Le cose sono unite da legami invisibili, non si può cogliere un fiore senza turbare una stella - Albert Einstein

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L'ECOLOGIA IN PRATICA
UNO STILE DI VITA NATURALE
PER SE' E PER IL PIANETA
L'ECOLOGIA IN PRATICA
Sono la natura
sono la terra.
i miei occhi sono il cielo,
le mie membra gli alberi.
Sono la roccia,
la profondità dell'acqua,
non sono qui per dominare
la Natura.
Io stesso sono la Natura.

Indiani Hopi

Questa terra é sacra
<b>Questa terra é sacra</b>





Come potete comperare
o vendere il cielo,
il calore della terra?
l'idea per noi é strana.
Se non possediamo
la freschezza dell'aria,
lo scintillio dell'acqua.
Come possiamo comperarli?
Continua...
ONDE DI CRESCITA INTERIORE
ONDE DI CRESCITA INTERIORE La crisi ecologica - ovvero il principale problema di Gaia - non è l’inquinamento, i rifiuti tossici, il buco nell’ozono o qualcosa del genere. Il principale problema di Gaia è che un numero non sufficiente di esseri umani si è sviluppato ai livelli di coscienza postconvenzionali, planetari e globali in cui sarebbero spinti automaticamente alla cura per il globale comune. E gli esseri umani sviluppano questi livelli postconvenzionali, non imparando la teoria dei sistemi, ma passando attraverso almeno una mezza dozzina delle principali trasformazioni interiori, che vanno dall’egocentrico all’etnocentrico al mondocentrico, punto in cui e non prima, possono risvegliarsi a una profonda e autentica cura per Gaia. La prima cura per la crisi ecologica non consiste nell’imparare che Gaia è la Rete della Vita, per quanto vero ciò sia, ma nel promuovere queste numerose e ardue onde di crescita interiore, nessuna delle quali viene indicata dalla maggior parte di questi approcci del nuovo paradigma.
Continua... 
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE 1 L’Italia vive l’anomalia di un nuovo Medioevo. Più che in altri paesi, è visibile in Italia l’emergenza ecologica, il degrado sociale e la crisi di fondamentali valori etici; permangono aree vaste di ignoranza, incapacità, ingiustizia. Meno facilmente che altri paesi, l’Italia quindi può affrontare la conversione ecologica delle attività economiche, il risanamento ambientale e morale del paese, la partecipazione diretta delle persone alla attività sociale ed una effettiva realizzazione di una sana cultura dei diritti e dei doveri che dovrebbero regolare ed ispirare la vita sociale collettiva. 2 Sia in Europa che nel resto del pianeta, vi è una tripla crisi :a) economica e finanziaria (causata da un modello di crescita superato) b) ambientale conseguente, c) socio-culturale. Tre grandi crisi che non trovano più risposte adeguate dal sistema della politica: non dai partiti socialdemocratici in crisi dappertutto e neppure dall’egoismo sociale e dall’indifferenza ambientale dei vari partiti conservatori. Solo un modello sociale e produttivo eco-orientato ed eco-sostenibile, che all’idea di una crescita senza limiti sostituisca un idea di sobrietà, che non escluda anche l’utilità di avere aree di decrescita virtuosa e felice, può essere in grado di affrontare le difficoltà del presente. ...Continua...
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO di Maneka Gandhi

Mangiare carne è una delle maggiori cause della distruzione ambientale. Ogni specie non solo ha il diritto di vivere, ma la sua vita è essenziale per il benessere dell’umanità. Ciò che chiamiamo sviluppo, cioè la sterile città nella quale portiamo i nostri cani al guinzaglio, non è vita. Ci abituiamo così velocemente al malessere, alla tensione, alle carestie e alle alluvioni che pensiamo che i pezzi di carta che teniamo in tasca possano sostituire un corpo sano e una mente gioiosa. Scegliamo di non sapere che, praticamente tutte le nostre malattie sono causate dalla mutilazione e dall’uccisione di animali: dai 70.000 acri di foresta pluviale del Sudamerica abbattuti ogni giorno – che in gran parte servono per far pascolare il bestiame – fino al virus Ebola, proveniente dalle scimmie strappate dal loro habitat naturale in Africa allo scopo di fare esperimenti. Abbiamo ottenuto più cibo uccidendo i lombrichi con le nostre sostanze chimiche o abbiamo ottenuto più malattie? Abbiamo ottenuto una salute vigorosa allevando forzatamente bestiame per il latte e la carne, o abbiamo piuttosto ottenuto emissioni di gas metano che hanno contribuito enormemente all’effetto serra, mettendo in pericolo la vita del pianeta? Continua...

LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE
LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE

di Lester Brown

Per creare una economia sostenibile bisognerà sostenere una rivoluzione ambientale, come è avvenuto per quella agricola e industriale. Alla fine del libro Piccolo è bello, Schumacher parla di una società che violenta la natura e danneggia gli esseri umani e, da quando queste parole sono state scritte, diciotto anni fa, abbiamo potuto vedere con maggiore evidenza i modi con i quali la nostra società agisce proprio in quella direzione.Mi trovavo all’aeroporto di Dulles e presi una copia del US News and World Report, che conteneva un editoriale di David Gergen, un alto funzionario dell’Ufficio Stampa di Reagan alla Casa Bianca. L’articolo descriveva quello che stava accadendo oggi alla società americana e l’autore affermava che, in un certo senso, abbiamo perso la strada. Continua...

RISPETTA LA (TUA) NATURA
<b>RISPETTA LA (TUA) NATURA </b> Michele Vignodelli

Il nostro corpo e la nostra mente sono meraviglie naturali in pericolo, da difendere come le foreste, i fiumi, il mare e le montagne. Sono continuamente aggrediti dal sistema tecnologico ed economico che ci governa, proprio come il resto del mondo naturale.
Non potremo mai rispettare e vivere veramente la suprema bellezza e armonia della natura esterna se non cominciamo da noi stessi. Eppure esiste una spaventosa ignoranza sulla nostra natura interna, che fa pensare a una congiura del silenzio.
Negli ultimi anni sono emerse abbondanti prove dell’esistenza di
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RICORDO DI IVAN ILLICH
RICORDO DI IVAN ILLICH


di Giannozzo Pucci *

Il primo libro di Illich, pubblicato alla fine degli anni '60, riguarda appunto la Chiesa nel processo di trasformazione della società moderna (The Church, change and development).
Il secondo, del 1970, intitolato "Celebration of Awareness (Celebrazione della consapevolezza": un appello alla rivoluzione istituzionale), è contro le certezze delle istituzioni che imprigionano l'immaginazione e rendono insensibile il cuore.
Poi, nel 1971, esce "Descolarizzare la società", che è stato al centro del dibattito pedagogico internazionale con la tesi che la scuola produce la paralisi dell'apprendimento e danneggia i ragazzi, educandoli a diventare meri funzionari della macchina sociale moderna. Convinto che il sistema educativo occidentale fosse al collasso sotto il peso della burocrazia, dei dati e del culto del professionalismo, combatteva i diplomi, i certificati, le lauree,
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LA VENDETTA DI GAIA
LA VENDETTA DI GAIA

di James Lovelock

La vendetta di Gaia : assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Per millenni abbiamo vissuto con la strategia del parassita, ai danni dell'organismo vivente che ci ospita. Ora, assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Il parassita e' un essere che vive a spese di un altro organismo. Se ne nutre, cresce, si riproduce e prospera. Eppure, la sua non e' una strategia lungimirante. Le energie dell'organismo ospite diminuiscono giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Finche' un giorno accade l'inevitabile: l'organismo ospite si avvia a una fine certa. E il parassita, senza risorse, e' destinato a scomparire. Questa immagine e' la perfetta metafora della storia della specie umana. A dimostrarlo sono i fatti. Migliaia di anni di occupazione del pianeta hanno provocato distruzione degli habitat, estinzione di molte specie, emissioni record di gas serra in atmosfera e nubi di polveri sottili nell'emisfero nord e sulle metropoli. Un'aggressione prolungata alla quale la Terra ora reagisce innescando una lunga serie di disastri naturali, quali inondazioni e uragani, sempre piu' numerosi e violenti, ed eventi climatici estremi, come estati torride e punte di freddo anomalo. Il pianeta che abitiamo non ha piu' anticorpi per difendersi. E allora attacca.
Lo sostiene a gran voce uno scienziato autorevole e indipendente, James Lovelock, nel suo nuovo libro, The revenge of Gaia (La vendetta di Gaia) in uscita il 2 febbraio in Gran Bretagna! . Il nostro mondo, afferma, potrebbe avere superato il punto d! i non ritorno: la soglia oltre la quale non possiamo fare piu' nulla per evitare che, entro la fine del secolo, i cambiamenti causati dall'attivita' umana distruggano la nostra civilta' Continua....
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ADATTAMENTO PROFONDO: COME AFFRONTARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO


 
di Jem Bendell

(Abstract) Lo scopo di questo conceptual paper2 è di fornire ai lettori uno strumento per ripensare il proprio lavoro e la propria vita consapevoli dell’ormai inevitabile collasso sociale verso cui il cambiamento climatico ci sta portando.

L'approccio del documento verte sull’analisi degli studi più recenti sul cambiamento climatico e sulle sue conseguenze per i nostri ecosistemi, per le nostre economie e per le nostre società realizzati da riviste e pubblicazioni accademiche provenienti da istituti di ricerca.

La conclusione di questo studio, in sintesi, è che ci sarà un collasso sociale nel breve termine con gravi conseguenze nella vita di ogni persona. Il documento passa in rassegna alcuni dei motivi per cui il negazionismo sul cambiamento climatico esiste in particolare nelle professioni di ricerca epratica della sostenibilità portando alle argomentazioni qui presentate finora assenti nella letteratura prodotta su questi campi.

Questo articolo offre inoltre una nuova meta-definizione delle implicazioniper la ricerca, per la pratica organizzativa, per lo sviluppo personale e per la politica pubblica chiamata Agenda per l’Adattamento Profondo (Deep Adaptation Agenda). Proseguendo nella lettura verranno spiegati concetti chiave del programma di resilienza, rinuncia e ripristino. Questo programma non cerca di basarsi sulle conoscenze già esistenti sull'adattamento climatico, dal momento che introduce un nuovo punto divista per cui risulta ormai inevitabile il sopraggiungere di un collasso sociale.

L'autore ritiene che questo sia uno dei primi articoli nel campo della gestione della sostenibilità dove si conclude che il collasso sociale indotto dal clima sia ormai inevitabile nel breve termine e invita per questomotivo gli studiosi a esplorarne le implicazioni.

INTRODUZIONE
Possono i professionisti nel management della sostenibilità, della politica e della ricerca - me compreso - continuare a lavorare con il presupposto o la speranza di poter rallentare i cambiamenti climatici o di reagire adeguatamente per sostenere la nostra civiltà?

Man mano che le informazioni inquietanti sul cambiamento climatico mi si sono palesate davanti non potevo più ignorare questa domanda e ho quindi deciso di investire due mesi all’analisi degli ultimi studi sul clima. Quando ho iniziato a concludere che non è ormai più possibile ragionare su questopresupposto o coltivare speranze, mi sono posto una seconda domanda: all’interno dei loro lavori, i professionisti del settore della sostenibilità stanno discutendo la possibilità che sia troppo tardi per evitare una catastrofe ambientale con le sue relative conseguenze?

Una rapida revisione della letteratura ha rivelato che i miei colleghi professionisti non hanno pubblicato lavori che esplorino o partano da questa prospettiva. Ciò mi ha portato a una terza domanda: perché i professionisti del settoredella sostenibilità non stanno esplorando questo problema di fondamentale importanza per tutto il nostro campo e per le nostre vite personali?

Per rispondere a questo terzo quesito ho attinto all'analisi psicologica, alle conversazioni con i colleghi, alle recensioni dei dibattiti tra ambientalisti nei social media e all'auto-riflessione sulla mia stessa reticenza. Arrivato alla conclusione che sia necessario promuovere la discussione sulle implicazioni di un collasso sociale innescato da una catastrofe ambientale, mi sono quindi posto una quarta domanda: quali sono le modalità con cui le persone parlano di collasso all’interno dei social media?

Ho identificato una varietà di concettualizzazioni e, infine, da quelle mi sono chiesto: che cosa potrebbe fornire una mappa utile alle persone per essere guidate in un problema così complesso? Ho attinto perciò ad una serie di letture ed esperienze nel corso dei miei 25 anni di esperienza nel campo della sostenibilità per delineare un programma che ho definito Adattamento Profondo (Deep Adaptation) al cambiamento climatico.

Il risultato di queste cinque domande è racchiuso in questo articolo che non si inserisce a un insieme specifico di letteratura o di pratica nel vasto campo della gestione e delle politiche sulla sostenibilità, ma che piuttosto mette in discussione le basi per impostare il lavoro in questo campo: non cerca di inserirsi all’interno delle già esistenti ricerche, politiche o pratichesull'adattamento climatico, dal momento che ho scoperto che ciò significherebbe rimanere incastrati nell'idea che possiamo gestire gli impatti di un clima che cambia sulle nostre situazioni fisiche, economiche,sociali, politiche e psicologiche. Invece, questo articolo può contribuire a futuri lavori su gestione e politica sostenibile più per sottrazione che per aggiunta.

Con ciò intendo l'implicazione che voi possiate avere il tempo difare un passo indietro per considerare "cosa succederebbe se" l'analisi di queste pagine fosse vera, per permettervi di soffrire e per superare sufficientemente le tipiche paure che tutti abbiamo, per trovare significato in nuovi modi di essere e agire. Ciò potrebbe avere luogo nel campo accademico o manageriale, o in qualsiasi altro campo questa realizzazionevi conduca.

