nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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IL SENSO DELLA VITA - MORTE


Se volessi iniziare questo intervento con una frase ad effetto direi forse qualcosa di troppo banale come che il mistero della vita e della morte è il mistero stesso di Dio. Però ne avrei proprio voglia, di esprimere questa banalità perché, vedete, non è che le cose siano poi tanto diverse.

Possiamo abbracciare il credo che vogliamo oppure possiamo anche non abbracciare alcun credo, ma i termini del grande stupore che la vita (e, specularmente, del fenomeno detto "morte") suscita in ogni persona che non ha optato per un'esistenza supina al fato, non cambiano.

Vita e morte portano con sé gli interrogativi della mente raziocinante e questo bagaglio, questa specie di "condanna", ce la portiamo appresso da quando la nostra specie è apparsa su questo pianeta. Ma, se mi si permette il gioco di parole, è una condanna "vitale" e guai se non ci fosse! Se non fossero esistite le filosofie, le speculazioni e le scuole sapienziali le cui origini rimontano nella notte dei tempi, non avremmo meritato di ergerci a "razza dominante" della Terra. Certo, questo non basta per fare di noi i padroni del pianeta perché, come dice il famoso proverbio, non bisogna predicar bene e razzolar male.

E, di certo, è da millenni, forse da sempre che "razzoliamo male". Col binomio vita-morte, abbiamo sviluppato un rapporto che chiamerei "perverso", perché abbiamo lasciato sterili in noi, come genere raziocinante, interrogativi e conquiste intellettuali riservando ad esse solamente le individuali scelte ed i percorsi che soggettivamente l'individuo può seguire. Questo, in particolare, sul concetto di "vita". Per quanto riguarda la morte, ne siamo stati generosi dispensatori. Se, da un lato, ci ha sempre creato timore, paura, smarrimento, dall'altro ci siamo guardati bene dall'evitare di spargerla generosamente sul pianeta e, questo, dispensandola a larghe braccia a *qualsiasi* regno di vita. Abbiamo fatto del pianeta un cimitero. Dopo svariate migliaia di anni la musica non cambia: la morte ci fa paura ma non facciamo niente per capire la vita. Eppure non c'è altra strada.

Non possiamo predicare il rispetto della vita se non ne abbiamo un corretto concetto. E, qui, non si tratta certo di fare corsi di filosofia o di sviluppare chissà quali percorsi iniziatici: si tratta, "semplicemente", di lasciare che la vita ci parli, ci si manifesti senza incocciare nella nostra ottusa limitazione d'auto-inganno che confonde come "vita" le varie piccolezze o le grandi sofferenze della commedia esistenziale. Tale commedia ci ha sempre ingannato con i miraggi del possesso, del potere, dell'avere... in una parola, con la deleteria forma di menzogna chiamata *ego*. L'ego ha deturpato le nostre capacità cognitive fino a che, sopraffatti dal mistero finale, anziché arrenderci ad esso e lasciarsi andare al nulla che esso produce quando lo si affronta in chiave individualistica e unicamente del *qui ed ora*, abbiamo coniato l'inganno degli inganni: il concetto casualistico che, a sua volta, genera il nichilismo del materialismo più deprimente.

Non riuscendo ad entrare "in casa di Dio", abbiamo deificato il caso e ci si è cercati di consolare attraverso le soddisfazioni effimere di un sapere positivista che, però, non può mai essere definitivo. Ed è qui il dramma della scienza occidentale o, meglio, di quel cappotto di positivismo arido e deprimente che le si è voluto dare: credersi superiori ad ogni altra forma di sapere ma, al tempo stesso, essere tuttora circondati dal mistero e rendersi conto, se almeno si riesce a fare questo, che, purtroppo, non siamo in grado di formulare alcun concetto definitivo.
La perdita, dunque, del vero "senso della vita", è in definitiva la perdita di noi stessi e dell'universo, limitandoci ad ammirarne e studiarne la confezione ma non riuscendo più a sollevarne il coperchio.
Le tragedie che ci travolgono spesso, a livello sia personale che individuale, vengono subite e non capite. Ci creano una risposta di istintiva ribellione inducendoci a svalutare sia la vita che un eventuale senso di essa. ma, così facendo, non otteniamo altro risultato che darci la zappa sui piedi: suicidiamo noi stessi. Angela Volpini, una pensatrice, ha scritto:

"Il senso della vita è l'opportunità che ogni uomo ha venendo al mondo ma che ben pochi raccolgono e sviluppano. Tutte le culture elaborate dagli uomini nel corso della storia hanno trasferito fuori dell'uomo il senso dell'uomo. Ogni cultura ha ritenuto necessario rappresentarsi un creatore, un principio vitale, un essere, un'energia come origine della vita e quindi padrone della vita stessa. Solo questa entità poteva dare il senso della vita dell'uomo. L'uomo non poteva che finire per accettare, come senso della propria vita, ciò che la cultura o la religione inerente il suo contesto storico gli offriva e gli proponeva.

