PASSIONE VERDE
di Francesco Persili
Un sentiero verde. Per trovare una nuova frontiera democratica. Può essere l’ambiente, dunque, la chiave per rinnovare la cultura politica italiana e riconciliare le nuove generazioni con la cura del bene comune. “Non solo c’è per l’umanità la minaccia di scomparire su di un pianeta morto. Bisogna anche che ogni uomo abbia l’aria necessaria, un territorio vivibile, un’educazione”. Con una riflessione di Marguerite Yourcenar, che coglie la dimensione universale e intima dell’emergenza ecologica, si apre il saggio “Passione Verde” (140 pp, Marsilio) della trentenne Francesca Santolini, giurista ambientale, assessore all’ambiente e alla partecipazione del Municipio Roma Centro Storico.
Global warming, green economy, protocollo di Kyoto . Sfide che coinvolgono gli equilibri del pianeta e la qualità della nostra vita. Temi che ci toccano nel pubblico, nel privato. Nel profondo. Sul rapporto uomo-natura-ambiente la politica italiana si è dimostrata da 30 anni incapace di farsi carico dei problemi e inadeguata nel proporre soluzioni, ma negli ultimi tempi qualcosa è cambiato. Siccità, inondazioni, incendi, catastrofi naturali. I disastri ambientali raccontati nel docu-film di Al Gore, La scomoda verità. La verità è che la Terra ha la febbre. Ma si può guarire. Con le energie rinnovabili e la volontà politica di agire. Servono le nuove generazioni, però. Ecco di cosa parliamo, quando diciamo rivoluzione verde. Del coraggio, innanzitutto, di proporre una ecologia responsabile della politica e della possibilità di credere in un cambiamento concreto. A partire dall’ambiente. La “madre” che ha fatto crescere Francesco Rutelli, la “figlia femmina” che l’ex An, Altero Matteoli, ha accolto senza entusiasmo, il compagno di strada della sinistra post ‘68. L’ambiente. L’occasione mancata di un partito post-ideologico. “Ma le centrali nucleari sono di destra o di sinistra?”, si chiedeva il viaggiatore leggero Alex Langer, dopo Chernobyl, mentre l’Italia, unico fra i sette Paesi maggiormente industrializzati del mondo, si apprestava a rinunciare alla corsa al nucleare.
Erano gli anni Ottanta, gli anni in cui l’ambiente diventò il ministero dell’impossibile, il convitato di pietra di ogni dibattito sul rinnovamento. Qualche allarme, come quello lanciato da Carlo Ripa di Meana nel 1992 sulla gestione dei rifiuti in alcune regioni “in mano alla criminalità organizzata”, e poco altro. Un ruolo marginale. Al pari di quello di cui si sono accontentati i Verdi, un movimento che aveva anche esordito con promettenti successi ed ha finito per impigliarsi in controversie interne autocondannandosi alla irrilevanza politica. Così, gli eredi di Langer, invece di nuotare nel mare aperto della post-ideologia, si sono rinchiusi nella riserva indiana tra nostalgie vetero-marxiste e movimentismi tardo-gruppettari.
Scrive Francesca Santolini: “La distanza che separa la storia e i profili di Langer e Pecoraro Scanio è il segno di un declino. Ambientalismo ed estremismo irresponsabile sono diventate due facce della stessa medaglia”. Un’eccezione, o un’anomalia tutta italiana, nella versione del giornalista-scrittore Massimo Gramellini, che si chiede: “Ma perché i Verdi trionfano ovunque mentre qui appena ne vedi uno in faccia viene voglia di tifare per l’effetto-serra?”.
Il problema, come dicono quelli cresciuti in sezione, è più generale. E non riguarda solo il centrosinistra italiano in cui il fronte del no ha, talvolta, prevalso sulla capacità di proposta e di innovazione. “Le politiche ambientali hanno come unica fonte l’etica pubblica, spiega Federico Eichberg, direttore studi della fondazione Farefuturo e candidato del Pdl alle ultime europee, per questo nel centrodestra fanno più fatica ad affermarsi”. C’è Berlusconi che ritiene “assurdo parlare di emissioni” quando c’è una crisi economica in atto: “E’ come uno che ha la polmonite e pensa di farsi la messa in piega”. Tra “catastrofisti” e “negazionisti”, il risultato è che manca il giusto mezzo. Tante analisi, poche azioni concrete. Così il nostro Paese continua ad accumulare uno spaventoso ritardo nei confronti degli Stati Uniti e degli altri Paesi europei.