Innanzitutto, spiegherò brevemente la scarsità di ricerche che considerano o partono dal collasso sociale causato da catastrofi ambientali e analizzerò il lavoro attualmente esistente in questo campo che molti lettori potrebbero considerare rilevante.
In secondo luogo, riassumerò gli aspetti che considero essere più importanti nella scienza del clima degli ultimi anni e come essa stia portando sempre più personea concludere che affronteremo cambiamenti distruttivi nel breve termine.
In terzo luogo, illustrerò come tale prospettiva sia emarginata negli ambienti dei professionisti del settore ambientale e vi inviterò quindi a considerare il valore di abbandonare le conoscenze convenzionali sull’argomento.
In quarto luogo, delineerò come le persone sui social network più rilevanti stiano considerano questa nostra situazione come se ci trovassimo di fronte ad un collasso, una catastrofe o ad un'estinzione e come queste opinioni inneschino diverse emozioni e idee.
In quinto luogo, delineerò un’Agenda per l’Adattamento Profondo (Deep Adaptation Agenda) per orientare le discussioni su cosa potremmo fare una volta riconosciuto il cambiamento climatico come una tragedia che si sta sviluppando. Infine, fornirò alcuni suggerimenti su come questo programma potrebbe influenzare la nostra ricerca e il nostro insegnamento futuro nel campo della sostenibilità.

Come ricercatori e professionisti riflessivi, abbiamo l'opportunità e l'obbligo di non fare solo ciò che si aspettano i nostri datori di lavoro e lenorme della nostra professione, ma anche di riflettere sulla rilevanza del nostro operato all'interno dell’intera società.

Sono consapevole che alcune persone considerano irresponsabile, da parte degli accademici, dichiarare che stiamo per affrontare un inevitabile collasso sociale a breve termine, a causa del potenziale impatto che tale lettura potrebbe avere sulla motivazione o sulla salute mentale dei lettori.

La mia ricerca e il mio impegno nel dialogo su questo argomento, che cercherò di illustrare inquesto documento, mi portano a concludere esattamente l'opposto. È un atto responsabile comunicare questa analisi ora e invitare le persone a sostenersi a vicenda, me compreso, nell'esplorazione delle sue tante conseguenze, incluse quelle psicologiche e spirituali.

CONTESTUALIZZAZIONE IN AMBITO ACCADEMICO
Quando si discutono le prospettive negative sul cambiamento climatico e le sue implicazioni per la società umana, la risposta è spesso quella di cercare indizi inserendo queste informazioni nel contesto. Si ritiene spesso che questo contesto si trovi nel bilanciamento con le altre informazioni inpossesso.

Poiché le informazioni sulla nostra situazione climatica sono così negative, l'equilibrio si trova spesso nel mettere in evidenza informazionipiù positive sui progressi nell’agenda della sostenibilità. Questo processo di "bilanciamento" è un'abitudine della nostra mente informata e ragionante. Ciò, tuttavia, non lo rende un mezzo logico di deliberazione se le informazioni positive condivise non si riferiscono alla situazione descritta dalle informazioni negative.

Per esempio, discutere dei progressi nelle politiche sanitarie e di sicurezza della White Star Line con il capitano del Titanic mentre stava affondando nelle gelide acque del Nord Atlantico non sarebbe stato un uso ragionevole del tempo. Tuttavia, poiché questo "bilanciamento" è spesso il modo in cui le persone rispondono a discussioni della portata e della urgenza della nostra tragedia climatica, riconosciamo innanzitutto le notizie positive nel più ampio programma disostenibilità.

Certamente, ci sono stati progressi nell’affrontare la questione ambientale negli ultimi decenni, a partire dalla riduzione dell'inquinamento, alla conservazione degli habitat, fino alla gestione dei rifiuti. Negli ultimi venti anni sono stati compiuti notevoli sforzi per ridurre le emissioni di carbonio, una parte dell'azione per il clima ufficialmente definita "mitigazione" (Aaron-Morrison et al., 2017). Sono stati fatti molti passi avanti sulla gestione del clima e del carbonio, dalla consapevolezza, alle politiche, alleinnovazioni (Flannery, 2015). Tuttavia, devono essere prese misure più estese e più rapide. Ciò è diventato sempre più possibile grazie all’accordo raggiunto nel dicembre 2015 al Vertice Inter governativo sulClima della COP21 e ultimamente grazie al recente significativo impegno cinese sulla questione.

Sostenere il mantenimento e il ridimensionamento di questi sforzi è essenziale. Stanno inoltre aumentando le azioni sul fronte dell'adattamento ai cambiamenti climatici come le difese contro le inondazioni, le norme urbanistiche e i sistemi di irrigazione (Singh et al,2016). Sebbene possiamo elogiare questi sforzi, la loro esistenza non impattano sul modo in cui i cambiamenti climatici impattano la nostra situazione. 

Piuttosto che partire da teorie esistenti sul business sostenibile, questo articolo si concentra su un fenomeno. Questo fenomeno non è il cambiamento climatico in sé, ma lo stato del cambiamento climatico nel 2018, che visto alla luce di una nuova revisione della ricerca, indica che siamo diretti verso il collasso sociale a breve termine.

Il gap nella letteratura che questo articolo potrebbe iniziare ad affrontareè la mancanza di discussione negli studi e nella pratica del management della fine dell'idea che possiamo ancora risolvere o far fronte ai cambiamenti climatici.

Nel Sustainable Accounting Management and Policy Journal (SAMPJ), a cui questo articolo è stato originariamente presentato, non è mai stato discusso questo punto di vista, se si esclude ilmio stesso articolo (Bendell, et al, 2017). Tre articoli menzionano di sfuggita l'adattamento climatico e solo uno si dedica a considerare comeperfezionare i metodi di irrigazione in agricoltura (de Sousa Fragoso et al,2018)3.

Organization and Environment è una rivista leader per la discussione delleripercussioni climatiche sulle organizzazioni e viceversa, dove fin dagli anni '80 sono discusse sia le posizioni filosofiche e teoriche sull'ambientesia le implicazioni a livello organizzativo o gestionale. Ciononostante, la rivista non ha pubblicato alcun documento di ricerca che esplori le teorie ele implicazioni del collasso sociale causato dalla catastrofe ambientale4.

Tre articoli menzionano l'adattamento climatico. Due di questi hanno l'adattamento come sfondo, ma come obiettivo principale esplorano altrequestioni, in particolare l'apprendimento sociale (Orsato, et al 2018) el'apprendimento in rete (Temby et al, 2016). Solo un articolo in quella rivista affronta l'adattamento climatico come tema principale con le relative implicazioni per l'organizzazione. Nonostante sia un utile sommario di quanto siano difficili tali implicazioni per la gestione, l’articolonon esplora le conseguenze di un collasso sociale generalizzato (Clémente Rivera, 2016).

Lontano dagli studi di management, il materiale sull'adattamento climatico è ampio (Lesnikowski, et al 2015). Dando i numeri, una ricercasu Google Scholar restituisce oltre 40.000 risultati con la query "climateadaptation". Per rispondere alle domande che mi sono posto in questo articolo, non esaminerò quel campo e le conoscenze già esistenti. Perché no? La risposta è che il campo dell'adattamento climatico è orientato su un percorso volto a mantenere le nostre società invariate mentre affrontano perturbazioni climatiche gestibili (ibid).

Il concetto di adattamento profondo (deep adaptation) corrisponde con quel programma per quel che riguarda la necessità di accettare il cambiamento, ma rompe con esso per il fatto che prende come punto di partenza l'inevitabilità del collasso della società (come spiegherò più avanti).

IL NOSTRO MONDO NON LINEARE
Lo scopo di questo documento non è quello di esaminare dettagliatamente tutti i recenti studi sul clima. Tuttavia, ho riesaminato laletteratura scientifica degli scorsi anni ancora caratterizzata da una grande incertezza, quindi ho reperito gli ultimi dati dagli istituti di ricerca. In questo capitolo riporterò i risultati più aggiornati, per stabilire la premessa che è tempo di considerare tutte le implicazioni del fatto che adoggi siamo in ritardo per scongiurare una catastrofe ambientale globale nel corso dell’esistenza delle persone in vita ad oggi.

La semplice evidenza di un aumento globale della temperaturaambientale è indiscutibile. Da 136 anni a questa parte, 17 dei 18 anni più caldi registrati si sono verificati dal 2001 in avanti e le temperature globalisono aumentate di 0,9°C dal 1880 (NASA / GISS, 2018). Nell'Artico, dove ilriscaldamento è più eclatante, la temperatura della superficie terrestre del2016 era di 2,0°C sopra la media del 1981-2010, dato che ha superato iprecedenti record del 2007, 2011 e 2015 di 0,8°C, con un aumento complessivo di 3,5°C da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1900 (Aaron- Morrison et al, 2017);

Questi dati sono abbastanza facili da raccogliere e non ampiamente contestati, quindi sono recepiti rapidamente e trovano la loro strada nellepubblicazioni accademiche. Tuttavia, estrapolare il senso delle implicazioni del riscaldamento a livello ambientale e sociale richiede dati in tempo reale sulla situazione attuale e sulla direzione a cui ci stiamo avviando. Il cambiamento climatico e gli impatti associati sono stati, come vedremo, significativi negli ultimi anni.

Pertanto, per cogliere nel dettaglio la nostra situazione è necessario guardare direttamente agli istituti di ricerca, ai ricercatori e ai loro siti web per le informazioni più recenti. Ciò significa utilizzare - senza farvi esclusivo affidamento - articoli di riviste accademiche e le relazioni prodotte man mano dal Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Questa istituzione internazionale ha svolto un lavoro prezioso sul tema, seppur abbia la tendenza a sottostimare significativamente il ritmo del cambiamento piùminuziosamente previsto negli ultimi decenni da eminenti scienziati delclima.

Pertanto, in questa sede, attingerò da una gamma di fonti con focus suidati a partire dal 2014 in avanti. Questo perché, sfortunatamente, i dati raccolti da allora sono spesso coerenti con le modificazioni non lineari del nostro ambiente. I cambiamenti non lineari sono di fondamentale importanza per comprendere i cambiamenti climatici in quanto suggeriscono sia che gli impatti saranno molto più rapidi e gravi delle previsioni basate su proiezioni lineari, sia che i cambiamenti non sono più correlati al tasso di emissioni antropogeniche di carbonio. In altre parole quelli che stiamo vivendo sono "cambiamenti climatici fuori controllo“.

Il riscaldamento dell'Artico ha suscitato una più ampia sensibilizzazionepubblica dal momento in cui hanno iniziato a destabilizzarsi i suoi venti nell'atmosfera più elevata, in particolare le correnti d’alta quota e il vortice polare settentrionale, che hanno portato a movimenti estremi diaria più calda a nord dell'Artico e aria fredda a sud. Ad un certo punto all'inizio del 2018, le registrazioni di temperatura dall'Artico erano 20°C sopra la media per quella data (Watts, 2018).

Il riscaldamento dell’Artico ha portato a una drammatica perdita di ghiaccio marino, la cui estensione media di settembre è diminuita del 13,2% per decennio dal 1980, così che oltre i due terzi della copertura di ghiaccio sono ad oggi scomparsi (NSIDC/ NASA, 2018). Questi dati sono resi più preoccupanti dai cambiamenti nel volume del ghiaccio marino nell’Artico, che è un indicatore della resilienza della calotta glaciale al futuro riscaldamento atmosferico e alle tempeste.Tale volume ha raggiunto livelli minimi nel 2017, mantenendo un trenddecrescente negli anni successivi (Kahn, 2017).

Con la riduzione del fenomeno di riflessione dei raggi solari sulla superficie dei ghiacci bianchi, si prevede che un Artico senza ghiaccio aumenti il riscaldamento globale in misura considerevole. Scrivendo nel 2014, gli scienziati hanno calcolato che questo cambiamento forzato derivi al 25%dall'aumento di temperatura causato dalla CO2 negli ultimi 30 anni (Pistone et al, 2014).

Ciò significa che potremmo rimuovere un quarto delle emissioni cumulative di CO2 degli ultimi tre decenni che verrebbe già superato dalla perdita della potenza riflettente del ghiaccio artico. Unodei più eminenti scienziati climatici del mondo, Peter Wadhams, ritiene che un Artico senza ghiaccio si avvererà durante un'estate nei prossimi anni e che probabilmente questo fenomeno farà aumentare del 50% il riscaldamento causato dalla CO2 prodotta dall'attività umana (Wadhams ,2016).5 Di per sé, ciò rende i calcoli dell'IPCC ridondanti, insieme agli obiettivi e alle proposte dell'UNFCCC.

Tra il 2002 e il 2016, la Groenlandia ha perso circa 280 gigatonnellate di ghiaccio all'anno, e le aree costiere e di bassa quota dell'isola hannosubito fino a 4 metri di perdita di massa di ghiaccio (in termini di altezzad’acqua equivalente) nel giro di quattordici anni (NASA, 2018). Insieme ad altri scioglimento del ghiaccio terrestre e alla dilatazione termica dell'acqua, ciò ha contribuito a un aumento medio del livello medio delmare di circa 3,2 mm l’anno, con un incremento complessivo di oltre 80 mm dal 1993 (JPL / PO.DAAC, 2018). Ipotizzare ogni anno una cifra significa rappresentare un aumento di tipo lineare, cioè l’ipotesi avanzata dall'IPCC e da altre organizzazioni nell’iter previsionale.

Tuttavia, i dati recenti mostrano che la tendenza al rialzo non è lineare (Malmquist,2018). Ciò significa che il livello del mare è in aumento a causa di aumenti non lineari nello scioglimento del ghiaccio terrestre.

