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Info
rilegatura: brossura
formato: 15 x 21 cm.
pagine: 288
ISBN: 978-88-6118-005-5
Editore: FioriGialli edizioni
Anno di pubblicazione: settembre 2006
Euro: 20.00
Approfondimenti
Indice dell'opera
Introduzione
Estratto dal primo capitolo
Estratto dal quarto capitolo
Estratto dal capitolo dieci
Comunicato stampa
Una recensione
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10. Il settimo chakra: la mia fine è il mio inizio

Ho sentito che cosa dicevano quelli che parlavano,
il discorso dell’inizio e della fine.
Ma io non parlo dell’inizio o della fine
.
Walt Whitman   “Canzone di me stesso”

La forma del feto umano arrotolata in un cerchio completo con i piedi che toccano la testa è un simbolo dell’intero processo della vita.1 Dal punto di vista degli archetipi, i piedi rappresentano i Pesci, il segno d’acqua della dissoluzione, e la testa simboleggia l’Ariete, il segno di fuoco dell’inizio. La fine e l’inizio si uniscono, riportandoci all’integrità del cerchio sacro, ora completo e risvegliato all’interno della nostra consapevolezza, eppure non differente da com’era all’inizio.

Nell’antica conoscenza puranica dell’India, il grande e venerando saggio Markandeya, dopo aver meditato per migliaia di anni, compie un pellegrinaggio alla fonte della creazione. Là con sua grande sorpresa trova un bambino, che è Krishna, arrotolato in posizione fetale su una foglia, intento a succhiarsi l’alluce.2 Alla fine c’è l’inizio: il saggio incontra il bambino e tutti gli orgogliosi sforzi e i tentativi diventano assurdi in modo addirittura umoristico. Se la strada della nostra vocazione deve riflettere la realtà del tutto, deve manifestare sia il completamento che l’inizio.

Il settimo chakra, la corona della creazione situata vicino alla sommità della testa, è stato visualizzato sia come la fine dell’esperienza umana sia come la porta che dà sui mondi superiori. Può essere vista anche, come per i Taoisti, come il punto di ritorno, il punto nel quale la corrente ciclica dell’essere inizia il suo corso discendente.3 La corrente che inizia alla radice torna adesso alla radice. Il ciclo è completo, ma il flusso ciclico non ha fine. Nella fine c’è l’inizio.

Naturalmente, il colore simbolico di quest’area differisce da una tradizione all’altra. Alcune tradizioni lo vedono viola, altri come una luce bianca pura, mentre altri ancora vedono il chakra della corona come un arcobaleno di colori. In ogni caso questo colore simboleggia il completamento. E mentre vari sistemi culturali hanno idee differenti su ciò che costituisce un’esperienza umana completa, la possibilità del completamento viene sempre offerta come un nobile fine per lo sforzo umano.

L’attuale modello occidentale della vocazione professionale prevede il completamento nella pensione, qualcosa che arriva alla fine della vita. Dopo aver presumibilmente raggiunto il culmine della propria capacità lavorativa, il pensionato adesso può trascorrere le sue giornate giocando a golf o a dama e facendo fotografie ai suoi nipotini.

Un altro mito del completamento nella nostra cultura è il mito eroico di finire “il grande lavoro” prima di morire. Dopo quattordici anni di analisi o il centotrentesimo seminario, potete sentire qualcuno che dice ancora: “Sto crescendo, sviluppandomi e migliorando”, come se un tale movimento perpetuo contenesse la speranza del cambiamento. L’ideale del miglioramento personale nel corso del tempo può agire come una spada a doppio taglio. Certamente la capacità umana di trasformazione è reale e vitale, ma non è qualcosa che si possa pianificare. Se il desiderio di cambiare è fondato sull’idea che non siete validi esattamente così come siete adesso, state di nuovo configurando il ciclo della scarsità. Dopo una vita di lavoro estenuante, Markandeya trova un bambino che si succhia l’alluce — non esattamente quello che si aspettava! Un sentiero consapevole della vocazione è dunque diverso dal miglioramento di sé. È un modo di impegnarsi in cui il completamento avviene in modo organico. A differenza dei politici e dei competitori, sappiamo quando è il momento di ritirarci dall’arena perché la nostra autostima non dipende dal risultato che otteniamo. Inoltre, sappiamo che ci sono altre strade da percorrere.

