Le cose sono unite da legami invisibili, non si può cogliere un fiore senza turbare una stella - Albert Einstein

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L'ECOLOGIA IN PRATICA
UNO STILE DI VITA NATURALE
PER SE' E PER IL PIANETA
L'ECOLOGIA IN PRATICA
Sono la natura
sono la terra.
i miei occhi sono il cielo,
le mie membra gli alberi.
Sono la roccia,
la profondità dell'acqua,
non sono qui per dominare
la Natura.
Io stesso sono la Natura.

Indiani Hopi

Questa terra é sacra
<b>Questa terra é sacra</b>





Come potete comperare
o vendere il cielo,
il calore della terra?
l'idea per noi é strana.
Se non possediamo
la freschezza dell'aria,
lo scintillio dell'acqua.
Come possiamo comperarli?
Continua...
ONDE DI CRESCITA INTERIORE
ONDE DI CRESCITA INTERIORE La crisi ecologica - ovvero il principale problema di Gaia - non è l’inquinamento, i rifiuti tossici, il buco nell’ozono o qualcosa del genere. Il principale problema di Gaia è che un numero non sufficiente di esseri umani si è sviluppato ai livelli di coscienza postconvenzionali, planetari e globali in cui sarebbero spinti automaticamente alla cura per il globale comune. E gli esseri umani sviluppano questi livelli postconvenzionali, non imparando la teoria dei sistemi, ma passando attraverso almeno una mezza dozzina delle principali trasformazioni interiori, che vanno dall’egocentrico all’etnocentrico al mondocentrico, punto in cui e non prima, possono risvegliarsi a una profonda e autentica cura per Gaia. La prima cura per la crisi ecologica non consiste nell’imparare che Gaia è la Rete della Vita, per quanto vero ciò sia, ma nel promuovere queste numerose e ardue onde di crescita interiore, nessuna delle quali viene indicata dalla maggior parte di questi approcci del nuovo paradigma.
Continua... 
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE
UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE 1 L’Italia vive l’anomalia di un nuovo Medioevo. Più che in altri paesi, è visibile in Italia l’emergenza ecologica, il degrado sociale e la crisi di fondamentali valori etici; permangono aree vaste di ignoranza, incapacità, ingiustizia. Meno facilmente che altri paesi, l’Italia quindi può affrontare la conversione ecologica delle attività economiche, il risanamento ambientale e morale del paese, la partecipazione diretta delle persone alla attività sociale ed una effettiva realizzazione di una sana cultura dei diritti e dei doveri che dovrebbero regolare ed ispirare la vita sociale collettiva. 2 Sia in Europa che nel resto del pianeta, vi è una tripla crisi :a) economica e finanziaria (causata da un modello di crescita superato) b) ambientale conseguente, c) socio-culturale. Tre grandi crisi che non trovano più risposte adeguate dal sistema della politica: non dai partiti socialdemocratici in crisi dappertutto e neppure dall’egoismo sociale e dall’indifferenza ambientale dei vari partiti conservatori. Solo un modello sociale e produttivo eco-orientato ed eco-sostenibile, che all’idea di una crescita senza limiti sostituisca un idea di sobrietà, che non escluda anche l’utilità di avere aree di decrescita virtuosa e felice, può essere in grado di affrontare le difficoltà del presente. ...Continua...
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO
IL BENESSERE ANIMALE E' BENESSERE UMANO di Maneka Gandhi