I fenomeni osservati che interessano le temperature attuali e i livelli del mare hanno una maggiore entità rispetto a quelli che i modelli climatici

Questo è stato corretto da “raddoppiato” scritto in una versione precedente degli ultimi decenni prevedevano per i nostri tempi. Essi corrispondono a cambiamenti non lineari del nostro ambiente che hanno poi innescato impatti incontrollabili sull’habitat umano e sull'agricoltura, con conseguenti impatti complessi sui sistemi sociali, economici e politici.Tornerò alle implicazioni di queste tendenze dopo aver elencato alcuni degli impatti che sono già stati segnalati per come si verificano oggi.

Si vedono giá gli impatti sulle tempeste, sulla siccità e sulla frequenza esulla forza delle alluvioni, dovute ad una maggiore volatilità data dallamaggiore energia presente nell'atmosfera (Herring et al, 2018). Stiamo assistendo agli impatti negativi anche sull'agricoltura. Il cambiamento climatico ha ridotto la crescita nei rendimenti delle colture dell’1-2% a decennio nel corso del secolo scorso (Wiebe et al, 2015).

La Food and Agriculture Organisation (FAO) dell’ONU riferisce che le anomalie meteorologiche legate al cambiamento climatico stanno costando miliardidi dollari all'anno e la crescita di questi numeri è esponenziale. Per ora,l'impatto è calcolato in denaro, ma le implicazioni nutrizionali sono il punto chiave (FAO, 2018).

Stiamo anche assistendo a impatti sugli ecosistemi marini con circa la metà delle barriere coralline del mondo che sono già morte negli ultimi 30 anni a causa di vari fattori contingenti, mal’aumento delle temperature e l’acidificazione più elevata dell’acquacausate dalle maggiori concentrazioni di CO2 negli oceani rappresentanoil fattore chiave (Phys.org, 2018).

Nei dieci anni precedenti al 2016, l'Oceano Atlantico ha assorbito il 50% in più di anidride carbonica rispettoal decennio precedente, accelerando sensibilmente l'acidificazione dell'oceano (Woosley et al, 2016). Questo studio riguarda gli oceani di tutto il mondo e la conseguente acidificazione degrada la base della catena alimentare marina, che, così facendo, riduce le capacità dellepopolazioni ittiche di riprodursi in tutto il mondo (Britten et al, 2015).

Nel frattempo, gli oceani riscaldati stanno già riducendo le dimensioni dellapopolazione di alcune specie ittiche (Aaron-Morrison et al, 2017). Oltre aqueste minacce alla nutrizione umana, in alcune regioni stiamo assistendo a un aumento esponenziale della diffusione di virus trasmessi dalle zanzare e dalle zecche dal momento che le temperature stanno diventando più favorevoli per la loro proliferazione (ECJCR, 2018).

GUARDANDO AVANTI
Gli impatti che ho appena riassunto incombono già su di noi. Anche senza aumentarne la gravità, nel corso del tempo essi porteranno a conseguenze sempre più gravi verso ecosistemi, suoli, mari e società. È difficile prevedere gli impatti futuri, ma è più difficile non pronosticarli, dal momento che i risultati analizzati oggi corrispondono alle peggiori conclusioni ipotizzate nei primi anni '90, epoca in cui ho studiato per la prima volta come studente i cambiamenti e le previsioni climatiche basate su modelli previsionali all'Università di Cambridge.

I modelli di oggi suggeriscono un aumento del numero e della forza delle tempeste (Herring et al, 2018) e prevedono un declino della normale agricoltura, compresa la produzione di massa di cereali presente nell'emisfero settentrionale e un’interruzione intermittente della produzione di riso neitropici. In Cina, ci si aspetta che ciò si rifletta in decrescite nei rendimenti di riso, frumento e mais rispettivamente del 36,25%, del 18,26% e del45,10% entro la fine di questo secolo (Zhang et al, 2016).

In una proiezione studiata da Naresh Kumar et al. (2014), si prevede che in India si andrà incontro ad una riduzione del rendimento della produzione di grano del 6-23% entro il 2050 e del 15-25% entro il 2080, secondo lo scenario convenzionalmente accettato sul cambiamento climatico. Si prevede che la perdita dei coralli e l'acidificazione dei mari ridurranno dioltre il 50% la produttività ittica (Rogers et al 2017).

I dati sul ritmo di crescita dell’innalzamento dei mari suggeriscono che diventerà presto esponenziale (Malmquist, 2018) causando problemi significativi a miliardi di abitanti delle zone costiere di tutto il mondo (Neumann et al, 2015). Gli scienziati ambientali descrivono la nostra attuale era come il sesto evento di estinzione di massa nella storia del pianeta Terra, con quest’ultimo chesarà causato da noi.

Circa la metà di tutte le piante e delle specie animali nei luoghi con maggior presenza di biodiversità nel mondo sono a rischio estinzione a causa del cambiamento climatico (WWF, 2018). La Banca Mondiale ha riferito nel 2018 che i paesi dovranno prepararsi a trattareoltre 100 milioni di sfollati interni a causa degli effetti del cambiamentoclimatico (Rigaud et al, 2018), oltre a milioni di rifugiati internazionali.

La maggior parte delle persone appartenenti a questo campo -me e voi compresi -sono già a conoscenza dei dati che riguardano la condizione climatica globale. Nonostante ciò, è utile richiamare all’attenzione tali dati semplicemente per stimolare una più consapevole accettazione della situazione attuale. Ciò ha portato alcuni commentatori a descrivere il nostro tempo come una nuova era geologica modellata dagli uomini, l’Antropocene (Hamilton, et al, 2015).

Altri hanno concluso da ciò che dovremmo contemplare una soluzione per vivere in una situazione post­ sostenibile instabile (Benson e Craig, 2014; Foster, 2015). Questa situazione merita di essere ribadita in quanto fornisce le basi per valutareil significato, o meno, di tutti gli ammirevoli sforzi ammirevoli che sonostati avviati e riportati in dettaglio in questo e in altri periodici negli ultimi dieci anni. Cercherò ora di riassumere questo contesto più ampio attraverso un inquadramento di come potrebbe cambiare il lavoro sulla sostenibilità in futuro.

L’opinione scientifica politicamente accettata è che dobbiamo rimanere al di sotto dei 2.0°C di riscaldamento delle temperature ambientali globali per evitare effetti pericolosi e incontrollabili dei cambiamenti climatici chepotrebbero portare a fame di massa, malattie, inondazioni, tempeste distruttive, migrazioni forzate e guerre.

Questa soglia è stata accettata dai governi che dovevano fare i conti con molte pressioni interne e internazionali da parte di svariati interessi acquisiti, soprattutto da parte di società private. Si tratta dunque di una cifra che molti scienziati sconsiglierebbero, considerando che anche solo avvicinarsi ai 2.0°C di innalzamento delle attuali temperature globali provocherebbe la distruzione di molti ecosistemi attualmente esistenti e alimenterebbe svariate altre conseguenze incalcolabili (Wadhams, 2018).

L'IPCC ha concordato nel 2013 che se il mondo non abbasserà le emissioni antropogeniche al di sotto di un totale di 800 miliardi di tonnellate di carbonio è improbabile che rispetteremo la soglia di 2.0°C sopra citata. Per sottrazione, dunque, ci rimangono da immettere in atmosfera soltanto 270 miliardi circa di tonnellate di carbone da bruciare (Pidcock, 2013).

Le emissioni globali totali rimangono di circa 11 miliardi di tonnellate dicarbonio all'anno (ovvero 37 miliardi di tonnellate di CO2). Seppur preoccupanti, questi calcoli danno l'impressione di avere a disposizione almeno ancora un decennio di tempo per invertire questo trend negativo.

La verità è che ci vuole diverso tempo per cambiare un sistema economico in tutta la sua complessità e dunque, se non stiamo già introducendo significative riduzioni di emissioni di CO2 nell’atmosfera, è improbabile che riusciremo a non sforare la soglia accettata sul carbonio. Con un aumento delle emissioni di anidride carbonica del 2% nel 2017, il disaccoppiamento dell'attività economica dagli impegni presi sul frontecarbonio non ha ancora contribuito a ridurre il problema delle emissioni globali (Canadell et al, 2017).

Non siamo quindi sulla buona strada per evitare di superare la soglia di 2.0°C di riscaldamento attraverso la riduzione delle emissioni. Comunque la si guardi, questo il stabilito dall'IPCC sul carbonio è sempre stato controverso da molti scienziati che hanno stimato come la CO2 già esistente nell'atmosfera dovrebbe produrre aumenti della temperatura ambiente globale oltre i 5.0°C. Il “budget” di carbonio a disposizione dunque non esisterebbe in quantosarebbe già stato largamente speso (Wasdell, 2015).

Questa è la ragione per cui alcuni esperti sostengono l’incremento dei lavori per rimuovere antropologicamente carbonio dall'atmosfera attraverso specifici macchinari. Sfortunatamente, l'attuale tecnologia deve essere scalata di 2 milioni di volte entro 2 anni e completamente alimentata da fonti rinnovabili insieme a massicci tagli delle emissioni, per ridurre la quantità di riscaldamento già infiltrata implicita nel sistema (Wadhams, 2018).

Per tutti questi motivi, per la cattura della CO2 gli approcci biologici appaiono molto più promettenti (Hawken e Wilkinson,2017) e includono tra le altre soluzioni il piantamento di alberi, il ripristino di terreni usati in agricoltura e la coltivazione di erba marina e alghe. Essi offrono anche effetti benefici collaterali a livello ambientale e sociale di portata più ampia.

Studi sull’erba marina (Greiner et al, 2013) e sulle alghe marine (Flannery, 2015) indicano che potremmo liberarci immediatamente e continuativamente di milioni di tonnellate di carbonio dall'atmosfera se ci adoperassimo in uno sforzo massiccio per ripristinare praterie e coltivazioni di queste specie. L’ammontare netto che tale sequestro di carbonio porterebbe è ancora in fase di valutazione, ma inalcuni ambienti sarà significativo (Howard et al, 2017). La ricerca sulle pratiche di "pascolo rotazionale a gestione intensiva" (Management-Intensive Rotational Grazing, MIRG), noto anche come pascolo olistico,mostra come un pascolo sano può immagazzinare carbonio.

Uno studio del 2014 ha misurato aumenti annui per ettaro di carbonio nel suolo a 8 tonnellate all'anno nelle aziende agricole convertite a queste pratiche(Machmuller et al, 2015). Il mondo usa circa 3,5 miliardi di ettari di terra per i pascoli e le colture foraggere. Usando le 8 tonnellate di cui sopra,convertire un decimo di quella terra in pratiche MIRG sequestrerebbe un quarto delle emissioni di CO2 attualmente prodotte. Inoltre, anche la pratica di “Sod seeding” applicata in orticoltura potrebbe contribuire significativamente potendo sequestrare fino a due tonnellate di carbonio per ettaro all'anno. È chiaro, quindi, che la nostra valutazione dei bilanci del carbonio deve concentrarsi tanto su questi sistemi agricoli quanto sulla riduzione delle emissioni.

Chiaramente, in questo momento sono necessarie una campagna e un’agenda politica massiccia per trasformare l'agricoltura e ripristinare gliecosistemi a livello globale. Sarà un'impresa enorme dovendo annullare i precedenti 60 anni di sviluppo dell'agricoltura mondiale e inoltre, ciò presuppone che i processi di conservazione di zone umide e foreste esistenti dovrebbero improvvisamente subire un’impennata positiva dopodecenni di insuccessi in tutte le aree al di fuori delle riserve naturali geograficamente limitate.

Anche se ciò avvenisse immediatamente, il riscaldamento e l'instabilità già impliciti nel clima causeranno comunquedanni agli ecosistemi e risulterà quindi difficile per tali soluzioni limitaresignificativamente il livello di emissioni di carbonio globali. Esiste una convinzione per cui siamo già troppo in ritardo per evitare conseguenze agli ecosistemi e ciò è evidenziato dal fatto che la rimozione di CO2dall'atmosfera - utile su larga scala - non limiterebbe danni ingenti allavita marina, da tempo condizionata dall'acidificazione dei mari prodotta dalla dissoluzione di CO2 negli oceani (Mathesius et al, 2015).

Nonostante i limiti di ciò che gli esseri umani possono fare per lavorare afianco della natura per incoraggiare i suoi processi di sequestro del carbonio, il pianeta ci sta comunque aiutando. Un "inverdimento" globale del pianeta ha rallentato significativamente l'aumento del biossido di carbonio nell'atmosfera dall'inizio del secolo: le piante sono cresciute più velocemente e più grandi a causa dell'aumento dei livelli della CO2 nell'aria e delle temperature di riscaldamento che riducono la CO2 emessa dalle piante attraverso la respirazione.

Gli effetti hanno portato la percentuale di emissioni annue di carbonio rimanenti nell'aria a scendereda circa il 50% al 40% nell'ultimo decennio. Tuttavia, questo processo offre solo un effetto limitato poiché il livello assoluto di CO2 nell'atmosfera continua ad aumentare, superando il traguardo di 400 parti per milione (ppm) nel 2015. Dato che i cambiamenti nelle stagioni, le temperature estreme, le inondazioni e la siccità stanno iniziando a influenzare negativamente gli ecosistemi, esiste il rischio che questo effetto di “inverdimento” globale si riduca nel tempo (Keenan et al, 2016).

Queste potenziali riduzioni del carbonio atmosferico grazie ai processi biologici naturali e assistiti sono un fioco raggio di speranza nella nostra buia situazione. Tuttavia, all'incertezza sul loro impatto va aggiunto l’incerto, ma significativo effetto dell'innalzamento del rilascio di metano nell'atmosfera, un gas che consente di intrappolare molto più il calore dai raggi solari rispetto alla CO2, ma che è stato ignorato nella maggior parte dei modelli climatici negli ultimi decenni.

