nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
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LO YOGA DELLA VOLONTA' INTELLIGENTE



di Sri Aurobindo

39. "Questa è la conoscenza trasmessa dal Sànkhya . Ascolta adesso quella che t'impartisce lo Yoga; se ti lascerai penetrare profondamente da questa sapienza, o figlio di Pritha, potrai sfuggire ai vincoli dell'agire .

"Ti ho esposto l'equilibrio che apporta l'intelligenza liberatrice, secondo il Sànkhya," dice ad Arjuna il divino Maestro. "Ti proporrò adesso un altro equilibrio, quello secondo lo Yoga. Tu indietreggi davanti alle conseguenze dei tuoi atti, tu desideri altri risultati e abbandoni il vero cammino perché non te li può dare; ma questa maniera di concepire le opere e i loro frutti - desiderio dei frutti come movente dell'azione e azione come mezzo per soddisfare il desiderio - è il servaggio dell'ignorante che non conosce ciò che sono le opere, la loro vera origine e la loro vera utilità. Il mio yoga ti libererà dall'asservimento alle tue opere."

40. "In questo sentiero nessuno sforzo è perduto, nessun ostacolo può prevalere; anche un minimo di questo dharma libera da una grande paura.

Arjuna è in preda al terrore che assale l'uomo: paura del peccato, paura della sofferenza, in questo mondo e nell'altro, paura di un mondo di cui ignora la vera natura, paura di un Dio che non conosce e le cui intenzioni cosmiche gli sono velate.

41. "L'intelligenza risoluta si dimostra unificata e stabile, o Gioia dei Kuru ; instabile ed estremamente divisa è invece l'intelligenza dell'irresoluto.

La volontà intelligente unificata è stabilita con fermezza nell'anima illuminata e concentrata nella conoscenza interiore di sé. L'intelligenza è invece dispersa quando si occupa di numerose e svariate cose, trascurando la sola necessaria. Sottoposta all'agitazione continua del pensiero discorsivo, si disperde nella vita e nell'azione esteriori alla ricerca dei frutti.

42-43. "Coloro che non posseggono un chiaro discernimento si compiacciono dei precetti vedici intesi alla lettera e proclamano, con fiorito parlare, che la stretta osservanza [delle Scritture] è sufficiente, o Figlio di Pritha. Anime di desiderio e ricercatori di paradisi, parlano del concetto della rinascita come del frutto delle azioni compiute sulla terra e prescrivono molti riti speciali per ottenere godimento e poteri.

Nei primi sei canti, la Gita fissa le basi della sua sintesi dell'azione e della conoscenza, la sua sintesi del Sànkhya, dello Yoga e del Vedanta. Osserva dapprima che il termine karma, l'azione, le opere, viene interpretato dagli antichi vedantini, da coloro che si attaccano all'interpretazione letterale dei Veda, secondo una loro particolare accezione; la parola Veda significa per loro i sacrifici e le cerimonie vediche, compiute secondo riti precisi e complicati. Questi sacrifici, dice la Gita, sono offerte di desiderio fatte nella speranza di una ricompensa, sulla terra o in cielo, in questa vita o in un'altra - godimenti o poteri, gioie più grandi, immortalità e suprema salvazione. La Gita non rifiuta, come il Buddismo per esempio, l'idea del sacrificio, ma essa preferisce elevarlo e renderlo più ampio. Essa non nega l'efficacia del sacrificio vedico, la riconosce, ammette anche che, grazie a questo sacrificio, si possano ottenere godimenti su questa terra e un paradiso nell'al di là. "Io stesso," dice più avanti il divino Maestro (IX, 23), "sono colui che accetta il sacrificio e a cui tutti i sacrifici vengono offerti, sono Io colui che concede i frutti, rivestendo la forma degli dèi, poiché questo cammino hanno scelto gli uomini per avvicinarMi. Ma non è il vero cammino, e il godimento del paradiso non è né la liberazione né il compimento che l'uomo deve cercare”. Sono gl'ignoranti che adorano gli dèi, senza sapere chi adorano sotto queste forme divine. Malgrado la loro ignoranza, essi adorano l'Unico, il Signore, il solo Deva, ed è Lui che accetta le offerte. Al Signore dev'essere offerto il sacrificio - il vero sacrificio di tutte le energie e di tutte le attività della vita - con devozione, senza desiderio, per il solo amore del Signore e per il bene dei popoli. Attraverso l'intrico dei suoi riti, il vedavada maschera questa verità, rendendo l'uomo schiavo dell'azione dei tre guna: ed è per questo che si deve condannarlo severamente e respingerlo con forza. L'idea centrale non dev'essere però distrutta; una volta trasfigurata ed elevata, essa diviene parte importantissima della vera esperienza spirituale e del metodo di liberazione.