Mangiare carne è una delle maggiori cause della distruzione ambientale. Ogni specie non solo ha il diritto di vivere, ma la sua vita è essenziale per il benessere dell’umanità. Ciò che chiamiamo sviluppo, cioè la sterile città nella quale portiamo i nostri cani al guinzaglio, non è vita. Ci abituiamo così velocemente al malessere, alla tensione, alle carestie e alle alluvioni che pensiamo che i pezzi di carta che teniamo in tasca possano sostituire un corpo sano e una mente gioiosa. Scegliamo di non sapere che, praticamente tutte le nostre malattie sono causate dalla mutilazione e dall’uccisione di animali: dai 70.000 acri di foresta pluviale del Sudamerica abbattuti ogni giorno – che in gran parte servono per far pascolare il bestiame – fino al virus Ebola, proveniente dalle scimmie strappate dal loro habitat naturale in Africa allo scopo di fare esperimenti. Abbiamo ottenuto più cibo uccidendo i lombrichi con le nostre sostanze chimiche o abbiamo ottenuto più malattie? Abbiamo ottenuto una salute vigorosa allevando forzatamente bestiame per il latte e la carne, o abbiamo piuttosto ottenuto emissioni di gas metano che hanno contribuito enormemente all’effetto serra, mettendo in pericolo la vita del pianeta? Continua...

LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE
LA RIVOLUZIONE AMBIENTALE

di Lester Brown

Per creare una economia sostenibile bisognerà sostenere una rivoluzione ambientale, come è avvenuto per quella agricola e industriale. Alla fine del libro Piccolo è bello, Schumacher parla di una società che violenta la natura e danneggia gli esseri umani e, da quando queste parole sono state scritte, diciotto anni fa, abbiamo potuto vedere con maggiore evidenza i modi con i quali la nostra società agisce proprio in quella direzione.Mi trovavo all’aeroporto di Dulles e presi una copia del US News and World Report, che conteneva un editoriale di David Gergen, un alto funzionario dell’Ufficio Stampa di Reagan alla Casa Bianca. L’articolo descriveva quello che stava accadendo oggi alla società americana e l’autore affermava che, in un certo senso, abbiamo perso la strada. Continua...

RISPETTA LA (TUA) NATURA
<b>RISPETTA LA (TUA) NATURA </b> Michele Vignodelli

Il nostro corpo e la nostra mente sono meraviglie naturali in pericolo, da difendere come le foreste, i fiumi, il mare e le montagne. Sono continuamente aggrediti dal sistema tecnologico ed economico che ci governa, proprio come il resto del mondo naturale.
Non potremo mai rispettare e vivere veramente la suprema bellezza e armonia della natura esterna se non cominciamo da noi stessi. Eppure esiste una spaventosa ignoranza sulla nostra natura interna, che fa pensare a una congiura del silenzio.
Negli ultimi anni sono emerse abbondanti prove dell’esistenza di
Continua...
RICORDO DI IVAN ILLICH
RICORDO DI IVAN ILLICH


di Giannozzo Pucci *

Il primo libro di Illich, pubblicato alla fine degli anni '60, riguarda appunto la Chiesa nel processo di trasformazione della società moderna (The Church, change and development).
Il secondo, del 1970, intitolato "Celebration of Awareness (Celebrazione della consapevolezza": un appello alla rivoluzione istituzionale), è contro le certezze delle istituzioni che imprigionano l'immaginazione e rendono insensibile il cuore.
Poi, nel 1971, esce "Descolarizzare la società", che è stato al centro del dibattito pedagogico internazionale con la tesi che la scuola produce la paralisi dell'apprendimento e danneggia i ragazzi, educandoli a diventare meri funzionari della macchina sociale moderna. Convinto che il sistema educativo occidentale fosse al collasso sotto il peso della burocrazia, dei dati e del culto del professionalismo, combatteva i diplomi, i certificati, le lauree,
Continua...