Gli autori del rapporto Global Methane Budget del 2016 hanno rilevato che nei primi anni di questo secolo le concentrazioni di metano sono aumentate di circa 0,5 parti per miliardo (ppb) all'anno, rispetto alle 10 ppb nel 2014 e 2015. Sono state identificate varie sorgenti, dai combustibili fossili, all'agricoltura fino allo scioglimento del permafrost (Saunois et al, 2016).

Dato la contenziosità di questo argomento nella comunità scientifica, potrebbe essere controverso per me asserire che non c'è consenso scientifico sulle fonti delle attuali emissioni di metano o sul rischio potenziale e sui tempi del suo rilascio dal permafrost superficiale e sottomarino.

Un recente tentativo di trovare un consenso diffuso sulla tematica del metano derivante dalla fusione del permafrost superficiale ha concluso che il suo rilascio si sarebbe verificato nel corso di secoli o millenni e non a partire da questo decennio (Schuur et al., 2015). Eppure, nel giro di tre anni il consenso è venuto a mancare a causa di un esperimento dettagliato che ha dimostrato che se il permafrost si dovesse sciogliere, il che è probabile, allora produrrà quantità significative di metano entro pochi anni (Knoblauch et al, 2018).

È altrettanto probabile che ora il dibattito si concentri sulla possibilità che alcuni microrganismiprosperino in quell'ambiente per consumare il metano e sulle eventualità che ciò possa avvenire in tempo utile o meno a ridurre gli impatti sul clima.

Il dibattito sul rilascio di metano dalle forme clatrate, o dagli idrati di metano congelati, sul fondo del mare Artico è ancora più controverso. Nel 2010 un gruppo di scienziati ha pubblicato uno studio che sottolinea come il riscaldamento dell'Artico potrebbe portare a una velocità e a una velocità di rilascio del metano che sarebbe catastrofica per la vita sulla terra attraverso il l’innalzamento della temperatura atmosferica media di oltre 5.0°C in pochi anni dal suo inizio (Shakhova et al, 2010).

Lo studio ha innescato un acceso dibattito in gran parte mal considerato, forse a causa delle scioccanti conseguenze determinate da questo studio (Ahmed, 2013). Da allora, le questioni chiave al centro di questo dibattito scientifico (su ciò che potrebbe portare alla probabile estinzione della razza umana) comprendono lo stimare il tempo che intercorrerà tra il raggiungimento di una temperatura dell’oceano sufficiente a destabilizzare gli idrati di metano presenti sul fondo del mare e quanto velocemente il metano sarà consumato da microbi aerobici e anaerobici prima che esso raggiunga la superficie immettendosi nell'atmosfera. In una valutazione globale di questo argomento controverso, gli scienziati hanno concluso che non ci sono prove per prevedere un rilascio improvviso di livelli catastrofici di metano nel breve termine (Ruppel eKessler, 2017).

Tuttavia, un motivo chiave che ha portato a questa loro conclusione è stata la mancanza di dati capaci di dimostrare reali aumenti del metano atmosferico sulla superficie dell'Artico, che è in parte ilrisultato della mancanza di sensori capaci di raccogliere tali informazioni. Infatti, la maggior parte dei sistemi di misurazione del metano a livello del suolo sono situati a terra.

Potrebbe essere questo il motivo per cui gli insoliti aumenti delle concentrazioni atmosferiche di metano non possono essere pienamente spiegate dai set di dati esistenti da tutto il mondo?(Saunois et al, 2016) Un modo per calcolare in che misura il metano provenga dai nostri oceani è quello di confrontare i dati provenienti da misurazioni a livello del suolo, che sono per lo più ma non interamente aterra, con misurazioni dell'atmosfera superiore che indicano una mediadelle fonti totali.

I dati pubblicati dagli scienziati del sito Arctic News(2018) indicano che a marzo 2018 ad altitudini medie il metano misurava circa 1865 parti per miliardo (ppb), che rappresenta un aumento dell'1,8%, pari a 35 ppb, rispetto allo stesso periodo del 2017, mentre misurazioni superficiali del metano hanno mostrato un aumento di circa 15 ppb nello stesso periodo. Entrambe le cifre sono coerenti con un modello non lineare - potenzialmente esponenziale - dei livelli atmosferici dal 2007.

Si tratta di dati preoccupanti di per sé, ma la questione piùsignificativa rimane la differenza tra l'aumento misurato a terra e quello osservato a metà altezza, che è coerente con il surplus di metano proveniente dai nostri oceani, che potrebbe a sua volta derivare da idratidi metano.

Questa analisi approfondita degli ultimi studi sul metano è utile considerando la criticità del rischio a cui si riferisce. I numeri suggerisconoche il recente tentativo di consenso sull’alta improbabilità di vedere unmassiccio rilascio di metano proveniente dall'Oceano Artico nel breve termine pare tristemente inconcludente. Nel 2017 gli scienziati che lavoravano in una piattaforma sul mare nella Siberia orientale hanno riferito che lo strato di permafrost si è assottigliato abbastanza da rischiare di destabilizzare gli idrati (The Arctic, 2017).

Questo rapporto sulla destabilizzazione sottomarina del permafrost dalla piattaforma del Mar Artico siberiano orientale insieme alle ultime temperature registratesenza precedenti nella zona e ai dati di incrementi non lineari dei livelli dimetano in alta atmosfera si coniugano per far sembrare il tutto come sefossimo in procinto di giocare ad una roulette russa con l'intera razzaumana... con già due proiettili in canna. Nulla è certo, ma fa rammaricare che la nostra razza sia arrivata a discutere la fondatezza delle analisi sulla sua stessa estinzione nel breve termine.

APOCALISSE INCERTA
Le informazioni profondamente scioccanti sull’andamento dei cambiamenti climatici e dei loro impatti sull'ecologia e sulla società stanno spingendo alcune persone a proporre sperimentazioni di geoingegneria del clima, dalla fertilizzazione degli oceani, in modo dafotosintetizzare più CO2, al rilasciare sostanze chimiche nell'atmosfera superiore per favorire la riflessione dei raggi solari.

In merito al secondo metodo, l'imprevedibilità della geoingegneria del clima sul tema e in particolare i pericoli derivati da eventuali disturbi delle piogge stagionali su cui fanno affidamento miliardi di persone, ne rendono improbabile l'uso (Keller et al, 2014).

La potenziale geoingegneria naturale derivante dall'aumento dei rilasci di zolfo dai vulcani, causato dal rimbalzo isostatico (dovuto alla redistribuzione del peso sulla crosta terrestre) non è in gradodi fornire un contributo significativo alle temperature della terra per decenni o secoli.

È ovvio che non conosciamo il futuro, ma possiamo osservare le tendenze. Non sappiamo se la potenza dell'ingegno umano basterà a cambiare la traiettoria ambientale in cui ci troviamo. Sfortunatamente, gli ultimi anni di innovazione, investimenti e brevetti indicano come l'ingegno dell’uomo sia stato sempre più incanalato nel consumismo e nell'ingegneria finanziaria.

Potremmo pregare di avere più tempo, ma le evidenze suggeriscono che siamo ormai impostati su livelli dirompenti e incontrollabili di cambiamenti climatici che porteranno a fame, distruzione, migrazione, malattie e guerra.

Non sappiamo con certezza quanto possano essere dirompenti gli impatti del cambiamento climatico o dove saranno maggiori gli effetti, soprattutto perché non è possibile sapere come risponderanno i sistemi economici e sociali. Tuttavia, stanno aumentando le prove del fatto che gli impatti saranno catastrofici per i nostri mezzi di sostentamento e per le società incui viviamo. Le norme di comportamento che noi chiamiamo la nostra"civilizzazione" potrebbero anche deteriorarsi.

Quando contempliamo questa possibilità ciò può apparire astratto. Le parole con cui ho concluso il paragrafo precedente possono sembrare che descrivano, almeno inconsciamente, una situazione di cui dispiacersi guardando un notiziario in TV o online, ma quando parlo di fame, distruzione, migrazione, malattiae guerra intendo situazioni che incomberanno nella vostra stessa vita.

Senza energia a disposizione presto non si avrà più acqua che uscirà dai nostri rubinetti, si dipenderà dai nostri vicini per il cibo e per un po’ di calore, la malnutrizione dilagherà, ci sarà incertezza sul restare o fuggire e si avrà paura di essere uccisi violentemente ancor prima di morire di fame.

Queste descrizioni potranno sembrare eccessivamente drammatiche e alcuni lettori potrebbero considerarle una forma di scrittura non accademica (ma qui servirebbe un’interessante riflessione sul motivo ultimo per cui scriviamo). Ho scelto le parole sopra riportate nel tentativo di rompere la convinzione che questa argomentazione sia puramente teorica.

Dal momento che stiamo considerando una situazione dove non esisterebbe più l’editore di questo giornale, dove non esisterebbe più l'elettricità per leggerlo e non esisterebbe più la professione dell’educatore, penso sia ora di infrangere alcune delle convenzioni di questa linea di pensiero.

Tuttavia, alcuni di noi potrebbero essere orgogliosi nel sostenere le norme della società attuale, anche durante il collasso. Anche se alcuni di noi potrebbero credere nell'importanza di conservare le norme di comportamento come indicatori di valori condivisi, altri potrebbero pensare che di fronte al probabile collasso sociale gli sforzi di mantenimento dell’attuale sistema sociale non siano più una priorità pragmatica.

La mia conclusione a questa situazione è che abbiamo bisogno di espandere il nostro lavoro sulla “sostenibilità” per studiare come le comunità, i paesi e l'umanità possano adattarsi ai problemi in arrivo. L'ho soprannominato Agenda per l’Adattamento Profondo (Deep Adaptation Agenda) e serve a creare un contrasto con laportata limitata delle attuali attività di adattamento al clima.

La mia esperienza mi porta a dire che molte persone non concordano conle conclusioni che ho appena condiviso. Quindi, prima di spiegare le implicazioni di questo programma, consideriamo alcune delle risposte emotive e psicologiche alle informazioni che ho appena riassunto.

SISTEMI DI NEGAZIONE
Non sarebbe inusuale sentirsi sgomenti, turbati o rattristati dalle informazioni e dagli argomenti che ho appena esposto. Negli ultimi anni molte persone hanno cercato di convincermi che "non può essere troppo tardi per fermare il cambiamento climatico, perché, se lo fosse, come troveremmo l'energia per continuare a lottare per il cambiamento?". Con prospettive simili verrà sempre negata una realtà possibile perché le persone vogliono continuare a lottare.

Cosa ci dice questo? La “lotta” si basa su una logica di mantenimento delle identità personali legate ai valori sposati. È comprensibile il motivo di questa manifestazione: se uno ha sempre pensato di basare la propria autostima sulla promozione del bene pubblico, le informazioni che sembrano inizialmente negare quell'immagine di sé sono difficili da assimilare.

Questo processo di negazione strategica volto a mantenere il proprio impegno e la propria identità è facilmente rintracciabile nei dibattiti online sulle ultime scienze del clima. Un caso in particolare è emblematico: nel 2017 il New York Magazine ha pubblicato un articolo che raccoglieva gli ultimi dati e le analisi delle possibili conseguenze del rapido riscaldamento climatico su ecosistemi e sull'umanità.

A differenza dei molti articoli accademici che mancano di discussione su questi argomenti, questo popolare articolo ha cercato di descrivere questi processi in modo viscerale (Wallace-Wells, 2017) e la reazione di alcuni ambientalisti non si è concentrata sulla precisione delle descrizioni o sul programma di riduzione di alcuni degli effetti peggiori che sono stati identificati nell'articolo, ma, piuttosto, sul domandarsi se tali idee dovessero essere comunicate al pubblico in generale.

Il climatologo Michael Mann ha messo in guardia dal presentare "il problema come irrisolvibile alimentando un senso di rovina, inevitabilità e disperazione" (in Becker, 2017). Il giornalista ambientale Alex Steffen (2017) ha twittato che "spiattellare la dura verità [...] a lettori non supportati non produce azione, ma paura". In un blog, Daniel Aldana Cohen (2017), un assistente professore di sociologia che lavora sulla politiche climatiche, ha definito il pezzo "pornografia del disastro climatico".

Le loro reazioni riflettono ciò mi è stato detto da alcune persone all’interno di alcuni circoli di ecologi professionisti. L'argomentazione intrapresa è quella per cui è irresponsabile discutere la probabilità e la natura di un collasso sociale causati dai cambiamenti climatici perché potrebbe innescare un meccanismo di disperazione tra il pubblico generalista.

Ho sempre pensato che fosse innaturale smorzare l’esplorazione della nostra realtà e censurare la nostra percezione personale arrovellandosi su come alcune conclusioni potrebbero essere recepite dal pubblico. Dato che questo tentativo di censura è stato così largamente condiviso in campo ambientale nel 2017 merita una maggiore attenzione.

Quattro sono i punti da analizzare a fronte dell’obiezione sollevata da alcuni circa l’opportunità di comunicare o meno la probabilità e la natura della catastrofe che stiamo affrontando. Innanzitutto, è abbastanza comune per le persone leggere i dati mutandone il significato in linea congli interessi loro e di altri piuttosto che oggettivamente con i dati, inquanto tali, suggerirebbero.

Si tratta di un approccio alla realtà tollerabile in tempi di abbondanza, ma controproducente quando si affrontano momenti di crisi. In seconda analisi, cattive notizie e scenari estremi hanno un impatto particolare sulla psiche umana. A volte si tende a trascurare che la comprensione di questo impatto può essere materia diuna discussione informata, svolta attingendo alla psicologia e alle teoriedella comunicazione.

