"Apri il cuore e accontentati di quello che la vita ti concede. Siamo tutti invitati alla festa della vita,
dimentica i giorni dell'oscurità, qualsiasi cosa possa essere successa non è la fine"
  Augusto Daolio

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L'ECOLOGIA IN PRATICA
UNO STILE DI VITA NATURALE
PER SE' E PER IL PIANETA
L'ECOLOGIA IN PRATICA
Sono la natura
sono la terra.
i miei occhi sono il cielo,
le mie membra gli alberi.
Sono la roccia,
la profondità dell'acqua,
non sono qui per dominare
la Natura.
Io stesso sono la Natura.

Indiani Hopi

Questa terra é sacra
<b>Questa terra é sacra</b>





Come potete comperare
o vendere il cielo,
il calore della terra?
l'idea per noi é strana.
Se non possediamo
la freschezza dell'aria,
lo scintillio dell'acqua.
Come possiamo comperarli?
Continua...
ONDE DI CRESCITA INTERIORE
ONDE DI CRESCITA INTERIORE La crisi ecologica - ovvero il principale problema di Gaia - non è l’inquinamento, i rifiuti tossici, il buco nell’ozono o qualcosa del genere. Il principale problema di Gaia è che un numero non sufficiente di esseri umani si è sviluppato ai livelli di coscienza postconvenzionali, planetari e globali in cui sarebbero spinti automaticamente alla cura per il globale comune. E gli esseri umani sviluppano questi livelli postconvenzionali, non imparando la teoria dei sistemi, ma passando attraverso almeno una mezza dozzina delle principali trasformazioni interiori, che vanno dall’egocentrico all’etnocentrico al mondocentrico, punto in cui e non prima, possono risvegliarsi a una profonda e autentica cura per Gaia. La prima cura per la crisi ecologica non consiste nell’imparare che Gaia è la Rete della Vita, per quanto vero ciò sia, ma nel promuovere queste numerose e ardue onde di crescita interiore, nessuna delle quali viene indicata dalla maggior parte di questi approcci del nuovo paradigma.
Continua... 
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE 1 L’Italia vive l’anomalia di un nuovo Medioevo. Più che in altri paesi, è visibile in Italia l’emergenza ecologica, il degrado sociale e la crisi di fondamentali valori etici; permangono aree vaste di ignoranza, incapacità, ingiustizia. Meno facilmente che altri paesi, l’Italia quindi può affrontare la conversione ecologica delle attività economiche, il risanamento ambientale e morale del paese, la partecipazione diretta delle persone alla attività sociale ed una effettiva realizzazione di una sana cultura dei diritti e dei doveri che dovrebbero regolare ed ispirare la vita sociale collettiva. 2 Sia in Europa che nel resto del pianeta, vi è una tripla crisi :a) economica e finanziaria (causata da un modello di crescita superato) b) ambientale conseguente, c) socio-culturale. Tre grandi crisi che non trovano più risposte adeguate dal sistema della politica: non dai partiti socialdemocratici in crisi dappertutto e neppure dall’egoismo sociale e dall’indifferenza ambientale dei vari partiti conservatori. Solo un modello sociale e produttivo eco-orientato ed eco-sostenibile, che all’idea di una crescita senza limiti sostituisca un idea di sobrietà, che non escluda anche l’utilità di avere aree di decrescita virtuosa e felice, può essere in grado di affrontare le difficoltà del presente. ...Continua...
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO di Maneka Gandhi