LA VENDETTA DI GAIA
LA VENDETTA DI GAIA

di James Lovelock

La vendetta di Gaia : assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Per millenni abbiamo vissuto con la strategia del parassita, ai danni dell'organismo vivente che ci ospita. Ora, assediati dall'inquinamento e dalle crescenti anomalie del clima, siamo al punto di non ritorno. Lo sostiene uno scienziato di fama mondiale.
Il parassita e' un essere che vive a spese di un altro organismo. Se ne nutre, cresce, si riproduce e prospera. Eppure, la sua non e' una strategia lungimirante. Le energie dell'organismo ospite diminuiscono giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Finche' un giorno accade l'inevitabile: l'organismo ospite si avvia a una fine certa. E il parassita, senza risorse, e' destinato a scomparire. Questa immagine e' la perfetta metafora della storia della specie umana. A dimostrarlo sono i fatti. Migliaia di anni di occupazione del pianeta hanno provocato distruzione degli habitat, estinzione di molte specie, emissioni record di gas serra in atmosfera e nubi di polveri sottili nell'emisfero nord e sulle metropoli. Un'aggressione prolungata alla quale la Terra ora reagisce innescando una lunga serie di disastri naturali, quali inondazioni e uragani, sempre piu' numerosi e violenti, ed eventi climatici estremi, come estati torride e punte di freddo anomalo. Il pianeta che abitiamo non ha piu' anticorpi per difendersi. E allora attacca.
Lo sostiene a gran voce uno scienziato autorevole e indipendente, James Lovelock, nel suo nuovo libro, The revenge of Gaia (La vendetta di Gaia) in uscita il 2 febbraio in Gran Bretagna! . Il nostro mondo, afferma, potrebbe avere superato il punto d! i non ritorno: la soglia oltre la quale non possiamo fare piu' nulla per evitare che, entro la fine del secolo, i cambiamenti causati dall'attivita' umana distruggano la nostra civilta' Continua....
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IL FUTURO DEL PIANETA SI CHIAMA BIOREGIONALISMO


di Edoardo Zarelli

Anche in ecologia il federalismo può dare riscontri concreti

Tutti concordi, a parole, nell’identificare con il federalismo la proiezione politica più adeguata per interpretare quel pensare globalmente, agire localmente di Commoner, che è sempre risuonato come parola d’ordine della critica ecologista agli istituti politici della civiltà industriale. In realtà, i ritardi accumulati su questa intuizione si sono talmente aggravati da cedere la tematica localista in mano a forze diverse ed eterogenee che da destra, centro e sinistra strumentalizzano e cavalcano per il tempo di una facile demagogia. Anzi, l’ambientalismo, preferendo lo schieramento politico legato all’opportunismo del potere è purtroppo sovrapponibile alla superficialità strumentale di cui sopra.

Da questo punto di vista è emblematico il disinteresse per la parte più viva del pensiero ecologista internazionale che, nella persona di Edward Goldsmith ha un elemento determinante in Europa, mentre addirittura nel Nord America, col movimento bioregionalista, si è ben più attenti allo stretto legame, che interagisce tra l’amore per la propria terra e la coscienza fattiva dai guasti causati dalla società dei consumi.
Proprio negli Stati Uniti, dove più evidenti e futuribili sono le contraddizioni del modello di sviluppo occidentale, un nutrito gruppo di ecologisti dai nomi misconosciuti in Europa come Wendell Berry, Gary Snyder, Kirkpatrick Sale, sono iscrivibili nell’ambito del movimento bioregionalista.

La parola stessa, bioregione, è da noi sconosciuta, citata da qualche avvertito articolista in ambiti minoritari ed ecologisti, dove comunque non ha trovato spazio adeguato né come concettualizzazione, né – il che è più grave – come prassi. Questo, sebbene anche da noi il movimento del ritorno alla terra, magari non strutturato, sia piuttosto pronunciato, unito a svariate iniziative produttive e commerciali legate al biologico, e quindi alla “riduzione di scala”, sempre più radicate e credibili.

Pensiamo alla estrema difficoltà che le multinazionali dei prodotti alimentari transgenici stanno incontrando nella diffusione dei loro prodotti nel Paese.
Ora, se c’è qualcosa che crediamo sia difficile contestare da un punto di vista ecologista, è la necessità di un totale mutamento, di un cambiamento radicale nelle abitudini di vita degli abitanti del mondo supersviluppato, nonché dei rapporti fra questo e il resto della popolazione del Pianeta, che del supersviluppo paga quotidianamente le conseguenze. Questa necessità si manifesta con grande evidenza proprio nel momento storico in cui le ideologie e le “visioni del mondo” alternative denunciano i loro limiti e fallimenti. Ma c’è di più.