Infatti esistono riviste dedicate alla psicologia ambientale. Vi sono evidenze nella psicologia sociale che suggeriscono che per rendere il cambiamento climatico più sentito e aumentare il supporto alla mitigazione da parte della popolazione basta semplicementeporre l’attenzione sulle sue conseguenze fin da subito (McDonald et al,2015). Ciò non è un dato certo e questo campo è tuttora da scoprire.

Il fatto che autorevoli studiosi o attivisti denuncino le conseguenze di unaretorica senza il sostegno di una teoria specifica o di prove, suggerisceche essi non siano effettivamente motivati a conoscerne l’effetto sul pubblico, ma siano piuttosto attratti da un certo argomento che supporti illoro punto di vista. Una terza intuizione dai dibattiti sull’opportunità di pubblicare o meno informazioni sul probabile collasso delle nostre societàè che a volte le persone possono esprimere una relazione paternalisticatra sé, nel ruolo di esperti ambientali, e "gli altri", che classificano come "ilpubblico". Ciò è collegato all’atteggiamento tecnocratico anti-politico anti-populista che ha pervaso l’ambientalismo contemporaneo.

È una prospettiva che racchiude le sfide come un modo per incoraggiare le persone a cercare di essere più gentili e migliori piuttosto che riunirsi nellasolidarietà per indebolire o abbattere un sistema che ci rende complici del degrado ambientale.

Una quarta osservazione riguarda come la "mancanza di speranza" e le relative emozioni di sgomento e disperazione sono comprensibilmentetemute da molti, ma erroneamente ritenute del tutto negative e/o daevitare a prescindere dalla situazione.

Alex Steffen ha avvertito che "la disperazione non è mai d'aiuto" (2017). Tuttavia, l’antica corrente Perennialista riservava un ruolo significativo alla mancanza di speranza e alla disperazione: le riflessioni contemporanee sulla crescita emotiva e persino spirituale delle persone causata dalla loro mancanza di speranza e dalla disperazione si ricollegano a queste vecchie teorie.

La perdita di una capacità, di una persona cara o di uno stile di vita, o la comunicazione di una diagnosi terminale sono stati tutti descritti, o vissuti personalmente,come stimoli per reinventare sé stessi e interpretare il mondo sotto una nuova prospettiva, grazie proprio al percorso di consapevolezza innescato dalla mancanza di speranza e dalla disperazione (Matousek, 2008).

In un contesto simile, oltretutto, un sentimento come quello della "speranza"non risulta essere positivo da coltivare poiché affonda le sue radici in ciò che si spera. Quando infuriava il dibattito sul valore dell’articolo del NewYork Magazine, tra i vari commentatori che hanno espresso la loro opinione vale la pena citare Tommy Lynch, che scrisse: "abbandonando la speranza che uno stile di vita possa continuare, ci apriamo alla possibilità di speranze alternative" (2017).

Questa necessità di una speranza adatta e utile alla propria situazione è qualcosa che dobbiamo esplorare più a fondo. Jonathan Gosling, teorico della leadership, si è domandato se ci sia bisogno di una speranza radicale all’interno del dibattito sul cambiamento climatico e di un senso crescente di “cose che vanno in frantumi” (Gosling, 2016). Gosling invita a esplorare ciò che potremmo imparare da altre culture che hanno affrontato la catastrofe.

Esaminando come gli indiani nativi americani hanno affrontato il problema delle riserve, un altro studioso, Lear (2008), ha definito ilcosiddetto "punto cieco" di qualsiasi cultura: l'incapacità di concepire la propria distruzione e la possibile estinzione. Nel suo lavoro, Lear ha esplorato il ruolo delle forme di speranza che non hanno comportato negazione o cieco ottimismo.

"Ciò che rende questa speranza radicale, è il suo essere diretta verso una bontà futura che trascende l'attuale capacità di capire in cosa essa consista" (ibid). Spiega inoltre come alcuni dei capi dei nativi americani avevano una forma di "eccellenza immaginativa" nel cercare di immaginare quali valori etici sarebbero stati necessari nel loronuovo stile di vita nella riserva.

Lear suggerisce che oltre al classico dilemma tra libertà o morte (al servizio della propria cultura) esiste un’altra possibilità, meno imponente seppur altrettanto esigente in termini di coraggio: la via dell’"adattamento creativo". Questa forma disperanza creativa può essere rilevante per la nostra civiltà occidentalementre si trova ad affrontare l cambiamenti climatici dirompenti (Goslinge Case, 2013).

All’interno degli studi ambientali o degli studi di management, deliberazioni simili sono scarse e distanti tra loro. Provare a rompere questa semi-censura della nostra comunità di inchiesta sulla sostenibilità è il motivo che mi ha spronato a scrivere questo articolo. Alcuni studi hanno esaminato il processo di negazione più da vicino. Basandosi sul lavoro del sociologo Stanley Cohen, Foster (2015) ha identificato due forme sottili di negazione: quelle interpretative e quelle implicative.

Se accettiamo certi fatti, ma li interpretiamo in modo da renderli "più sicuri" per il nostro modo di ragionare, inneschiamo una forma di "rifiuto interpretativo"; mentre se riconosciamo le preoccupanti conseguenze dicerti eventi, ma rispondiamo occupandoci di attività che non nascono dauna valutazione fedele della situazione, allora stiamo inciampando in un"rifiuto implicativo".

Foster sostiene che il rifiuto implicativo è diffuso all'interno del movimento ambientalista: dal partecipare in un’iniziativa locale come le Città di transizione, al firmare petizioni online, o al rinunciare a volare ci sono infinite possibilità per le persone di "fare qualcosa" senza affrontare seriamente la realtà del cambiamento climatico.

Ci sono tre fattori principali che incoraggiano gli ecologi professionisti a negare che le nostre società collasseranno nel breve termine. Il primo è il modo in cui opera la comunità scientifica naturale. L'eminente scienziato del clima James Hansen ha sempre anticipato la sua impronta conservatrice all’interno delle sue analisi e delle sue previsioni.

Utilizzando una case study sull'innalzamento del livello del mare, Hansen ha puntato il dito sui processi che portano a creare "reticenze scientifiche" per concludere e comunicare scenari che potrebbero disturbare i datori dilavoro, i finanziatori, i governi e il pubblico (Hansen, 2007).

Uno studio più dettagliato di questo processo su questioni e istituzioni ha rilevato che gliscienziati dei cambiamenti climatici sottovalutano abitualmente le conseguenze che comporta propendere "schierarsi dalla parte del dramma minore" (Brysse et al, 2013).

Ció, combinato con le norme dell'analisi e dei rapporti scientifici nel tentativo di rimanere cauti evitando ampollosità, e con il tempo necessario per finanziare, ricercare,produrre e pubblicare studi scientifici sottoposti a revisione paritaria (peer-reviewed), significa che le informazioni a disposizione degli ecologi sullo stato del clima non sono così spaventose come potrebbero essere. In questo articolo ho dovuto comparare informazioni provenienti da articoli sottoposti a revisione paritaria (peer-reviewed) con dati recenti di singoli scienziati e loro istituti di ricerca per fornire le prove che suggeriscono che siamo ora in una situazione di cambiamenti ed effetti climatici non lineari.

Una seconda serie di fattori che portano alla negazione del collasso sociale possono essere di natura personale. Nei suoi lavori, George Marshall ha riassunto le intuizioni della psicologia sulla negazione del clima, inclusa la negazione interpretativa e implicativa di coloro che sonoconsapevoli della situazione, ma che non ne danno priorità. In particolare,ha osservato come, essendo noi esseri sociali, la nostro valutazione di cosa fare sull’informazione è influenzata dalla nostra cultura.

Pertanto, le persone spesso evitano di esprimere determinati pensieri quando vanno contro la norma sociale che li circonda e/o la loro identità sociale. Soprattutto in situazioni di impotenza condivisa, tendiamo a percepire come più sicuro nascondere i nostri punti di vista e non fare nulla qualora ciò minasse al nostro status quo.

Marshall spiega anche come la nostra tipica paura della morte faccia sì che non si presti tutta la nostra attenzione alle informazioni che ce la ricordano. Secondo l'antropologo Ernest Becker (1973) “la paura della morte è al centro di ogni credenza umana".

Marshall tuttavia spiega come "la negazione della morte è una ‘bugia vitale’ che ci porta ad investire i nostri sforzi nel consolidamento delle nostre culture e dei nostri gruppi sociali per ottenere un senso di permanenza e sopravvivenza che vada oltre la nostra morte.

Quindi ­sosteneva Becker -quando scorgiamo richiami verso la morte (ciò che chiama “salienza della morte”) la risposta che tendiamo a dare è quella di difendere i nostri valori e le nostre culture”. Questo punto di vista è stato recentemente esposto come parte della “teoria della gestione del terrore”proposta da Jeff Greenberg, Sheldon Solomon e Tom Pyszczynski (2015). Sebbene Marshall non la consideri direttamente, questi processi si applicherebbero più alla "negazione del collasso" che alla negazione climatica, poiché la morte coinvolge non solo se stessi, ma tutto ciò a cui si potrebbe contribuire. 

Questi processi personali sono probabilmente peggiori per gli esperti di sostenibilità rispetto al pubblico generalista data la tipica fedeltà rivolta dai professionisti alle strutture sociali in carica. La ricerca ha rivelato che le persone che hanno un livello più alto di istruzione formale sono più favorevoli ai sistemi sociali ed economici esistenti rispetto a quelli che hanno meno istruzione (Schmidt, 2000).

Ciò si spiega considerando che le persone che hanno investito tempo e denaro nel progredire verso uno status quo più elevato all'interno delle strutture sociali esistenti sono più inclini a immaginare una riforma di quegli stessi sistemi piuttosto che un loro rovesciamento. Questa situazione è accentuata se assumiamo che il nostro sostentamento, la nostra identità e la nostra autostima dipendono dalla prospettiva che il progresso sulla sostenibilità sia possibile e che noistessi facciamo parte del processo progressivo che lo coinvolge.

Il terzo fattore è di natura istituzionale. Ho lavorato per oltre 20 anni  all'interno a organizzazioni che operano nell’agenda della sostenibilità, nei settori no-profit, privati e governativi e in nessuno di essi esiste un evidente interesse personale/istituzionale di considerare la probabilità ol'inevitabilità del collasso sociale, né per i membri delle associazioni dibeneficenza, né per i consumatori di prodotti, e nemmeno per gli elettoridi un certo partito.

Ci sono alcune aziende di nicchia che trarrebbero beneficio dall’argomento del collasso, portando il consumatore a cercaredi prepararsi acquistando i loro prodotti. Questo campo potrebbe espandersi in futuro su varie scale di preparazione che affronterò di seguito, ma l’inclinazione coltivata nella cultura interna dei gruppi ambientalisti rimane fortemente favorevole ad apparire efficiente ed efficace, anche quando decenni di investimenti e campagne non hanno prodotto un risultato netto positivo sul clima, sugli ecosistemi o su molte specie specifiche.

Diamo un'occhiata alla più grande organizzazione di beneficenza ambientale, il WWF, come esempio di questo processo di generazione del rifiuto implicativo. Ho lavorato per loro quando stavamo cercando di ottenere che tutte le importazioni di prodotti legnosi nel Regno Unitoprovenissero da sole foreste sostenibili entro il 1995. Poi la cosa è si ètrasformata in "foreste ben gestite" entro il 2000. Dopo di che, gli obiettivi sono stati tranquillamente dimenticati, mentre la narrazione potensifonica6 del "risolvere la deforestazione attraverso partnership innovative" è rimasta. Se i dipendenti dei gruppi ambientalisti più importanti del mondo fossero retribuiti in termini di prestazioni, probabilmente ora sarebbero in debito verso i loro membri e donatori. Il fatto che alcuni lettori possano trovare tali commenti scortesi e inutili dimostra come i nostri interessi di educazione, lode e appartenenza.

6 Linguaggio che enfatizza potere e supremazia
all'interno di una comunità professionale possano censurare quelli di noi che cercano di comunicare verità scomode in modi memorabili (come quel giornalista del New York Magazine).
Questi fattori personali e istituzionali significano che gli ecologi potrebbero essere i più lenti a elaborare le conseguenze degli ultimi studi sul clima. Nel 2017, un sondaggio rivolto a oltre 8.000 persone provenienti da 8diversi paesi -Australia, Brasile, Cina, Germania, India, Sud Africa, Regno Unito e Stati Uniti - ha domandato agli intervistati di valutare il loro livello di sicurezza percepito in materia di rischi globali rispetto a due anniprima: il 61% degli intervistati ha dichiarato di sentirsi più insicuro, mentre solo il 18% ha dichiarato di sentirsi più sicuro.

Per quanto riguarda ilcambiamento climatico, il 48% degli intervistati concorda fortemente sul fatto che si possa trattare di un rischio catastrofico globale, mentre il 36%di persone concordare semplicemente la teoria.

Solo il 14% degli intervistati è in disaccordo con l'idea che i cambiamenti climatici presentino un rischio catastrofico (Hill, 2017). Questa prospettiva sul clima può aiutare a spiegare altri dati dell'indagine che suggeriscono notevoli cambiamenti su come le persone classificano la tecnologia, i progressi, laloro società e le prospettive future per i loro figli.

Un altro sondaggio globale del 2017 ha rilevato che solo il 13% del pubblico pensa che il mondo stia migliorando, dato che rappresenta un importante cambiamento rispetto ai dieci anni precedenti (Ipsos MORI, 2017). NegliStati Uniti, i sondaggi indicano che la fede nella tecnologia come forza positiva sta svanendo (Asay, 2013) e questa informazione può riflettere una più ampia messa in discussione dell'idea che il progresso sia semprebuono e possibile.