Io credo che la sofferenza, la tristezza e forse la morte stessa è entrata nell'uomo proprio a motivo di questo fatto: sapere che vivi individualmente, soffri, speri, hai dei desideri, delle immaginazioni, delle intuizioni dentro di te, elaborate dalla tua psiche, ma tutto ciò non ha valore, non ha il potere di costituire il tuo io, la tua persona. Tutto ciò che l'uomo avverte come proprio e su cui intuisce di avere legittimo potere, cultura e storia glielo sottraggono.

All'uomo non resta che il non senso della sua esistenza individuale da vivere come sofferenza e frustrazione. Anche la capacità creativa, gli affetti, i piaceri non sono sufficienti a dare un senso compiuto alla vita, perché questa, è come se appartenesse ad un altro anche se le sofferenze le registriamo individualmente. A pochi uomini viene in mente che l'atto veramente creativo che un uomo può compiere è quello di darsi da lui stesso il senso alla sua vita.

Questa possibilità è la nostra unica possibilità. Davvero niente e nessuno può dare o togliere senso alla nostra vita se siamo noi che glielo diamo in tutta libertà. Se non glielo diamo, soggettivamente, non ci resta che raccogliere quello esterno a noi, quello che il nostro contesto culturale ha elaborato. Questa accettazione espropria l'uomo dall'unico atto sovrano e fondante la sua stessa umanità come persona unica, consapevole e irripetibile.

L'uomo che non riesce a dare un senso personale alla sua vita è un uomo debole, sofferente e triste. E' un uomo che si sente scorrere la vita addosso senza poterla gustare, senza potere dire mai: " io sono e vivo come io penso debba essere la mia vita. Solo nel desiderio resta intatta l'intuizione che si ha tutto il diritto e la libertà di dare alla vita il proprio senso.

Ma il desiderio, per la cultura e la fede tradizionale della maggioranza degli uomini, non è che sogno o fantasia ed anche in noi, sovente, non fa che aumentare la frustrazione.
La vita umana, come la vita in sé, non ha come finalità che quella di riprodursi. Solo nell'uomo la vita aspetta di essere finalizzata. Ed è proprio l'uomo e solo l'uomo che può finalizzare la sua vita alla pienezza che vuol dire: coscienza di essere uno, unico, originario-originale e comunicante e con ciò dare senso alla vita stessa, anche a quella non ancora arrivata alla coscienza.

Questo processo è un atto creativo: l'atto creativo per eccellenza, che rende l'uomo referente di tutto ciò che è, ed è in questo atto che l'uomo diventa persona. Il termine persona qui prende tutta la sua valenza di unicità e apertura alla relazione con tutto ciò che è. A questo punto il senso della vita è pieno, godibile ed esaltante.
L'uomo finalmente scopre che, avendo dato senso a se stesso, lo ha dato anche a tutto il mondo perché finalmente può porsi e sentirsi referente di tutto quello che c'è e offrirsi altrettanto.
Si comprende allora che ogni uomo diventato persona, attraverso il suo atto creativo, è la fonte della gioia e della conoscenza di ogni altro.
Le difese cadono ed incomincia la meraviglia della contemplazione. Finalmente riusciamo a vedere quanto sia bello il mondo e quale opportunità straordinaria sia capitata a noi in questo mondo:

"Esserci"
Il 30% dei casi di depressione si producono quando la gente si rende conto che la vita non ha senso. Così lo dichiarano esperti in logoterapia della scuola psicologica fondata dal psichiatra austriaco Victor Frankl. "Il problema é che viviamo in un mondo nel quale è difficile trovare un senso alla vita, in primo luogo perché la scuola, la famiglia e la società stessa non ci hanno insegnato a cercarlo". Lo afferma Óscar Ricardo Oro, presidente della fondazione argentina di logoterapia, che venne in Colombia per esporre i principi di questa scuola di psicologia.

L'origine ebrea di Frank, lo condusse a dover sopportare lunghi periodi in campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale. Sopravvisse a tutti applicando le teorie che già aveva sviluppato e che si fondano su principi molto semplici come "la vita, anche nei momenti peggiori, mai manca di senso".
(http://www.ecplanet.com/canale/salute-7/psicologia-84/1/0/14230/it/ecplanet.rxdf)