Il nuovo progetto Apollo di Obama non è la reconquista della Luna ma l’equilibrio del nostro pianeta. John Podesta, fondatore del Center America Progress, e tra i principali consiglieri del presidente americano considera questo compito una straordinaria opportunità economica. “Perché la trasformazione della nostra antiquata infrastruttura energetica potrà essere motore di innovazione, crescita economica e creazione di occupazione nei prossimi decenni”. Come negli Usa, così in Francia dove intorno allo sviluppo sostenibile Cohn-Bendit ha costruito un movimento, e Sarkozy, un nuovo metodo di prendere decisioni sulla vita del Paese.
Gli Stati generali dell’ambiente voluti dal presidente francese consentono, infatti, di stipulare un nuovo patto nazionale attraverso un modello di democrazia partecipativa. Uno stile meno ideologico e più pragmatico. E’ quello scelto in Inghilterra fin dai tempi di Margaret Thatcher. Anche i conservatori, specie dopo l’avvento di Cameron, sono impegnati, al pari di liberaldemocratici e laburisti, sulla riduzione dell’inquinamento, sullo sviluppo di energie alternative e per la creazione di una low carbon economy. L’ambiente unisce, è trasversale, un fattore di innovazione e progresso.
ll New Labour di Tony Blair ha sempre paragonato la lotta al cambiamento climatico a quella contro il nazifascismo e la guerra fredda lanciando l’obiettivo di ridurre del 20 per centro entro il 2010 le emissioni britanniche.
Il governo laburista, anche con Gordon Brown, ha mostrato attenzione al sound of science e ha fatto sì che la ricerca entrasse nei programmi dell’esecutivo insieme all’accountability, l’obbligo degli amministratori pubblici di rendere conto delle decisioni prese. In Germania, alle riflessioni anche teoriche sul rapporto tra uomo e natura, si sono aggiunte politiche dal basso grazie al partito verde, che oltre ad essere il più grande d’Europa, è anche uno dei pochi che all’impegno sul fronte ambientale ha unito proposte di integrazione delle minoranze. Senza dimenticare i progetti che hanno come scopo quello di fornire ai cittadini strumenti per poter scegliere il modo in cui contribuire alla domanda e alla produzione energetica. In Spagna, dove un partito verde non esiste, sono il vento e il sole gli elementi della rivoluzione ambientale di Zapatero che ha fatto compiere un balzo in avanti al Paese nel campo della conversione del sistema energetico.
L’arretratezza italiana è, innanzitutto, culturale. Il diritto all’ambiente è una cattedra fantasma nelle università. A differenza degli altri Paesi dell’Ue, non si propongono corsi di laurea, non si scrivono libri, non si pubblicano riviste. Il futuro da noi è un ritorno al passato, al nucleare, “una tecnologia troppo vecchia e troppo costosa per risultare conveniente”, come sostiene Aldo Iacomelli, ingegnere e fondatore della sede romana di Greenpeace. Eppure le energie rinnovabili si trovano in una fase di evoluzione costante e rapida e i lavori verdi possono rappresentare una soluzione alla crisi occupazionale, come ribadito anche dal senior Researcher presso il Worldwatch Institute (il più autorevole osservatorio ambientale globale) e direttore del Global Secutiy Project, Michael Renner alla scuola politica del Pd Ambiente Futuro.
“Guardando ciò che avviene all’estero, è evidente – scrive Francesca Santolini – che nuove politiche ambientali possono essere l’occasione per rilanciare una nuova politica”. Concreta, responsabile, post-ideologica. Ma per rinnovare bisogna superare resistenze, conservatorismi, e quel presentismo che sembra la malattia terminale del nostro Paese. Lo sanno le nuove generazioni chiamate a bruciare la polvere che soffoca il cambiamento e a mettere nella cura del bene comune idee, coraggio e una passione. Verde, naturalmente.
02/02/2010 Francesco Persili
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