44. "Coloro che si lasciano così fuorviare, attaccati al godimento e al potere, per quanto perspicace possa essere la loro intelligenza , non possono fissarsi nella contemplazione perfetta .

L'unione con il Sé esige la concentrazione perfetta del pensiero e della volontà; il pensiero che vaga ad ogni istante non può pervenire a così elevata altezza.

45. "I Veda si occupano del giuoco dei tre guna; ma tu, o Arjuna, liberati dalle tre qualità, portati oltre gli opposti, e per sempre stabilito nel vero essere, senza curarti di acquistare e conservare, prendi possesso del vero Sé.

46. "Per il bramino ' che possiede la conoscenza, i Veda sono tanto inutili quanto può esserlo un pozzo in un luogo inondato dalle acque.


I Veda e le Upanishad non sono necessari all'uomo che ha ottenuto la conoscenza attraverso l'esperienza spirituale diretta. Possono persino essere per lui un ostacolo, perché la lettura della Scrittura Sacra - certamente a motivo del conflitto fra i testi e le loro molteplici interpretazioni - turba e devia l'intendimento, che può solo trovar la certezza e la concentrazione nella luce interiore .

47. "Tu hai diritto all'azione, ma in nessun caso ai suoi frutti, non devi compiere l'opera per i frutti che essa ti procura, ma nemmeno devi attaccarti alla non-azione.

Dice in sostanza il Maestro: "Ti ho assegnato l'intero dominio dell'azione umana per compiere il progresso dell'uomo, dalla Natura inferiore fino alla Natura superiore, dal non-divino apparente fino al divino cosciente. Colui che conosce Dio deve muoversi in questo campo di attività umane." Ma "i frutti delle azioni non devono essere il tuo movente!" Ciò che all'uomo viene ingiunto non è l'opera compiuta sotto la spinta del desiderio, come per coloro che seguono alla lettera i Veda, e nemmeno il diritto di soddisfare attraverso un'attività costante una mente agitata e piena di energia, come rivendica l'uomo pratico e dinamico.

48. "Saldamente stabilito nello yoga , o Conquistatore di tesori, compi la tua azione libero dall'attaccamento, imperturbabile nella sconfitta e nel successo. Yoga significa equanimità.

Quali possono essere le conquiste e i possessi dell'anima libera? Possedendo il Sé, essa possiede tutto. Tuttavia l'uomo liberato non si astiene dall'azione. In questo risiede la forza e l'originalità della Gita che, dopo aver affermato per l'anima liberata il valore di questa condizione statica, di questa superiorità sulla Natura, del vuoto da cui è costituita di solito l'azione della Natura, può ancora rivendicare per quest'anima la continuazione dell'agire, ed anche imporla, evitando in tal modo il gran difetto delle filosofie puramente quietistiche e ascetiche, errore da cui oggi tentano di sottrarsi.
A causa della sua intelligenza deviata, l'uomo prova speranza e timore, collera, afflizione e gioie effimere; potrebbe altrimenti compiere le sue opere in perfetta serenità e libertà. È per questo che ad Arjuna viene imposto in primo luogo lo yoga dell'intelligenza, il buddhi yoga.

49. "L'azione è di gran lunga inferiore allo yoga dell' intelligenza; rifugiati nell'intelligenza, o Conquistatore di tesori; pietà destano coloro che compiono le opere con mira ai loro frutti.

Agire con giusta intelligenza e, di conseguenza, con giusta volontà, saldamente stabilito nell'Uno, cosciente del Sé unico in tutti, incominciando con serena equanimità, senza agitarsi in tutti i sensi unto dai mille impulsi del sé mentale di superficie, significa agire secondo lo yoga della volontà intelligente.

50. "Colui che mediante l'intelligenza ha raggiunto l'unione [con il Sé] , si eleva sopra il bene e il male. Lotta dunque per realizzare lo yoga; lo yoga è l'abilità nelle opere.

Anche in questo mondo di opposti (II, 45), colui che ha raggiunto la divina unione, si eleva - oltre il bene e il male - a una legge superiore fondata sulla libertà venuta dalla conoscenza di sé. Si potrebbe Pensare che le azioni effettuate senza il desiderio dei frutti siano senza effetto, senza efficacia, senza una spinta sufficiente, senza una forza animatrice ampia e vigorosa. No, l'azione fatta nello yoga non solamente è la più alta, ma la più saggia, la più potente e la più efficace, anche per le cose dì questo mondo. Essa è ispirata dalla conoscenza e dalla volontà dal Maestro delle opere: "Lo yoga è la vera abilità nelle opere."