La necessità di un mutamento radicale è legata anche all’atrofizzarsi dell’ecologismo, sempre più divaricato fra la reale consapevolezza e le idee mutuate dai comportamenti di vasti settori della nostra società. Il fatto è che, senza un punto di riferimento ideale, che serva da matrice per le scelte di vita personali e, quindi, politiche, le varie ricette filantropiche per la salvezza del Pianeta, il “nuovo modello di sviluppo”, la compatibilità ambientale e tutto il bagaglio del riformismo verde non sono in grado di colmare questa distanza.
È sicuramente vero che l’ecologia, nella sua sfumatura “naturistica”, è diventata “di moda”, ma ci auguriamo si avverta tutto il desolante significato di questa affermazione. Se l’ecologismo è di moda, ciò significa che è stata metabolizzata dalla società dei consumi, che il rispetto per l’ambiente è divenuto un luogo comune della banalizzazione mediatica, con il deprecabile doppio risultato di agire superficialmente e di porsi, inevitabilmente, al servizio di chi indirizza mentalità e comportamenti collettivi.

Ora, chi gestisce il potere, reale o virtuale che sia, non ha alcun interesse a proteggere la natura di tutti, a meno che questo comportamento non corrisponda ad esigenze di mantenimento del potere stesso. Non ne ha interesse reale, perché la funzione di potere è intrinsecamente anti-ecologica, essendo la natura un organismo che tende all’omeostasi e si autoregola attraverso una serie di interdipendenze relazionali e la compartecipazione delle specie a tutto il processo vitale.
Il potere, al contrario, irrigidisce gerarchicamente i rapporti - oggi in forme tecnocratiche - ed ha come logica tutta moderna l’applicazione di astratte leggi economiche quali vere “leggi di natura”, determinando la mercificazione dell’esistenza. Lo sfruttamento ne è, dunque, elemento sostanziale: sulle persone, i popoli, la natura.

Se l’ecologia è di “moda”, cessa di essere conflittuale con lo status quo, perdendo quella capacità unica di rottura e critica alle cause stesse della civilizzazione industrialista e tecnomorfa. All’oggi, ad esempio, il compostaggio dei rifiuti, il loro riciclaggio o le bonifiche, sono regolati da logiche profittevoli identiche a quelle che generano inquinamento e corruzione.
Per assurdo, al deteriorarsi delle condizioni di sopravvivenza relativamente allo scarseggiare di materie prime e altre implicazioni dovute al titanismo industriale, potrebbe affermarsi una sorta di ecologia di Stato – o di super Stato mondiale – destinata a fronteggiare le emergenze ambientali con una politica di restringimento delle libertà, personali e comunitarie. È la logica secolare dell’affermazione degli Stati nazionali e dei loro mercati sui Popoli e le culture. È la logica progressista che reprime gli effetti incapace di rimuovere le cause che detronizzerebbero la sua egemonia culturale e politica.

Già si hanno piccoli riscontri di questa tendenza nella contrapposizione fra le amministrazioni e le popolazioni locali per la realizzazione di discariche e inceneritori. La gente ovviamente non li vuole vicino casa ma vive in modo da renderli indispensabili… Il potere pubblico è ovviamente pronto a imporli con la forza, o comunque senza consenso, e dunque senza partecipazione, essenza della democrazia.