Se tutto questo, come credo, è vero, non possiamo begare che la nostra epoca ha accentuato il perpetuo errore umano di dimenticarsene. Commenti di sociologi, pensatori, filosofi e religiosi sull'aleatorietà dei cosiddetti beni materiali" si sprecano e pare diano fastidio al libero pensatore che non riesce a districare il bandolo della matassa in mezzo alla quale vita e morte, con le loro manifestazioni estreme, ci pongono. La morte, in particolare, ci trova del tutto soccombenti: nati e cresciuti in una società nella quale *scienza* è sinonimo di una razionalità che può e pretende di spiegare tutto in termini meccanicistici o casuali (potrei dire di una "meccanica della casualità"), quando la morte ci tocca da vicino, la nostra anima non sta più al gioco: chiede il conto. Il fragile castello di carte che le nostre paure avevano eretto si dimostra del tutto insufficiente non soltanto a colmare l'immenso dolore che la perdita di una persona cara ci provoca ma, soprattutto, l'incommensurabile senso di vuoto che, da essa, ci sommerge. Questo è l'errore imperdonabile del nostro occidentale "sapere razionale"! Se questo cosiddetto "sapere" ha superato la soglia del dubbio ed ha messo radici dentro di noi, possiamo star certi di essere diventati fuscelli al vento degli eventi, foglie d'autunno senza più vita che si lasciano trasportare dai soffi spesso crudeli di eventi di cui nemmeno sospettiamo le vere trame. C'è chi cerca di ribellarsi a questo stato di cose ma compie il terribile errore, spesso fatale, di ribellarsi non tanto al concetto di una scienza materialistica onnipotente che ci è stato inculcato bensì all'idea che possa *esserci altro*. E' una vendetta, una forma particolare di debolezza umana che somiglia a chi, non riuscendo ad avere qualcosa o a raggiungerla, la disprezza.

Ma non si può ingannare se stessi: la meta agognata nel profondo e che, per averla mancata, stiamo insultando, disprezzando, infangando creando di contro un credo del nulla, dell'apparenza, del puro caso, emergerà sempre, prima o poi, in svariate forme soggettive. La prima e più probabile è il senso di una profonda depressione dell'essere. Fronteggiarlo potrebbe creare un altro, tragico, delirante errore: inasprire l'avversità, negare che ci sia *altro*, sfuggire all'insopportabile senso di solitudine e di errore esistenziale che, se non fosse così, ci sommergerebbe. In questo caso, non si farebbe che affrettare la nostra condanna al *nulla*.
C'è, infine, un aspetto della vita che non va dimenticato: la spontaneità.
Voglio, allora, concludere questo intervento con le parole di un ragazzo, Matteo, che su Internet ha scritto al proposito: "L'attività spontanea non è l'attività coatta, alla quale l'individuo è spinto dall'isolamento e dall'impotenza; non è l'attività dell'automa, che è assimilazione acritica di modelli suggeriti dall'esterno. L'attività spontanea è libera attività della propria essenza e implica, in termini psicologici, quello che la radice latina della parola, sponte, significata letteralmente: di propria libera volontà. Per attività non intendiamo il «far qualcosa», bensì quell'attività creativa che può operare nelle proprie esperienze emotive, intellettuali e sensuali, e anche nella propria stessa volontà. Un presupposto di questa spontaneità è l'accettazione della personalità totale, e l'eliminazione della spaccatura tra «ragione» e «natura»; infatti, solamente se l'uomo non reprime parti essenziali del proprio essere, solo se è diventato trasparente a sé stesso, e solo se le diverse sfere della vita hanno raggiunto una fondamentale integrazione, l'attività spontanea è possibile.

Benché la spontaneità sia un fenomeno relativamente raro nella nostra civiltà, non è che ne siamo completamente privi. Per aiutare a comprendere questo punto, vorrei ricordare al lettore alcuni casi in cui tutti incontriamo scampoli di spontaneità.

In primo luogo, conosciamo individui che sono - o sono stati - spontanei, i cui pensieri, sentimenti e atti sono l'espressione di loro stessi e non di un automa. Questi individui ci sono familiari per lo più come artisti. Infatti l'artista può essere definito un individuo in grado di esprimersi spontaneamente, e proprio così lo definiva Balzac; in tal caso, anche certi filosofi e scienziati devono pure essere chiamati artisti, mentre altri che passano per essere artisti ne sono invece tanto lontani quanto un vecchio fotografo può esserlo da un pittore creativo. Ci sono poi altri individui i quali, pur non avendo la capacità - o forse semplicemente la preparazione - per esprimersi in un mezzo oggettivo come fa l'artista, possiedono la stessa spontaneità. Ma la posizione dell'artista è vulnerabile, poiché in realtà si rispetta l'individualità e la spontaneità del solo artista riuscito; se non riesce a vendere la sua arte, egli resta per i suoi contemporanei un eccentrico, un nevrotico, così come il rivoluzionario vittorioso viene poi considerato uno statista, mentre il rivoluzionario fallito non è altro che un criminale.

I bambini offrono un altro esempio di spontaneità. Hanno la capacità di sentire e pensare ciò che è veramente loro; questa spontaneità si manifesta in quello che dicono e pensano, nei sentimenti che i loro visi esprimono. Se ci si chiede perché i bambini piacciono alla maggior parte delle persone, credo che la risposta, a prescindere dalle ragioni sentimentali e convenzionali, vada cercata proprio in questo carattere della spontaneità.
Essa attira profondamente chiunque non sia talmente arido da aver perduto la capacità di percepirla. In realtà non c'è nulla di più accattivante e convincente della spontaneità, in chiunque la si trovi."

FONTE : Articolo di Antonio Bruno
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