Un tale spostamento di prospettiva è indicato dai sondaggi d'opinione che mostrano come sempre molte meno personeoggi rispetto all'ultimo decennio reputano che i loro figli avranno un futuromigliore di quello che loro hanno avuto (Stokes, 2017). Un altro indicatore della fiducia della popolazione nel futuro è cogliere le sensazioni che hanno verso le basi della società.

Gli studi continuano a riscontrare che sempre più individui stanno perdendo fiducia nella democrazia elettorale e nel sistema economico (Bendell e Lopatin, 2017). La messa in discussione della vita convenzionale e del progresso si riflette anche nel passaggio che ha interessato tutto il mondo a partire dal 2010 dai valori secolari-razionali ai valori tradizionali (World Values Survey, 2016).

Come si sentono i bambini riguardo al loro futuro? Non ho trovato documentazioni ampie o studi longitudinali sulla reputazione che hanno i bambini riguardo al futuro, tuttavia, il giornalista Banos Ruiz ha chiesto abambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni di dipingere come si aspettano che sia il mondo tra 50 anni e le immagini prodotte dagli intervistati sono state per lo più apocalittiche (Banos Ruiz, 2017). Questa evidenza suggerisce che l'idea che noi "esperti" dobbiamo essere attenti a cosa dire"loro", al "pubblico sprovveduto", può essere un’illusione narcisistica cherichiede rimedio immediato.

Le difficoltà emotive di accettare la tragedia incombente, e che ci riguarda già sotto diversi punti di vista, sono comprensibili. Tuttavia, queste difficoltà devono essere affrontate in modo da poter fornire strumenti attiad esplorare le conseguenze che questa tragedia potrebbe avere sul nostro lavoro, sulle nostre vite e sulle comunità in futuro.

INQUADRAMENTO POST-RIFIUTO
Mentre all'interno dei movimenti ambientalisti cresce sempre più la paura di una catastrofe, alcuni si schierano contro l’attenzione verso la riduzione delle emissioni di carbonio (carbon reductionism) per via del fatto che essa potrebbe limitare la nostra comprensione delle ragioni per cui affrontiamo questa tragedia e di cosa intraprendere a riguardo (Eisenstein, 2018).

Concordo sul fatto che il cambiamento climatico non sia solo un problema di inquinamento, ma anche un indicatore di quanto la psiche umana e la nostra cultura si siano distanziate dal proprio habitat naturale, ma ciò non significa che dovremmo de-priorizzare la situazione climatica a favore di una più ampia agenda ambientale.

Solo iniziando ad accettare che è sempre più possibile una forma di collasso economico e sociale indotto dalla situazione climatica potremo cominciare a esplorare la natura e la probabilità di tale collasso. Ed è qui che scopriamo una gamma di diversi punti di vista. Alcuni inquadrano il futuro come un collasso di questo sistema economico e sociale che non corrisponde necessariamente, però, ad un completo collasso di leggi, ordine, identità e valori.

Alcuni considerano questo tipo di collasso come una potenziale occasione per riportare l'umanità a uno stile di vita post­consumistico che sarebbe più consapevole della relazione tra uomo e natura (Eisenstein, 2013). Alcuni addirittura sostengono che questa riconnessione con la natura genererà possibilità finora inimmaginabili per la nostra difficile situazione.

A volte questa visione è legata ad un’idea spirituale di poter influenzare il mondo materiale in funzione dell'intenzione umana. Ciononostante, la prospettiva che la riconnessione naturale o spirituale potrebbe salvarci dalla catastrofe è una risposta psicologica che si potrebbe analizzare come forma di negazione. Alcuni analisti sottolineano che la natura imprevedibile e catastrofica di questo collasso sarà tale che non renderà possibile la pianificazione di una transizione a livelli collettivi o su piccola scala di un nuovo modo di vivere che potremmo immaginare tollerabile, per non dire bello.

Altri studiosi si spingono ancora oltre e sostengono che i dati possono essere interpretati come indicativi di un cambiamento climatico ora fuori controllo, con l’inevitabile rilascio di metano dal fondale marino che causerà un rapido collasso delle società che innescherà la fusione di alcune delle 400 centrali nucleari oggi presenti nel mondo, portando all'estinzione della razza umana (McPherson, 2016).

L’affermazione che ci troviamo di fronte all'estinzione della razza umana nel breve termine può avvalersi delle conclusioni dei geologi sull'ultima estinzione di massa della vita sulla terradove il 95% delle specie esistenti scomparve a causa del rapido riscaldamento dell'atmosfera provocato dal metano (Lee, 2014; Brand etal, 2016).

Per ciascuno di questi scenari -collasso, catastrofe ed estinzione -le persone indicano diversi gradi di attendibilità. Diverse persone parlando di uno scenario possibile, o probabile o inevitabile. Nelle mie conversazionicon professionisti nel campo della sostenibilità e del clima, e con altri nondirettamente coinvolti, ho scoperto che le persone scelgono uno scenario e una probabilità che dipende non da ciò che i dati e le loro analisi potrebbero suggerire, ma dalla versione che scelgono di abbracciare su questo argomento.

Ciò rispecchia le scoperte nel campo della psicologia che osservano come nessuna persona sia da considerare una pura macchina logica, ma bensì un essere capace di tradurre in storie informazioni sul come e il perché le cose siano connesse tra di loro (Marshall, 2014). Nessuno di noi è immune a questo processo.

Attualmente, ho personalmente scelto di interpretare i dati sotto la prospettiva di un collasso inevitabile, di una probabile catastrofe ambientale e della possibile estinzione della nostra razza umana. Una sempre più crescente comunità di persone conclude che siamo di fronte all’inevitabile estinzione della nostra razza umana e tratta questa prospettiva come un punto di partenza dal quale intraprendere discussionisignificative sulle implicazioni per le nostre vite fin da subito.

Ad esempio,migliaia di persone partecipano a vari gruppi su Facebook accomunati dall’idea dell'estinzione umana ormai vicina. In questi gruppi ho visto come utenti che dubitano di questa teoria vengono denigrati da altri partecipanti per la loro debolezza e illusione. Ciò potrebbe riflettere il modo in cui alcuni di noi potrebbero trovare più facile credere in una storia certa che incerta, specialmente quando questo futuro incerto si discostasse tanto dal nostro quotidiano da risultare complesso da comprendere.

La riflessione sulla fine dei tempi, o escatologia, è una variabile importante dell'esperienza umana e il totale senso di perdita di tutto ciò a cui si possa pensare di contribuire è un'esperienza estremamente potente per molte persone.

Come le persone possano uscire da questa esperienza dipende da molti fattori e sono innumerevoli le possibili soluzioni tra cui la creatività, l’amorevole gentilezza, la trascendenza, la rabbia, la depressione, il nichilismo e l’apatia. Avendo chiara la potenziale esperienza spirituale che l’intuizione dell'imminente estinzione della razza umana può provocare, è possibile risalire ai motivi per cui essa possa rappresentare un elemento unificante per alcune persone.

Nel mio lavoro con studenti adulti, ho scoperto che invitarli a considerare come inevitabile questo collasso, come probabile la catastrofe che si sta avvicinando e come possibile l’estinzione della nostra razza, non li ha portati a sentimenti di apatia o di depressione. Al contrario, in un ambiente di supporto, in cui ci siamo goduti la comunione reciproca, celebrando gli antenati e godendo della natura prima di focalizzarci su queste informazioni e le loro possibili cornici, succede qualcosa di positivo.

Ho osservato una perdita di interesse verso il proprio status quo e una nuova creatività sugli obiettivi su cui concentrarsi in futuro. Nonostante ciò, si verifica una certa confusione, che persiste nel tempo, che accompagna i tentativi di trovare un modo per andare avanti in una società in cui tali prospettive sono rare. La condivisione continua delle implicazioni è preziosa nella fase in cui attuiamo la transizione del nostro lavoro e delle nostre vite.

Un ulteriore fattore per definire la nostra situazione riguarda i tempi, che introducono il tema geografico: dove e quando inizieranno il collasso o lacatastrofe? Quando essi inizieranno ad influenzare il mio stile di vita e quello della società? Sono già iniziati? Sebbene siano difficili da stimare e impossibili da prevedere con certezza, ciò non significa che non dovremmo dare una risposta a queste domande.

Gli ultimi dati sull'aumento della temperatura ai poli e sui fenomeni meteorologici intutto il mondo indicano che stiamo già vivendo cambiamenti drammaticiche avranno un impatto fortemente negativo sull'agricoltura nei prossimi vent'anni. Stiamo dunque già facendo i conti con le conseguenze.

Questo senso di frattura dalle nostre tipiche capacità di nutrire noi stessi e le nostre famiglie e le implicazioni per il crimine e i conflitti nel breve termine aggiunge un altro tassello al caos che ho precedentemente menzionato. Dovreste lasciar tutto e trasferirvi in qualche luogo più adatto all'autosufficienza? Dovreste spendere del tempo a leggere il resto di questo articolo? Dovrei finire di scriverlo? Alcune delle persone che hanno abbracciato l’idea che siamo di fronte ad un’estinzione inevitabile credono che nessuno leggerà questo articolo perché il collasso della nostra civiltà avverrà entro dodici mesi, quando falliranno i raccolti nell'emisfero settentrionale.

Queste persone prevedono un collasso sociale che provocherà crolli immediati delle centrali nucleari, da cui l’estinzione umana come fenomeno a breve termine, a sicuramente non più di cinque anni da oggi. La chiarezza e la drammaticità del loro messaggio ha fatto sì che si coniasse l’espressione Inevitable Near Term Human Extinction, INTHE (“inevitabile estinzione umana nel breve termine”) come una delle frasi più utilizzate online sulle discussioni sul collasso climatico.

Mi intristisce scrivere di questa possibilità. Rimango a bocca aperta, congli occhi lucidi e senza respiro anche dopo quattro anni dalla prima volta in cui ho accettato questo scenario di estinzione a breve termine. Ho visto come l'idea di INTHE possa aiutarmi a ricercare verità, amore e gioia nel quotidiano, che è una cosa meravigliosa, ma anche come essa riesca a farmi perdere interesse nella pianificazione del mio futuro.

La conclusione a cui giungo, però, è sempre la stessa: non ne siamo davvero certi. Ignorare il futuro solo perché è improbabile che possa riservarci qualcosa di negativo potrebbe essere una mossa sbagliata capace di ritorcercisi contro tanto quanto la scelta di fuggire per cercare di creare un’eco­comunità. Però, sappiamo con certezza che continuare a lavorare come abbiamo fatto fino ad ora è peggio: sarebbe come puntarci una pistola alla testa.

Avendo chiaro questo passaggio, possiamo scegliere di esplorare come evolvere, nonostante si tratti di un quesito senza una risposta semplice. Nel mio stato post-rifiuto, che un numero sempre maggiore di miei studenti e colleghi condividono con me, ho capito che avremmo tratto beneficio dalla stesura di mappe concettuali su come affrontare queste domande.

Ho quindi cercato di riassumere le azioni principali che le persone devono necessariamente compiere di fronte alla prospettiva di un collasso sociale inevitabile e di una probabile catastrofe in ciò che hochiamato "Deep Adaptation Agenda”, ovvero “Agenda di Adattamento Profondo”.

L’AGENDA DELL’ADATTAMENTO PROFONDO
I dibattiti e le varie iniziative di adattamento ai cambiamenti climatici sono state considerate inutili da attivisti e legislatori rispetto alla necessità difocalizzarsi sulla riduzione di emissioni di carbonio. La situazione cambiò poi nel 2010, quando l'IPCC si focalizzò su come sostenere società edeconomie nel processo di adattamento ai cambiamenti climatici e in seno all’ONU fu fondato il Global Adaptation Network (GAN), atto a promuovere la condivisione delle conoscenze e la collaborazione su questo tema tra i partecipanti.

Cinque anni dopo, l'accordo di Parigi tra gli Stati membri,produsse il cosiddetto Global Goal on Adaptation (GGA), un "obiettivo globale per l'adattamento" con lo scopo di "rafforzare la capacità adattativa e la resilienza e ridurre la vulnerabilità verso i cambiamenti climatici al fine di contribuire ad uno sviluppo sostenibile e garantire un’adeguata risposta all'adattamento nel contesto del raggiungimento di una temperatura globale fissata" (citato in Singh, Harmeling and Rai, 2016). I vari paesi si sono impegnati a sviluppare National Adaptation Plans (PAN), dei piani di adattamento nazionali, e riferire del loro sviluppo all'ONU

Da allora, i finanziamenti messi a disposizione sul fronte dell'adattamento climatico sono cresciuti, con tutte le istituzioni internazionali per lo sviluppo attive nei finanziamenti destinati alle misure di adattamento. Nel2018, International Fund for Agricultural Development (IFAD), African Development Bank (AfDB), Asian Development Bank (ADB), Global Facility for Disaster Reduction and Recovery (GFDRR) e la World Bank hanno concordato importanti finanziamenti ai governi per aumentare la resilienza all’interno delle loro comunità.

Tra i vari progetti è incluso anche il Green Climate Fund, un fondo creato per fornire assistenza ai paesi a basso reddito. Tipicamente, i progetti includono il miglioramento della capacità dei piccoli agricoltori di far fronte alla variabilità climatica attraverso l'introduzione dell'irrigazione e la capacità degli urbanisti di rispondere all'innalzamento del livello del mare e ai fenomeni di alluvionalità estrema attraverso la reingegnerizzazione dei sistemi di drenaggio (Climate Action Programme, 2018).

Queste iniziative stanno venendo meno rispetto agli impegni presi dai governi negli ultimi 8 anni esi sta così cercando di alimentare maggiormente la promozione delle obbligazioni private nei finanziamenti destinati alle misure di adattamento(Bernhardt, 2018) e di stimolare la filantropia privata su questo tema(Williams, 2018).