Nel bioregionalismo troviamo stimoli per una risposta coerente a tutto questo. Se gli Stati Uniti sono l’avanguardia mondiale della dilapidazione naturale e dello stile di vita consumista che gli è proprio, solo sotto due aspetti hanno favorito condizioni vantaggiose per il bioregionalismo.
La spontanea tendenza – peraltro non dominante – al decentramento ed alle autonomie locali (l’aspetto che impressionò positivamente Alexis de Tocqueville nel suo Viaggio in America) e il riferimento alle culture indigene, native.
Ma il continente europeo non è sicuramente da meno in fatto di riferimenti al localismo. La tradizione autonomistica, regionalistica in senso lato, è molto radicata. Ci sembra perciò che il bioregionalismo sia al cento per cento prodotto da esportazione. Ovviamente, però, non a “scatola chiusa”:le differenze storiche, culturali e sociali tra l’Europa e gli Stati Uniti sono tali da rendere impraticabile una equiparazione. Ma una simile precisazione è tautologica, visto che parliamo di una visione del mondo che nasce “aperta”, e contraddirebbe la propria essenza se pretendesse di fornire indicazioni assolute, ideologiche, universalmente valide.

Un riferimento certo è che la prospettiva bioregionalista vede nello Stato-nazione un’istituzione storicamente recente e, contemporaneamente datata, che si è imposta dopo una spietata lotta contro le autonomie locali, trasformando l’abitante da agente attivo e partecipante alle decisioni politiche – qual era nel contesto comunitario – a recettore passivo di beni a servizi in cambio della sua anonima “cittadinanza”. In controtendenza, il bioregionalismo propone una ristrutturazione complessiva dell’organizzazione territoriale, per il bene non solo degli esseri umani, ma di tutta la biosfera, ridiscutendo gli arbitrari confini statuali della tarda modernità, a partire dal principio di autodeterminazione, esprimendo autonomie ed interconnessioni naturali sulla base delle identità culturali. Dalla più semplice – la comunità locale – alla più complessa – il pianeta terra: la mitica Gaia.

Non è difficile immaginare l’alternativa al pericolo in cui il modello industriale-scientifico ci ha posto: si tratta semplicemente di tornare ad essere abitanti della terra.
Dobbiamo recuperare lo spirito che caratterizzò il “senso del limite” degli antichi Greci, considerando nuovamente la Terra come una creatura vivente.
Vi è un modo sacrale di confrontarsi con essa e con le sue creature, un modo che implica rispetto e ammirazione, un respiro comune che inibisca l’abuso e la relativa obsolescenza.
La parola bioregione si compone semanticamente di bio, la parola greca che significa vita e “regione” che deriva dal latino regere, cioè governare. La vita che si autogoverna nel limite biotico di un territorio. Un territorio abitato, un luogo definito dalle forme di vita che vi si svolgono, piuttosto che da decreti legge; una regione governata dalla natura.

Tutto ciò è credibile solo coltivando una rinata sensibilità per la specificità dei luoghi e delle culture, una lealtà politica verso il territorio in cui viviamo, unite a pratiche economiche e sociali indigeste al sistema mondo capitalista. Vorrà dire un’economia radicata nella particolarità del territorio e delle sue tradizioni, espressa dalla sensibilità delle comunità locali.
La pluralità delle identità comunitarie evita i rischi di accentramento del potere e quindi di colonialismo o imperialismo. La complementarietà e lo sviluppo di una fitta rete di relazioni intercomunitarie – tra cui la sussidiarietà e l’interdipendenza – possono definire con sufficiente approssimazione l’intento di un “federalismo ecologista”.

Il problema di fondo è di ripensare pluralisticamente il mondo fuori dall’Occidente, dal suo universalismo monistico e dalla sua visione etnocentrica rispetto alla quale tutto diventa periferia. Il problema è di comprendere, per dirla con Mircea Eliade, che “in ogni posto c’è un centro del mondo” possibile. E quel “centro del mondo” è, per ogni uomo, la sua identità personale e comunitaria, il suo specifico territorio umano, naturale e culturale.
Saranno il viaggio e l’ospitalità a tessere, come capi opposti di un unico filo, le trame di una convivenza qualitativa tra le diversità, appagando la necessità profonda, per noi moderni, di ritrovare nel contatto con altre culture, la radice del nostro essere, la risposta al disagio esistenziale indotto dalla civilizzazione di massa: una risposta alla insopprimibile ansia di radicamento.

Edoardo Zarelli – responsabile di Arianna Editrice


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