51. "I saggi che rinunciano al frutto delle loro azioni e che, mediante l'intelligenza, hanno raggiunto l'unione [con il sé], vengono liberati dal legame delle nascite e raggiungono una condizione stabile di là da ogni male.

Ma le azioni dirette verso la vita non allontanano forse dai fini universali degli yogi che, secondo l'unanime opinione, consistono nello fuggire alla schiavitù di questa miserabile e dolorosa nascita umana? No, i saggi che agiscono senza desiderio per i frutti delle loro azioni e in perfetta unione con il Divino vengono liberati dalla schiavitù delle nascite e raggiungono il perfetto stato (vedi più avanti, II, 68-72), dove non esistono i mali che affliggono il pensiero e la vita dell'umanità sofferente.

52. "Quando la tua intelligenza avrà superato il turbine dell'illusione , allora perverrai all'indifferenza per ciò che hai udito e per ciò che devi ancora udire .

53. "Quando la tua intelligenza, [in questo momento] sviata dalle Scritture rivelate, rimarrà salda e immota in samadhi , allora raggiungerai lo yoga."


Questa critica alle Scritture rivelate, shruti, offende talmente il sentimento religioso convenzionale che la comoda e utile inclinazione umana di voler torturare i testi ha tentato naturalmente di dare a questi versetti un senso differente. Ma il loro significato è chiaro e coerente da un capo all'altro, e viene confermato da un passaggio ulteriore dove è detto che la conoscenza di colui che conosce supera la portata dei Veda e delle Upanishad (VI, 44). Tuttavia la Gita non tratta con spirito di semplice negazione o non ripudia parti così importanti della cultura ariana. La sua critica tende ad eliminare l'interpretazione egoistica, limitata e chiusa di loro che vogliono interpretare alla lettera le Sacre Scritture.

Arjuna disse: 54. "Qual è, o Keshava, il segno dell'uomo saldamente stabilito nella saggezza e immerso in samadhi? II saggio dall'intelligenza stabile, come parla, come si siede, come cammina?"

Arjuna, esprimendo il sentimento dell'uomo medio, chiede, del samadhi, un segno facile da distinguersi, materiale. Tali indicazioni non possono essere fornite, e il Maestro non tenta di farlo; poiché il solo criterio possibile dell'entrata in samadhi è interiore. L'equanimità è il segno principale dell'anima liberata e i segni più evidenti dell'equanimità sono anch'essi soggettivi.

Per samadhi, s'intende generalmente l'estasi, la trance yoghica. Ma la perdita di coscienza del mondo esteriore non accompagna necessariamente l'unione completa; l'estasi è un'intensità particolare del samadhi, non ne è il segno essenziale (vedi il commento al versetto seguente).

Il Beato Signore disse:
55. "Quando un uomo allontana dalla sua mente tutti i desideri, o figlio di Pritha, e trova solo soddisfazione nel Sé e dal Sé, si può dire che egli è saldo nella saggezza.

Il segno del samadhi è rappresentato dall'espulsione di tutti i desideri, dalla loro incapacità di raggiungere la mente, ed è lo stato interiore da cui nasce la libertà, la felicità dell'anima raccolta in sé stessa, con una mente calma, uguale, equilibrata, sopra le attrazioni e le ripulsioni, sopra le alternative di sole e di tempesta, esente dalle tensioni della vita esteriore. In questa condizione l'uomo vive ritirato interiormente anche quando agisce esteriormente; concentrato in sé anche quando lo sguardo si posa sugli oggetti; unicamente occupato nel Divino, anche quando agli occhi altrui sembra preoccuparsi degli affari del mondo.

56. "Colui che non si turba mentalmente in mezzo ai dolori e che va esente dal desiderio in mezzo ai piaceri colui che ha abbandonato la passione, la paura e la collera, è ritenuto un saggio dall'intelligenza stabile.

La Gita impone di affrontare il desiderio e di sopprimerlo. La sua prima descrizione dell'equanimità è quella dello stoico, ma se accetta questa filosofia eroica, vi aggiunge anche la visione sattvica della conoscenza, con alla base l'aspirazione a realizzare il Sé libero e, ad ogni passo, l'ascesa verso la Natura divina.