In parallelo a questi sforzi, l’egida "Disaster Risk Reduction" dell’agenzia internazionale United Nations International Strategy for Disaster Reduction (UNISDR) sta incrementando sempre di più il suo lavoro sul campo. Il loro scopo è di ridurre il danno causato dalle minacce naturali come terremoti, alluvioni, siccità e cicloni, da una parte riducendo la sensibilità a questi rischi e dall’altra aumentando la capacità di risposta in caso essi si verifichino.
Si tratta di un’azione che richiede un impegno significativo con pianificatori urbani e le amministrazioni locali. Nel settoredegli affari, l’agenda di riduzione dei rischi derivanti dalle catastrofi naturali è trattata dai già consolidati settori del risk management e del business continuity management. Le aziende si chiedono quali potrebberoessere i punti deboli all’interno delle loro catene di valore cercando diridurre le vulnerabilità individuate o la probabilità che qualcosa non funzioni.

Considerando le conoscenze climatiche precedentemente discusse, qualcuno potrebbe pensare che questa azione sia troppo marginale etardiva. Ciononostante, se azioni simili riducessero anche solo temporaneamente alcuni danni non dovrebbero essere ignorate in quanto andrebbero a beneficio di ciascuno di noi la loro implementazione. Nonostante ciò che è stato detto, si possono osservare criticamente leazioni e i limiti che persone e organizzazioni stanno delineando intorno a questa situazione.

Le iniziative vengono in genere descritte come promotrici di "resilienza" piuttosto che di sostenibilità. Alcune definizioni diresilienza nel settore ambientale sono sorprendentemente ottimistiche,come ad esempio quella dello Stockholm Resilience Center (2015) chedefinisce la resilienza come “la capacità di un sistema, che si tratti di un individuo, di una foresta, di una città o di un'economia, di affrontare il cambiamento e continuare a svilupparsi, nonché come gli umani e lanatura possono sfruttare shock e perturbazioni come una crisi finanziaria
o dei cambiamenti climatici per stimolare il rinnovamento e il pensiero innovativo”.

Nell'offrire questa definizione, lo Stockholm Resilience Center si basa su concetti di biologia, dove vengono osservati ecosistemi sollecitati a superare perturbazioni del loro equilibrio e aumentare la lorocomplessità (Brand e Jax, 2007).

A questo punto sono due i problemi richiedono maggiore attenzione. In primo luogo, l’ottimistica devozione verso "sviluppo" e "progresso" che molti discorsi sulla resilienza accolgono potrebbe non essere utile entrando in un periodo in cui il "progresso" materiale potrebbe non essere più possibile e perseguirlo potrebbe diventare controproducente. In secondo luogo, a parte lo sviluppo limitato di alcune soft skill, le iniziative riguardanti la resilienza sono quasi tutte incentrate sull'adattamento fisicoai cambiamenti climatici piuttosto che sulla considerazione di una piùampia prospettiva a livello psicologico.

In psicologia, "la resilienza è il processo per adattarsi positivamente alle avversità, ai traumi, alle tragedie, alle minacce o a significative fonti di stress, come problemifamiliari e di relazione, seri problemi di salute o difficoltà sul luogo dilavoro o finanziarie. Significa "rimbalzare" da esperienze difficili" (American Psychology Association, 2018). Il modo in cui una persona siriprende (“rimbalza”) in seguito a difficoltà o perdite, può avvenire attraverso una reinterpretazione creativa della sua identità e delle suepriorità. Il concetto di resilienza in psicologia, quindi, non presuppone che le persone ritornino a come erano prima.

Di fronte alla situazione climatica che stiamo affrontando, questa inquadratura meno progressista  del concetto di resilienza risulta essere particolarmente utile in un programma di adattamento più profondo.

Cercando di costruire una mappa concettuale per un "adattamento profondo", la resilienza delle società umane può essere immaginata comela capacità di adattarsi a circostanze mutevoli in modo da sopravviverecon norme e comportamenti apprezzati. Dato che gli analisti concordanosempre più che un collasso sociale sia inevitabile, la domanda ora è quali siano le norme e i comportamenti apprezzati che le società umane vorranno mantenere mentre cercano di sopravvivere.

Un adattamento profondo dunque implicherà ben più di una mera "resilienza". Giungiamo qui ad una seconda area di questo programma, che ho chiamato “rinuncia" (relinquishment) e che coinvolge persone e comunità che abbandonano determinati beni, comportamenti e credenze laddove il loromantenimento potrebbe peggiorare le cose.

Alcuni esempi sono l’abbandono delle zone costiere, la chiusura di strutture industriali vulnerabili o la rinuncia a determinati tipi di consumo. La terza area può essere chiamata "ripristino" (restoration) e coinvolge persone e comunità che riscopriranno atteggiamenti e approcci alla vita e all'organizzazione che la nostra civiltà alimentata dagli idrocarburi ha eroso sempre più nel tempo. Alcuni esempi includono la rinaturalizzazione di paesaggi cheforniranno più benefici ecologici e meno impegno manageriale, continuare a modificare la propria dieta a seconda delle stagioni stagioni, il riscoprire forme di gioco non elettroniche e aumentare la produttività e il supporto a livello comunitario.

In questo documento non ho intenzione di delineare minuziosamente leimplicazioni di un programma di adattamento profondo. È effettivamente impossibile farlo e provarci porterebbe solo a pensare di trovarci in una situazione gestibile attraverso tentativi calcolati, quando invece stiamo affrontando una situazione talmente complessa da essere al di fuori delle nostre possibilità previsionali.

Piuttosto, spero che gli elementi di resilienza, rinuncia e ripristino di questa agenda di adattamento profondopossano fornire un quadro utile da cui partire nel dialogo comunitario peraffrontare i cambiamenti climatici. La resilienza ci pone davanti alla domanda: "come manteniamo ciò che vogliamo davvero mantenere?"; la rinuncia ci interroga su: "che cosa dobbiamo lasciare indietro per non peggiorare le cose?"; e infine il ripristino ci permette di ragionare nell’ottica di: "cosa possiamo recuperare che ci possa aiutare contro le difficoltà e tragedie in arrivo?”.

Nel 2017, questo programma di adattamento profondo è stato utilizzato per organizzare un “festival delle alternative” organizzato dalla Peterborough Environment City Trust che consisteva in un'intera giornata dedicata all'esplorazione degli effetti del concetto di rinuncia che, in quanto tale, ha permesso più discussioni e interpretazioni rispetto alla sola resilienza. Altri eventi sono previsti in tutto il Regno Unito. È ancora da vedere se sarà utile formulare una proposta per un programma politico di più ampio respiro.

In che modo questa agenda di adattamento profondo si collega all’ampia cornice concettuale dello sviluppo sostenibile? Piuttosto che ad "obiettivi di sviluppo sostenibile", essa si rivolge ad altre soluzioni in quanto l'era dello "sviluppo sostenibile", come concetto e obiettivo unificante, sta ormai volgendo al capolinea. Si tratta di un esplicito inquadramento post­sostenibilità e parte dal cosiddetto Restoration Approach, un Approccio al Ripristino che prevede di affrontare dilemmi sociali e ambientali, come ho delineato altrove (Bendell, et al 2017).

IL FUTURO DELLA RICERCA DI FRONTE ALLA TRAGEDIA CLIMATICA
Stavo scherzando solo in parte quando, in precedenza, ho messo in discussione l’utilità di scrivere questo articolo. Se tutti i dati e le analisi qui riportate risultassero erronee e nei prossimi decenni questa società prosperasse serenamente questo mio articolo non avrebbe aiutato la mia carriera. Al contempo, però, qualora il previsto tracollo arrivasse entro il prossimo decennio mi ritroverei in ogni caso senza carriera. È il perfetto esempio di caso lose-lose.

Con questo voglio sottolineare la difficoltà che ricercatori ed educatori accademici affronteranno in futuro tentando di elaborare come è meglio procedere nel campo della sostenibilità organizzativa. Per gli accademici che leggeranno questo articolo: la maggior parte di voi si ritroverà con un carico didattico crescente in aree in cui è previsto vengano trattati determinati contenuti e ció significherà che potreste avere poco tempo e spazio per reinventare il vostro campo di esperienza e di specializzazione. Quelli tra voi che hanno un incarico diricerca potrebbero scoprire che l’agenda di adattamento profondo non semplificherà l’individuazione di partner di ricerca o finanziatori.

Questa situazione restrittiva non è stata sempre affrontata dagli accademici ed èil risultato dei cambiamenti avvenuti nell’istruzione superiore che sonol'espressione di un'ideologia che ha reso la razza umana inetta ad affrontare una minaccia al suo proprio benessere e persino alla sua propria esistenza. È un'ideologia del cui successo molti di noi sono stati complici, in quanto docenti nelle scuole di business. È importante riconoscere questa complicità, prima di considerare come deve evolversila nostra ricerca di fronte alla tragedia climatica.

La risposta dell'Occidente alle questioni ambientali è stata limitata dal predominio dell'economia neoliberista a partire dagli anni '70 che ha portato ad approcci iperindividualisti, fondamentalisti, incrementali e atomistici. Nel dettaglio:
 
  • Per iper-individualisti intendo approcci focalizzati sull'azione individuale dei consumatori, come cambiare le lampadine o acquistare mobili sostenibili, piuttosto che promuovere azioni politiche in quanto cittadini consapevoli;
  • Per fondamentalisti intendo approcci concentrati su meccanismi dimercato come i complessi, costosi e in gran parte inutili sistemi di controllo delle emissioni di carbonio, piuttosto che esplorare ciò chesi potrebbe ottenere con un maggiore intervento da parte del governo;
  • Per incrementali intendo approcci dove l'attenzione è volta a celebrare passi in avanti a livello micro, come quello di un'azienda che pubblica un rapporto sulla sostenibilità piuttosto che a strategie progettate per una velocità e una scala di cambiamento al passo con la scienza;
  • Per atomistici intendo approcci dove l'attenzione è volta a considerare l'azione per il clima come una questione separata dalla governance dei mercati, della finanza e delle banche, piuttosto che esplorare quale tipo di sistema economico potrebbe consentire o innescare la sostenibilità.
 
Questa ideologia ha ora influenzato il carico di lavoro e le priorità degli accademici nella maggior parte delle università, limitandone la capacità direagire a questa tragedia climatica. Nel mio caso, ho preso un anno sabbatico non retribuito, e grazie ad esso sono riuscito a scrivere questo articolo.

Non abbiamo più tempo per coltivare ambizioni di carriera, come puntare ad essere pubblicati su una delle migliori riviste perimpressionare manager o migliorare il nostro CV in ottica di mercato del lavoro, né abbiamo bisogno delle strette specializzazioni che sono richieste per pubblicare in tali riviste. In pratica, sì, sto suggerendo che per evolvere in risposta alla tragedia climatica che stiamo affrontando sipossa rendere necessario lasciare il proprio lavoro e persino la carriera.Tuttavia, se si è disposti a farlo, allora ci si può impegnare con un datore di lavoro e una comunità professionale da una nuova fiduciosa prospettiva.

A chi orbita nel mondo accademico consiglio di iniziare a farsi alcune domande su tutto ciò che studia e insegna. Nel leggere ricerche altrui,consiglio di chiedersi: "in che modo queste scoperte possono rinvigoriregli sforzi per una più massiccia ed urgente ricerca di resilienza, rinuncia eripristino di fronte ad un collasso sociale?"

Potreste scoprire che la maggior parte di ciò che leggete offre pochi input per rispondere a questa domanda e non desidererete più allinearvi con visioni simili. Sulla propria ricerca consiglio di chiedersi cosa dovresti voler sapere di più qualora non credessi nell'integrazione incrementale dei problemi climatici all’internodelle organizzazioni e dei sistemi attuali.

Nel rispondere a questa domanda, raccomando di parlare tanto con i non specialisti quanto con le persone del vostro campo in modo da poter parlare più liberamente e prendere in considerazione tutte le prospettive.

Per quanto mi riguarda, nel mio lavoro ho interrotto la ricerca sulla sostenibilità aziendale. Ho appreso nozioni su leadership e comunicazionee ho iniziato a ricercare, insegnare e dare consigli su questi argomenti nell’arena politica. Ho iniziato a lavorare su sistemi capaci di favorire la ri­localizzazione delle economie e il supporto allo sviluppo della comunità, in particolare quei sistemi che utilizzano valute locali e ho cercato di condividere questa conoscenza in modo più ampio lanciando un corsoonline gratuito (The Money and Society Mass Open Online Course).

Ho iniziato a passare più tempo a leggere e parlare della tragedia climatica e a cosa potevo fare, o smettere di fare, avendo chiara la situazione. Questo mio ripensamento e riassestamento è tuttora in corso, ma ormai non posso più lavorare su argomenti che non hanno alcuna rilevanza per l'adattamento profondo. Guardando al futuro, vedo la necessità e l'opportunità di lavorare maggiormente su livelli differenti.

Le persone avranno bisogno di strumenti per poter accedere a informazioni e network che le aiuteranno ad adattare il proprio sostentamento e stile di vita al nuovo contesto. I già esistenti approcci di vita al di fuori dai canoni tradizionali nelle comunità intenzionali sono esempi utili, ma questo programma deve andare oltre cercando di rispondere a domande come,per esempio, rendere possibile la produzione su piccola scala di farmaci come l'aspirina.

Corsi gratuiti online e in presenza, così come network di supporto per favorire l'autosufficienza, devono aumentare. I governi locali avranno bisogno di supporti in grado di sviluppare quelle capacità che, algiorno d’oggi, aiuteranno le loro comunità locali a collaborare, e non a disgregarsi, durante il collasso. Per esempio, dovranno implementa resistemi di cooperazione produttiva tra vicini, come piattaforme di scambio di prodotti e servizi abilitati dalla valuta emessa localmente.

