corso è aperto anche a laureati di altri settori: si pensi agli avvocati impegnati in separazioni e divorzi, che sempre più spesso si trovano a dover svolgere un vero e proprio compito di mediazione tra i coniugi.

Concludo questo mio intervento con l'auspicio che cresca, nel nostro paese e in tutto il mondo occidentale la sensibilità per gli interventi a favore della pace, con la consapevolezza che la pace mondiale si costruisce anche, e forse soprattutto, partendo dai nostri piccoli mondi personali.

Le scienze umane e sociali possono dare un contributo rilevante in proposito e se vi sarà la giusta attenzione politica e adeguate risorse saranno possibili grandi interventi di sensibilizzazione e di educazione che coinvolgano attivamente la scuola, l'università e i media; interventi che puntino ad un reale miglioramento della comunicazione e delle relazioni interpersonali e che depotenzino i vecchi schemi culturali di conflittualità distruttiva e di competizione a somma zero sostituendoli con confronti costruttivi e creativi che si traducano in maggior guadagno per tutti.
sito Enrico Cheli

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