57. "Colui che non prova attaccamento per cosa alcuna e, allorquando sopravvengano il male e il bene, non si affligge o si rallegra, in lui la saggezza è saldamente stabilita.

58. "Allorché ritrae i sensi dagli oggetti sensibili, come la tartaruga le membra, in lui la saggezza è saldamente stabilita.


Il primo moto dev'essere quello di sbarazzarsi dal desiderio, sola radice del male e della sofferenza; e per sbarazzarsi dal desiderio bisogna metter fine alla causa del desiderio stesso, all'impazienza dei sensi di voler afferrare gli oggetti e gioirne. Bisogna frenare i sensi quando stanno per precipitarsi di fuori, bisogna richiamarli e riportarli alla sorgente, dove devono mantenersi tranquilli nella mente, la mente tranquilla nell'intelligenza e l'intelligenza tranquilla nell'anima e nella conoscenza di sé, che osserva l'azione della Natura ma senza esserle sottomessa e nulla desiderare della vita materiale.
"Ma," aggiunge Krishna (nel versetto seguente), "per evitare il malinteso che certamente ne deriverebbe, quello che t'insegno non è un ascetismo esteriore, una rinuncia fisica agli oggetti dei sensi, ma un ritiro interiore, una rinuncia al desiderio."

59. "Quando dall'anima di colui che si astiene dall'usufruirne si ritraggono i sensi, ma l'inclinazione per essi permane, con la visione del Supremo anche questa svanisce.

A partire dal momento in cui l'anima si incarna in un corpo, deve normalmente occuparsene nutrendolo, affinché possa esercitare la sua normale azione fisica. Astenendosi dal nutrire il corpo, l'anima sopprime solamente il contatto materiale con l'oggetto dei sensi, non sopprime il rapporto interiore che è quello che rende pernicioso il contatto. Essa lascia intatto il piacere che i sensi hanno per l'oggetto - rasa -, l'attrazione e la ripulsione, i due aspetti di rasa. L'anima deve invece poter sopportare il contatto fisico senza risentire interiormente la reazione dei sensi. L'equanimità stoica si giustifica, nella disciplina della Gita, come elemento che può associarsi, aiutandola, alla visione del Supremo - param drishtvà - ossia alla realizzazione di un nuovo stato di coscienza che la Gita ci descrive nei versetti seguenti - lo stato brahmico (II, 68-72).

60. "O figlio di Kunti, l'impeto dei sensi trascina con violenza anche la mente del saggio che lotta [per la perfezione].

61. "Ritornato padrone dei sensi, si mantenga saldo nello stato di unione con Me, prendendoMi come [scopo] supremo . In colui che domina i sensi, la saggezza è saldamente stabilita.


Nessun consiglio è più corrente di quello di dominare i sensi, ma questa padronanza non può essere compiuta alla perfezione mediante un atto della sola intelligenza, o una disciplina solamente mentale. Non può essere ottenuta che mediante lo yoga - l'unione - con qualcosa di più elevato dell'intelligenza e a cui siano inerenti la calma e il dominio di sé stessi. Questo yoga potrà avere successo solamente con la consacrazione, l'abbandono, votandosi interamente al Divino, a Me, dice Krishna. Il liberatore è in noi, ma questo liberatore non è la nostra mente, la nostra intelligenza, la nostra volontà personale, anche se ne sono gli strumenti: è il Signore, in cui - la Gita ce lo dirà alla fine - dobbiamo prendere integralmente rifugio. Per questo motivo il nostro essere deve esserGli totalmente consacrato e mantenere con Lui il contano dell'anima.

62-63. "Nell'uomo che indugia assorto negli oggetti dei sensi, nasce l'attaccamento per essi; dall'attaccamento nasce il desiderio, dal desiderio la collera; la collera conduce allo smarrimento, lo smarrimento alla perdita della memoria e la perdita della memoria produce la distruzione dell'intelligenza; e in seguito a questa distruzione l'uomo giunge a rovina.

La passione oscura l'anima, la volontà e l'intelligenza dimenticano di vedere e di tenersi fermamente stabilite nell'anima che osserva con calma; la memoria del vero Sé è perduta, e con questa perdita, la volontà intelligente si oscura e può essere anche distrutta; poiché da quel momento essa non esiste più nella nostra memoria ma si dilegua in una nube di passione; diveniamo passione, collera o dolore, cessiamo d'essere il Sé, l'intelligenza e la volontà.