Mangiare carne è una delle maggiori cause della distruzione ambientale. Ogni specie non solo ha il diritto di vivere, ma la sua vita è essenziale per il benessere dell’umanità. Ciò che chiamiamo sviluppo, cioè la sterile città nella quale portiamo i nostri cani al guinzaglio, non è vita. Ci abituiamo così velocemente al malessere, alla tensione, alle carestie e alle alluvioni che pensiamo che i pezzi di carta che teniamo in tasca possano sostituire un corpo sano e una mente gioiosa. Scegliamo di non sapere che, praticamente tutte le nostre malattie sono causate dalla mutilazione e dall’uccisione di animali: dai 70.000 acri di foresta pluviale del Sudamerica abbattuti ogni giorno – che in gran parte servono per far pascolare il bestiame – fino al virus Ebola, proveniente dalle scimmie strappate dal loro habitat naturale in Africa allo scopo di fare esperimenti. Abbiamo ottenuto più cibo uccidendo i lombrichi con le nostre sostanze chimiche o abbiamo ottenuto più malattie? Abbiamo ottenuto una salute vigorosa allevando forzatamente bestiame per il latte e la carne, o abbiamo piuttosto ottenuto emissioni di gas metano che hanno contribuito enormemente all’effetto serra, mettendo in pericolo la vita del pianeta? Continua...

LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE
LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE

di Lester Brown

Per creare una economia sostenibile bisognerà sostenere una rivoluzione ambientale, come è avvenuto per quella agricola e industriale. Alla fine del libro Piccolo è bello, Schumacher parla di una società che violenta la natura e danneggia gli esseri umani e, da quando queste parole sono state scritte, diciotto anni fa, abbiamo potuto vedere con maggiore evidenza i modi con i quali la nostra società agisce proprio in quella direzione.Mi trovavo all’aeroporto di Dulles e presi una copia del US News and World Report, che conteneva un editoriale di David Gergen, un alto funzionario dell’Ufficio Stampa di Reagan alla Casa Bianca. L’articolo descriveva quello che stava accadendo oggi alla società americana e l’autore affermava che, in un certo senso, abbiamo perso la strada. Continua...

RISPETTA LA (TUA) NATURA
<b>RISPETTA LA (TUA) NATURA </b> Michele Vignodelli

Il nostro corpo e la nostra mente sono meraviglie naturali in pericolo, da difendere come le foreste, i fiumi, il mare e le montagne. Sono continuamente aggrediti dal sistema tecnologico ed economico che ci governa, proprio come il resto del mondo naturale.
Non potremo mai rispettare e vivere veramente la suprema bellezza e armonia della natura esterna se non cominciamo da noi stessi. Eppure esiste una spaventosa ignoranza sulla nostra natura interna, che fa pensare a una congiura del silenzio.
Negli ultimi anni sono emerse abbondanti prove dell’esistenza di
Continua...
RICORDO DI IVAN ILLICH
RICORDO DI IVAN ILLICH


di Giannozzo Pucci *

Il primo libro di Illich, pubblicato alla fine degli anni '60, riguarda appunto la Chiesa nel processo di trasformazione della società moderna (The Church, change and development).
Il secondo, del 1970, intitolato "Celebration of Awareness (Celebrazione della consapevolezza": un appello alla rivoluzione istituzionale), è contro le certezze delle istituzioni che imprigionano l'immaginazione e rendono insensibile il cuore.
Poi, nel 1971, esce "Descolarizzare la società", che è stato al centro del dibattito pedagogico internazionale con la tesi che la scuola produce la paralisi dell'apprendimento e danneggia i ragazzi, educandoli a diventare meri funzionari della macchina sociale moderna. Convinto che il sistema educativo occidentale fosse al collasso sotto il peso della burocrazia, dei dati e del culto del professionalismo, combatteva i diplomi, i certificati, le lauree,
Continua...