A livello internazionale, vi è la necessità di lavorare su come affrontare responsabilmente le ricadute più ampie del collasso delle società (Harrington, 2016). Le ricadute saranno molte e ovviamente includeranno l’impegno nel sostenere i rifugiati e la messa in sicurezza di pericolosi siti industriali e nucleari quando avverrà il collasso sociale.

In futuro gli interessi potrebbero spostarsi su altre tradizioni e discipline intellettuali. L'estinzione umana e il tema escatologico, o della fine del mondo, è qualcosa discusso in varie discipline accademiche, come ci sipotrebbe aspettare. In teologia è stato discusso ampiamente, mentre appare in letteratura come un elemento interessante nel campo dellascrittura creativa e, durante gli anni '80, è apparso anche in psicologia come fenomeno correlato alla minaccia di una guerra nucleare. L’area della psicologia sembra possa diventare particolarmente rilevante in futuro.

In futuro, ovunque ricadrà la scelta sul percorso lavorativo che vorremo intraprendere, essa non sarà frutto di meri calcoli, ma si modellerà sulle implicazioni emotive o psicologiche di questa nuova consapevolezza di uncollasso sociale che avrà probabilmente effetti sulla nostra quotidianità.

Ho esplorato alcuni di questi problemi emotivi e la loro influenza sulle mie scelte lavorative in un saggio riflessivo sulle implicazioni spirituali della disperazione climatica (Bendell, 2018). Raccomando di dedicare tempo a tale riflessione e alle sue evoluzioni piuttosto che affrettarvi verso un nuovo programma di ricerca o insegnamento magari insostenibili. Se sei uno studente, ti consiglio di inviare ai tuoi docenti questo documento invitandoli a una discussione di classe su queste idee. È probabile che saranno coloro che non sono integrati nel sistema esistente saranno quelli più in grado di guidare questo programma di cambiamento.

Pensare che i saggi accademici vengano letti, oltre che da studenti eprofessionisti del settore, anche da altri pubblici ritengo sia una nostravanità in quanto accademici. Pertanto, ho scelto di riservare ad un’altrapubblicazione le mie raccomandazioni a manager, responsabili politici e laici.

CONCLUSIONI
Da quando sono iniziate le registrazioni nel 1850, i diciassette tra i diciottoanni più caldi si sono verificati tutti dopo il 2000. Nell'ultimo decennio sono stati fatti passi importanti sulla mitigazione e sull'adattamento del clima, tuttavia, per usare una metafora, è come se ci trovassimo di fronte ad una frana: se la frana non fosse già iniziata, passi più veloci e più grandi ci porterebbero quasi in salvo; ma, purtroppo, gli ultimi dati climatici, i dati sulle emissioni e i dati sulla diffusione degli stili di vita adalto consumo di CO2 mostrano che la frana è già iniziata. Poiché il punto di non ritorno non può essere pienamente conosciuto fino a dopo l’evento, è di importanza critica impegnarsi lungimirantemente per ridurre le emissioni di carbonio e per aumentarne il sequestro dall’atmosfera (sia inmaniera naturale che sintetica). Ciò deve comportare un nuovo fronte di azione sul metano.

Gli impatti dirompenti dei cambiamenti climatici sono ormai inevitabili e si ritiene che la geoingegneria sia ormai inefficace o controproducente. Per questo motivo, la vigente comunità della politica climatica riconosce ora la necessità di porre maggiormente l’attenzione sul lavoro di adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici e ciò deve rapidamente pervadere anche l’ampio settore di professionisti, ricercatori ed educatori impegnati nello sviluppo sostenibile.

Nel valutare come potrebbero evolvere i nostri approcci, è necessario rendersi conto di quale tipo di adattamento sia possibile attuare. Le ultime ricerche stimano che in meno di dieci anni le società umane subiranno interruzioni del loro funzionamento di base a causa dello stress climatico.

Ciò porterà all’aumento dei livelli di malnutrizione, fame, malattie, conflitti civili e guerra - e non risparmierà lenazioni ricche. In una prospettiva simile risulta inutile l'approccio riformista allo sviluppo sostenibile e ai relativi campi di sostenibilità aziendale che ha fino ad ora sostenuto il percorso di molti professionisti(Bendell et al, 2017) e risulta invece importante sviluppare un nuovo approccio che esplori come ridurre i danni e non peggiorare le cose. A sostegno di questo processo impegnativo e, in definitiva, personale, la comprensione di un programma di adattamento profondo può essere utile.

RIFERIMENTI
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Lettera all’editore di SAMPJ, il Professore Carol Adams, dal Professor Jem Bendell in data 27 luglio 2018.
Dear Professor Adams, It is an odd situation to be in as a writer, but I feel compassion for anyonereading my Deep Adaptation article on the inevitability of near-term socialcollapse due to climate chaos! I am especially grateful for anyone takingthe time to analyse it in depth and provide feedback. So, I am grateful toyou arranging that and the reviewers for providing their feedback. Someof the feedback, particularly recommendations for a better introduction,were helpful. However, I am unable to work with their main requests forrevisions, as they are, I believe, either impossible or inappropriate, as Iwill seek to explain.

I agree with Professor Rob Gray that “The journal's constant exploration of new and challenging perspectives on how accountability and sustainability might play out in organisations ensures a stimulating sourceof articles, experiences and ideas.” It is why I was pleased to guest edit anissue last year and bring critical perspectives on leadership to its readership. However, the topic of inevitable collapse from climate changeis so challenging it is not surprising it didn’t find support from the anonymous peer reviewers.
I would have had difficulty finding motivation for undertaking a completere-write given the conclusion of the paper – that the premise of the“sustainable business” field that the journal is part of is no longer valid.Indeed, the assumptions about progress and stability that lead us to stayin academia in the field of management studies are also now underquestion.
The first referee questioned “to which literature(s) does this article actually contribute” and stated that “the research question or gap thatyou intend to address must be drawn from the literature,” continuing that“to join the conversation, you need to be aware of the current conversation in the field, which can be identified by reviewing relevantand recent articles published in these journals.” That is the standard guidance I use with my students and it was both amusing and annoying toread that feedback after having dozens of peer-reviewed articles published over the last 20 years. The problem with that guidance is whenthe article is challenging the basis of the field and where there are notany other articles exploring or accepting the same premise. For instance,there are no articles in either SAMPJ or Organisation and Environment thatexplore implications for business practice or policy of a near-term inevitable collapse due to environmental catastrophe (including those thatmention or address climate adaptation). That isn’t surprising, because thedata hasn’t been so conclusive on that until the last couple of years.

It is surprising therefore that the first reviewer says “the paper does notcontain any new or significant information. The paper reiterates what hasalready been told by many studies.” The reviewer implies therefore thatthe paper is about climate change being a big problem. But the articledoesn’t say that. It says that we face an unsolvable predicament andgreat tragedy. When the reviewer says “There are not clear contributionsthat can be derived from the article” then I wonder whether that is wilful blindness, as the article is saying that the basis of the field is now untenable.

At a couple of points, I attempted to cut through the unemotional waythat research is presented. For instance, when I directly address thereader about the implications of the analysis for their own likely hungerand safety, it is to elicit an emotional response. I say in the text why Iexpress myself in that way and that although it is not typical in somejournals the situation we face suggests to me that we do try to communicate emotively. The reviewer comments “the language used is not appropriate for a scholarly article.”

The second reviewer summarises the paper as “the introduction of deepadaptation as an effective response to climate change” which suggests to me a fundamental misunderstanding despite it being made clear throughout the paper. There is no “effective” response. The reviewer alsowrites “I am not sure that the extensive presentation of climate datasupports the core argument of the paper in a meaningful way.” Yet thesummary of science is the core of the paper as everything then flows fromthe conclusion of that analysis. Note that the science I summarise is aboutwhat is happening right now, rather than models or theories of complexadaptive systems which the reviewer would have preferred.
One piece of feedback from the 2nd reviewer is worth quoting verbatim: “The authors stress repeatedly that “climate-induced societal collapse isnow inevitable” as if that was a factual statement... I was left wonderingabout the social implications of presenting a scenario for the future asinevitable reality, and about the responsibility of research in communicating climate change scenarios and strategies for adaptation.As the authors pointed out, denial is a common emotional response tosituations that are perceived as threatening and inescapable, leading to a sense of helplessness, inadequacy, and hopelessness and ultimately disengagement from the issue...”
This perspective is one I discuss in some detail in the paper, as one thatenables denial. It reflects the self-defeating hierarchical attitude towardssociety that many of us have in both academia and sustainability, wherewe censure our own exploration of a topic due to what we consider shouldor should not be communicated. There is both scholarship and experienceon the impact of communicating about disaster, and I discuss that in the paper.
The trauma from assessing our situation with climate change has led meto become aware of and drop some of my past preoccupations and tactics. I realise it is time to fully accept my truth as I see it, even ifpartially formed and not polished yet for wider articulation. I know thatacademia involves as much a process of wrapping up truth as unfolding it.We wrap truth in disciplines, discrete methodologies, away from the body,away from intuition, away from the collective, away from the everyday. Soas that is my truth then I wish to act on it as well, and not keep thisanalysis hidden in the pursuit of academic respect. Instead, I want toshare it now as a tool for shifting the quality of conversations that I needto have. Therefore, I have decided to publish it simply as an IFLAS Occasional Paper.

The process has helped me realise that I need to relinquish activities thatI no longer have passion for, in what I am experiencing as a dramaticallynew context. Therefore, I must step back from the Editorial team of thejournal. Thank you for having involved me and congratulations on it nowbeing in the top ten journals in business, management and accounting.
Please pass on my thanks to the reviewers. On my website www.jembendell.com I will be listing some links to articles, podcasts,videos and social networks that are helping people explore and come toterms with a realisation of near-term collapse (and even extinction), whichthey may be interested in.

Yours sincerely,Jem Bendell

Adattamento profondo: una mappa per affrontare la tragedia climatica
IFLAS -Occasional paper 2  www.iflas.info
27 luglio 2018  PhD Prof. Jem Bendell BA (Hons)

Traduzione a cura di Emanuele Coluccia e Pierfilippo Pierucci Si ringraziano Filippo Parmeggiani, Benedetta Veneroni e anonimi per la revisione

OCCASIONAL PAPER
Gli Occasional Paper1 rilasciati dal Institute of Leadership and Sustainability (IFLAS) dell’Università di Cumbria nel Regno Unito hanno loscopo di promuovere la discussione tra studiosi e professionisti sui temi diinteresse del corpo docente e degli studenti universitari. Generalmente, un Occasional Paper viene rilasciato prima di essere proposto a una rivista accademica, come metodo per ricevere feedback. Per esempio, il primo Occasional Paper, realizzato dal professor Jem Bendell e dal professorRichard Little è stato in un secondo momento pubblicato sul Journal ofCorporate Citizenship. Tuttavia, allo stesso documento è stata negata la pubblicazione da alcuni revisori del Sustainability Accounting, Management and Policy Journal (SAMPJ), per le richieste di modifiche avanzate considerate impossibili e inadeguate dall'autore: “impossibili” dal momento per sviluppare la letteratura esistente sul tema richiederebbe che ci siano pubblicazioni sulle conseguenze del collasso sociale indotto dall'ecologia, a livello globale, da cui partire, quando unarevisione della letteratura ha indicato che non esistono fonti da cui attingere negli studi in questa direzione; e “inadeguate” poiché la richiesta da parte di revisori di evitare l'affermazione di un "inevitabile collasso sociale a breve termine" per non scoraggiare i lettori, riflette lastessa forma di censura riscontrata nelle persone che lavorano nel settoredella sostenibilità che ho discusso in questo documento. Alla fine di questo Occasional Paper potete trovare la lettera dell'autore rivolta.

1 Per una definizione di Occasional Paper si suggerisce la seguente discussione su Quora (https://www.quora.com/What-is-an-occasional-paper-in-economics), ndt
all'editore del Journal of Corporate Citizenship con alcuni feedback per i revisori anonimi.

RINGRAZIAMENTI
Per scrivere questo paper ho dovuto riorganizzare il mio tempo per rivedere le scienza del clima per la prima volta dal 1994 quando eroancora alla Cambridge University, e per analizzare rigorosamente le sueconseguenze. Non ci sarei probabilmente riuscito senza l’incoraggiamentodi Chris Erskine, Dougald Hine, Jonathan Gosling, Camm Webb e KatieCarr che mi hanno aiutato a fare ordine intorno a questo tema. RingrazioDorian Cave per l’assistenza alla ricerca, Zori Tomova per avermi aiutato a dare priorità alla mia verità. Ringrazio anche il Professor Carol Adamsper aver trovato i revisori di questo articolo e i due revisori anonimi chehanno fornito alcuni feedback utilizzabili nonostante richiedessero revisioni importanti in conflitto con l'obiettivo del documento. Ringrazio anche Carol per avermi coinvolto in passato all’interno di SAMPJ come Guest Editor. Durante il mio anno sabbatico alcuni dei fondi per il mio lavoro sull'adattamento profondo sono stati forniti da Seedbed. Se si desidera modificare un documento accademico peer-reviewed ad accessoaperto e si desidera proporre questo documento, si prega di contattare l'autore.

2 Per una definizione di conceptual paper si suggerisce la seguente discussione su Academia.Stackexchance (https://academia.stackexchange.com/questions/58967/what-is-the­difference-between-a-literature-survey-and-a-conceptual-paper), ndt

SUPPORTO PER IL LETTORE
Un elenco di letture, podcast, video e community per supportare le risposte emotive alle informazioni contenute in questo documento sonodisponibili su www.jembendell.com 


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