64-65. "Ma colui che si muove fra gli oggetti sensibili con i sensi sottomessi al Sé, esente dall'attaccamento e dall'avversione, questi, padrone di sé stesso, perviene alla serenità. La serenità genera in lui la sparizione del dolore; e quando l'anima è serena, l'intelligenza è presto stabilita.

Ma come è possibile stabilire questo contatto con gli oggetti dei sensi, quest'impiego che non dipende da essi? È possibile quando l'intero essere soggettivo, mediante lo Yoga dell' intelligenza, vive in unione o in unità col Supremo. Allora, liberati da tutte le reazioni, i sensi non reagiranno più davanti all'attrazione ed alla ripulsione; sfuggiranno al dualismo dei desideri, positivi e negativi, e così, la calma, la pace, la chiarezza, la felice tranquillità si diffonderanno nell'uomo. Questa chiara tranquillità è la sorgente della felicità dell'anima; l'afflizione perde il suo potere; l'intelligenza si stabilisce rapidamente nella pace del Sé; la sofferenza viene distrutta. A questa immutabilità della buddhi nell'equilibrio e nella conoscenza di Sé - immutabilità calma, senza desideri, senza dolore - la Gita dà il nome di samadhi.

66. "L'uomo non unito [al Sé] non possiede né intelligenza né concentrazione; colui che manca di concentrazione è privo di pace; e senza la pace come potrebbe esser felice?

67. "Colui, la cui mente si lascia sviare dai sensi vagabondi, vede ben presto la saggezza allontanarsi come una nave trasportata dal vento sulle acque.

68. "Di conseguenza, o Guerriero dal braccio possente, colui i cui sensi si sono distolti per ogni verso dagli oggetti sensibili, è fermamente stabilito nella saggezza.


È il rinnovarsi dall'esortazione fatta prima (Il, 58-59) e, come in quel caso, si deve comprendere che l'eccitazione - attrazione o ripulsione - causata dagli oggetti sensibili, deve essere frenata, superata e conquistata. La Gita incomincia da qui la descrizione dello stato brahmico, coronamento dello yoga della volontà intelligente.

69. "Ciò che è notte per tutti gli esseri, è stato di veglia per colui che ha la padronanza di sé, e il loro stato di veglia è notte per il saggio veggente.

Il saggio che compie le opere senza il desiderio dei frutti e in unione costante col Supremo, raggiunge lo stato di perfezione dove non esiste alcuno dei mali che affliggono l'umanità (II, 51). È il rovesciamento di tutte le concezioni, di tutte le esperienze, della conoscenza, dei valori e delle percezioni, prerogativa delle creature legate alla terra. La vita sottomessa agli opposti, che per queste creature è il giorno, lo stato di veglia, la coscienza, la brillante condizione d'attività e di conoscenza, è per il saggio veggente un sonno turbato, un'oscurità d'anima, la notte; e la coscienza superiore che per loro e notte oscura, il sonno in cui cessano conoscenza e volontà, è lo stato di veglia per il saggio che ha conquistato la padronanza di sé stesso, il giorno luminoso di esistenza vera, di conoscenza e di potere.

70. "Colui in cui tutti i desideri entrano come entrano le acque nell'oceano, che senza tregua si riempie, ma che tuttavia non aumenta mai di livello, raggiunge la pace - non colui che è preda del desiderio .

71. "L'uomo che abbandona tutti i desideri, che vive e agisce senza brama, che non possiede più né ‘me’ né ‘mio’, costui raggiunge la [grande] pace.

72. "Tale è lo stato brahmico , o figlio di Pritha. Colui che lo ha raggiunto non può più smarrirsi; e se vi si attiene fortemente, anche al momento della morte, raggiunge il nirvana in Brahman."


Egli continua ad agire, ma ha abbandonato tutti i desideri e tutte le passioni. È entrato nella grande pace e non è più sviato dall'apparenza delle cose. Ha spento nell'Unico il suo ego individuale, vive in questa unità e, saldamente stabilito in essa al momento della sua fine, può raggiungere il Nirvana, l'estinzione nel Brahman - non l'annichilamento dei Buddisti, ma la grande immersione del sé personale separato nella vasta realtà dell'Esistenza una, infinita e impersonale.
Tale è la prima base dell'insegnamento della Gita. È lungi dall'essere l'insegnamento completo, ma è la prima fusione pratica indispensabile della conoscenza e dell'azione, che contiene già l'indicazione del terzo elemento, il più intenso, quello che perfeziona la pienezza dell'anima: la devozione e l'amore divino.

da Commento alla Bhagavad Gita


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