LA VENDETTA DI GAIA
LA VENDETTA DI GAIA

di James Lovelock

La vendetta di Gaia : assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Per millenni abbiamo vissuto con la strategia del parassita, ai danni dell'organismo vivente che ci ospita. Ora, assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Il parassita e' un essere che vive a spese di un altro organismo. Se ne nutre, cresce, si riproduce e prospera. Eppure, la sua non e' una strategia lungimirante. Le energie dell'organismo ospite diminuiscono giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Finche' un giorno accade l'inevitabile: l'organismo ospite si avvia a una fine certa. E il parassita, senza risorse, e' destinato a scomparire. Questa immagine e' la perfetta metafora della storia della specie umana. A dimostrarlo sono i fatti. Migliaia di anni di occupazione del pianeta hanno provocato distruzione degli habitat, estinzione di molte specie, emissioni record di gas serra in atmosfera e nubi di polveri sottili nell'emisfero nord e sulle metropoli. Un'aggressione prolungata alla quale la Terra ora reagisce innescando una lunga serie di disastri naturali, quali inondazioni e uragani, sempre piu' numerosi e violenti, ed eventi climatici estremi, come estati torride e punte di freddo anomalo. Il pianeta che abitiamo non ha piu' anticorpi per difendersi. E allora attacca.
Lo sostiene a gran voce uno scienziato autorevole e indipendente, James Lovelock, nel suo nuovo libro, The revenge of Gaia (La vendetta di Gaia) in uscita il 2 febbraio in Gran Bretagna! . Il nostro mondo, afferma, potrebbe avere superato il punto d! i non ritorno: la soglia oltre la quale non possiamo fare piu' nulla per evitare che, entro la fine del secolo, i cambiamenti causati dall'attivita' umana distruggano la nostra civilta' Continua....
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IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
E LA GRANDE CECITA'



di Guido Viale

Il cambiamento climatico in corso è il grande assente dalle politiche non solo italiane, ma anche europee e mondiali. Con poche eccezioni lo si nomina solo per non doverne più parlare.

C’è un negazionismo esplicito che risorge periodicamente nonostante l’evidenza dei fatti (vedi Trump, ma anche, dietro a lui, l’esercito in marcia dei trumpiani); un negazionismo di fatto che consiste nel parlarne e farne parlare il meno possibile ("i problemi sono altri"… “il problema è la crescita”…); e c’è un negazionismo opportunista che dice tutto e il contrario di tutto (vedi Renzi che, a Parigi, vanta i progressi delle rinnovabili in Italia - che lui peraltro aveva fermato - e subito dopo si adopera per far fallire il referendum contro le trivellazioni).

Ma in tutti e tre i casi i negazionisti hanno un denominatore comune, come spiega Naomi Klein in Una rivoluzione ci salverà: tutti sanno che una catastrofe è alle porte, ma hanno anche capito che per fermarla bisognerebbe cambiare alle radici l’organizzazione sociale, e non sono disposti a farlo. Non possono farlo, ma non possono nemmeno pensarlo, cioè concepirne e accettarne le implicazioni. Ma attenzione, una pigrizia mentale come questa colpisce spesso anche noi…

Bisogna invece prender atto che il cambiamento climatico sta assumendo un andamento irreversibile. Ce lo dicono innanzitutto i glaciologi: i ghiacciai continuano ad arretrare e non torneranno più come prima; e così le calotte polari. In tutto l’emisfero boreale si sta sciogliendo il permafrost, liberando quantità sterminate di metano (un gas serra 20 volte più potente della Co2). E altro metano viene sprigionato dal riscaldamento dei fondali artici.

Non si alzerà solo il livello del mare; cambieranno le correnti marine, a partire da quella del Golfo; e quelle aeree, come El Nino e i monsoni, alterando completamente l’assetto climatico del pianeta e moltiplicando, come già accade, gli eventi estremi destinati a trasformarsi in catastrofi. Mentre nelle aree tropicali e temperate avanza ovunque il deserto. E’ altamente improbabile che questo processo si arresti o addirittura si inverta per tempo: gli obiettivi fissati al vertice di Parigi sul clima sono insufficienti, ma nemmeno quelli vengono rispettati. Il tempo passa e tutti i cambiamenti in corso stanno subendo un’accelerazione imprevista. 

Il mondo in cui vivranno i nostri nipoti, ma forse già i nostri figli, se non anche alcuni di noi, non sarà più quello che conosciamo; sarà molto più ostico e renderà a tutti la vita molto più difficile, e a molti impossibile. E sarà pieno di guerre e conflitti per spartirsi le risorse residue. Le rinunce necessarie a rallentare il disastro (che per molti potrebbero anche rivelarsi vantaggi), quelle che i governi non osano prospettare ai loro elettori, verranno imposte, moltiplicate per dieci, da una natura ormai stravolta.