Alcuni cicli e processi della vita e del lavoro sono naturalmente evidenti e dobbiamo riconoscerli e comprenderli. La paura del pensionamento e la frequente incapacità di lasciare che i bambini siano bambini — scegliendo già a cinque anni l’università che frequenteranno, per esempio — testimonia la nostra ignoranza di questi cicli. La maggior parte della gente è già rinchiusa in uno schema all’età di ventinove anni e passa il resto della vita a calpestare l’acqua. Si ha paura della vecchiaia e non se ne conoscono la dignità e le possibilità. E la morte è tenuta fuori vista.

Secondo il ciclo della vocazione e del lavoro produttivo, esiste una relazione importante tra la figura e il terreno. Se vivete e lavorate come un treno, non sperimentando mai le fermate sul percorso o lo scenario molto reale della presenza immutabile, arriverete a destinazione sentendovi esausti, impoveriti e ingannati — la fine rispecchierà l’inizio. Se invece cominciate con il mistero, finirete affrontandolo con meraviglia e rispetto. Se cominciate la vostra ricerca di lavoro allineandovi con la vostra integrità, soddisfazione e gioia, il vostro lavoro fiorirà da questa autenticità. D’altra parte, se vedete voi stessi come un sopravvissuto all’università che se ne va in giro usando la sua laurea come una ciotola dell’elemosina, diventerete la vittima di ogni possibile e immaginabile compromesso con voi stessi.

Nell’ultimo passo del lavoro verso l’azione autentica, permettiamo a noi stessi di essere chiari sul lavoro della nostra vita in relazione al presente senza tempo. Il settimo chakra, conosciuto come l’ingresso agli altri mondi, è in realtà l’ingresso a questo mondo visto al di là del velo della scarsità. Se rimaniamo attaccati a lavorare nel modello della scarsità, ci preoccuperemo esageratamente dell’eredità che lasceremo al mondo. Ci isseremo in spalla il pesante fardello del mondo invece di viaggiare leggeri. Nisargadatta Maharaja, un sant’uomo di Bombay, faceva il fabbricante di sigarette prima di raggiungere l’illuminazione e rimase un fabbricante di sigarette anche dopo l’illuminazione. In I Am That (Io sono quello) racconta di aver ricevuto la visita di un giovane occidentale che voleva salvare il mondo.

L’unica cosa di cui il mondo ha bisogno,” risponde Nisargadatta, “è di essere salvato da te”.

Questa storia non toglie valore al lavoro estremamente necessario dello sviluppo sociale ed economico. Ma ci affida la responsabilità di chiarire le nostre prospettive riguardo a questi sforzi. Quando il dottor Kevin Cahill, eminente tossicologo di New York, andò a lavorare in Africa, ogni sera smetteva di lavorare per rilassarsi e cenare con gli abitanti del luogo, mangiando gazzella e altri cibi tradizionali. Gli altri dottori erano arrivati in quella zona infestata dalle malattie per servire e lavoravano fino all’esaurimento, rimproverando silenziosamente il dottor Cahill che non lavorava come loro. Nessun altro dottore riuscì a durare più di sei mesi nella zona, mentre il dottor Cahill rimase lì sei anni.

Il servizio all’umanità e la responsabilità sociale e la riforma sono costruttivi nella misura in cui sono allineati con l’interezza del nostro essere. Ci sono alcuni la cui chiamata è di servire in quella particolare maniera e la realizzazione di tale chiamata porta una profonda soddisfazione. Ma una chiamata del genere non è migliore di un’altra. Quando facciamo quello che amiamo sinceramente e lavoriamo pienamente con le circostanze in cui ci troviamo, siamo già in uno stato di completezza. Il resto non è che sviluppo e la nostra eredità è nei piccoli atti di amore e dedizione che potranno non essere mai visibili nel mondo, ma che creeranno una matrice per il mondo futuro.

Finché non comprendiamo che la fine è l’inizio, la nostra vocazione porterà sempre il marchio maledetto del lavoro. Non arriverà mai al livello del gioco. La vocazione, dunque, non ha bisogno di essere trovata. Si trova dentro di noi come l’albero si trova già nel seme e si svilupperà con il tempo se soltanto smettiamo di ostacolarla e glielo permettiamo.
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