Gli antidoti ai guasti dell’ambiente rientrano in due categorie generali: mitigazione e adattamento. Per i cambiamenti climatici, finora, si è parlato quasi solo di mitigazione, cioè di riduzione delle emissioni, e solo in campo energetico. Di agricoltura, allevamento e qualità dei suoli, fonti non meno rilevanti del problema, non si parla quasi mai. E si parla ben poco anche di adattamento. 

Se ne parla poco, ma si fa molto. Lo aveva illustrato, già 14 anni fa, un documento del Pentagono: i paesi dell’Occidente (la Cina non veniva ancora presa in considerazione) devono attrezzarsi per far fronte - con la guerra - all’ondata di profughi che i cambiamenti climatici spingeranno all’assalto delle cittadelle benestanti del pianeta. Allora poteva sembrare solo un delirio militarista; ma oggi, di fronte alla costruzione della “Fortezza Europa”, dobbiamo prendere atto del fatto che questo è il modo in cui - consapevole o meno - il negazionismo imperante sia a destra che al centro e a sinistra conta di far fronte alle conseguenze di ciò che non viene fatto in termini di mitigazione.

E’ chiaro che per noi l’adattamento non può essere la guerra; e ciò chiama in causa innanzitutto la questione delle migrazioni: che per i paesi che ne sono la meta sono la manifestazione più vistosa, per ora, delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Senza un’alternativa vera e di ampio respiro alla guerra ai migranti, sferrata tanto da Trump – e prima di lui, e in silenzio, da Obama – che dall’Unione Europea, non c’è nessuna possibilità di sottrarsi alla deriva di una politica criminale di portata planetaria. Ma, anche, nessuna possibilità di affrontare sul serio la “sfida” che i cambiamenti climatici in corso imporranno a tutti: una sfida che ha bisogno di un coinvolgimento anche dei migranti, mentre far loro la guerra non fa che accelerare il disastro.

Occorre prospettare un’alternativa che permetta a tutti, migranti e nativi, di non precipitare insieme in un abisso senza ritorno. Alle lotte, alle rivendicazioni e alle buone pratiche per rallentare il deterioramento climatico sia del territorio in cui si vive che dell’intero pianeta, fin da ora vanno affiancate misure, ancora più complesse, per promuovere forme di adattamento diverse dalla guerra ai migranti; misure che in larga misura coincidono con quelle di un approccio più radicale alla mitigazione: non basta chiedere, o “esigere”, meno fossili e più rinnovabili, meno sprechi, meno consumi superflui e meno Grandi opere, affidando al mercato, magari incentivato, il compito di perseguire obiettivi “più avanzati” di quelli già fissati a Parigi e non rispettati. Occorre lavorare, insieme ai migranti, per creare le condizioni di una sopravvivenza comune e di una convivenza solidale in ambienti – climatici, ma non solo - molto più ostili di quelli che abbiamo conosciuto finora.

In entrambi i casi - quello di una mitigazione più radicale e quello di un adattamento non competitivo, e non fondato sulla guerra ai migranti - il principale fattore che li accomuna è la resilienza: la capacità di costituire un ambiente che conti sempre meno su risorse attingibili solo su un mercato globale, e solo con il saccheggio del pianeta, e sempre più su risorse fisiche, economiche e sociali locali: cioè su una territorializzazione, ovviamente sempre parziale e in progress, delle attività su cui si regge la vita di una comunità. Tutto ciò non partirà mai dall’alto, dai governi; dovrà essere promosso e sviluppato, se mai lo sarà, dal basso: da movimenti di respiro e portata per lo meno europea, premendo e coinvolgendo innanzitutto le istituzioni a più diretto contatto con le comunità.

Dunque, processi in gran parte locali. Ma con tre precisazioni: primo, non si tratta di un ripiegamento su se stessi, di una visione chiusa e regressiva della società: la circolazione dell’informazione offerta dal web a livello planetario e quella libera delle persone - oggi permessa solo a ricchi uomini di affari e ai turisti, ma vietata ai poveri e ai fuggiaschi – possono garantire un’apertura della vita sociale ben maggiore di quella promossa dalla globalizzazione odierna, peraltro già ora compartimentata. D’altronde ci sono beni, produzioni e mercati che non potranno essere territorializzati facilmente né in tempi brevi...

Secondo, la territorializzazione dovrà essere un modello replicabile ovunque. Le migrazioni di oggi, e quelle del futuro, grazie al web e ai mezzi di trasporto, non sono necessariamente per sempre: la partecipazione dei migranti come lavoratori regolari a processi di conversione economica fondati sulla resilienza nei territori del continente europeo può fornire know-how e stimoli per un loro impegno anche nella rigenerazione dei territori e delle loro comunità di origine, che loro conoscono bene.

Quel che resta di quelle comunità è tenuto insieme in gran parte dalle donne che hanno lasciato là; il ritorno anche solo di una parte degli attuali migranti, armati di nuove esperienze e nuove competenze, potrebbe contribuire sia a rigenerare i suoli che a rinnovare le regole della convivenza anche nei loro paesi di origine. A condizione che ritorni la pace e che cessi la guerra per non farli entrare in Europa. Rinunciare a una prospettiva del genere significa optare per lo sterminio di miliardi di esseri umani.

Terzo, locale vuol dire “locale” e non “nazionale”. Le dimensioni di un territorio su cui costruire processi di resilienza sono date dalla qualità delle risorse fisiche e umane su cui si può contare; sono dimensioni diverse, che si sovrappongono in misura differente a seconda della risorsa impegnata; non sono date una volta per sempre e non sono ovviamente uguali ovunque; ma in nessun caso, o solo eccezionalmente, possono coincidere con quelle di uno Stato nazione.

Perché sono dimensioni definite da processi partecipativi: sia quelli diretti, relativi alla gestione di un bene, di un servizio o di un’attività produttiva, sia quelli negoziali, fondati su accordi di lungo periodo che consentano di sottrarre una produzione o una fornitura alle turbolenze dei mercati globali; entrambi richiedono il coinvolgimento di un’istituzione o di un governo locale, come può esserlo un grande Comune o un’unione di Comuni, base di ogni autentico federalismo. 

Questo vale soprattutto per i principali settori coinvolti dalla conversione ecologica: energia, agricoltura, alimentazione, edilizia, salvaguardia del territorio, mobilità e turismo: sono tutti settori in cui il grande, il concentrato, il centralizzato, sottratti a ogni controllo dal basso - l’economia globale di oggi - si contrappongono al piccolo, al decentrato, al distribuito e al partecipato (il processo che fa di una risorsa un bene comune), caratteri irrinunciabili di un approccio che abbia di mira la resilienza. Senza partecipazione, cioè senza il coinvolgimento, anche pratico e non solo a livello decisionale, di una popolazione, o di una sua parte consistente, non si dà conversione ecologica; e questo spiega perché essa è incompatibile con gli attuali assetti globali.

La territorializzazione dovrà valere a maggior ragione per la circolazione monetaria: con la convivenza, per un lungo periodo, sia delle valute controllate dalla finanza mondiale, come l’euro, sia di diverse monete locali parallele, di ambito più o meno vasto e più o meno specializzato a seconda delle loro finalità; monete che possono affermarsi soltanto se sorrette da una convinta partecipazione di chi le istituisce e le usa.

Non si tratta certo di tornare alle vecchie valute nazionali su cui la popolazione non ha mai avuto alcun controllo né avrebbe potuto o potrebbe più averlo (lo aveva lo Stato nazionale, fino a che esso era il principale strumento di governo in mano al capitale). Solo con una progressiva territorializzazione anche delle funzioni della moneta una comunità può cercare di resistere – certo non senza pesanti costi - alla morsa del debito e a quel controllo da parte della finanza internazionale che ha già strangolato la Grecia, l’Argentina e cento altri paesi.

E solo così si può riconquistare una vera “sovranità monetaria” che le permetta di affrontare i compiti della resilienza in campo ambientale.  

VIDEO: L'intervento di Guido Viale all'Università estiva di Attac 2018

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 36 di Settembre - Ottobre 2018: "Crisi: 10 anni bastano"



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