YAMA NIYAMA III
di Paolo Quircio
La parola Brahmacharya è composta da Brahman, l’Entità Suprema, e charya, che vuol dire ‘seguire’ e, per estensione, ‘comportamento’, ‘condotta’; quindi Brahmacharya è la condotta che ci porta verso Brahman. Questa parola viene usata in due contesti diversi con connotazioni apparentemente distanti tra loro; è il primo dei quattro Ashrama, le fasi della vita, ed è il quarto Yama.
Come Ashrama indica la parte della vita dedicata all’apprendimento, che va dalla nascita alla giovinezza, età in cui si accede al secondo Ashrama, il Grihasthashrama, la fase in cui si lavora, si mette su famiglia, si partecipa alla vita sociale. Come Yama assume invece generalmente il significato di ‘castità’, ‘astinenza sessuale’. Approfondendo la comprensione di Brahmacharya come Yama, come regola etica e comportamentale, vedremo anche che le due accezioni non sono poi così distanti come appaiono. Infatti l’apprendimento a cui si fa riferimento nel sistema delle Ashrama è principalmente di natura spirituale, ed è quindi una ‘condotta che conduce verso Brahman’.
Credo sia opportuno chiarire innanzitutto che il divieto, o meglio, la limitazione delle pratiche sessuali nello Yoga non ha nulla a che fare col concetto di peccato. Il grande santo bengalese Swami Vivekananda diceva che l’Induismo non riconosce peccatori, riconosce solo individui a diversi livelli di sviluppo. Il termine sanscrito papa, che normalmente viene tradotto con ‘peccato’, in realtà indica ciò che è adharma, ciò che ci ostacola sulla o ci allontana dalla via del perfezionamento, dal raggiungimento di Moksha, la liberazione dal ciclo di nascite e morti. Questo va specificato soprattutto in riferimento all’analogo divieto di compiere ‘atti impuri’ presente nelle religioni di ceppo semitico, tutte e tre orientate verso una decisa sessuofobia, anche se poi i patriarchi dell’Antico Testamento avevano quasi tutti mogli e concubine, e queste ultime avevano anche dato loro numerosi figli. Nello Yoga il concetto è abbastanza diverso.
È importante sottolineare che l’invito alla continenza sessuale fa parte di un più vasto invito all’astensione da tutti i piaceri derivanti dai sensi, tra cui quello sessuale è comunemente considerato il più attraente, il piacere per eccellenza. Abbiamo detto che ogni Yama racchiude in sé tutto il percorso dal grossolano al sottile che è proprio dell’intera Sadhana, la pratica spirituale. Si è già visto come l’essere umano, il Jiva, è composto dall’Atman, frazione o riflesso del Brahman, l’Essere Supremo, e dai suoi aggregati limitanti, le Upadhi, corpo, prana e mente.
Le Upadhi, a loro volta, sono composte da tre corpi, Sharira Traya, e da cinque involucri detti Kosha, che avvolgono l’Atman, uno dentro l’altro, come una matrioska. I tre corpi sono quello grossolano, Sthula Sharira, il corpo fisico, composto dai cinque elementi; il corpo sottile, Suksma Sharira, composto da prana, organi di percezione e di azione, mente (manas) e intelletto (buddhi); Karana Sharira infine è il corpo causale, il seme, l’energia potenziale degli altri due, ed è quello che, insieme al corpo sottile o astrale, emigrerà alla morte del corpo fisico, per reincarnarsi in un altro corpo, in un’altra nascita. Anche gli involucri vanno dal più grossolano, Annamaya Kosha, l’involucro del cibo, il corpo fisico, a quelli via via più sottili: Pranamaya Kosha, l’involucro vitale, Manomaya Kosha, quello mentale, Vijnanamaya Kosha, quello della mente superiore, e infine Anandamaya Kosha, l’involucro della beatitudine, che corrisponde al Karana Sharira.
Come già detto in precedenza, tutta la Sadhana consiste in uno sgrossamento del nostro essere e sentire e, contemporaneamente, ad un elevazione dei livelli di consapevolezza. Nella persona comune la consapevolezza non va oltre l’Annamaya Kosha, il Pranamaya Kosha e, parzialmente, il Manomaya Kosha. Quindi parliamo di corpo grossolano, fisico, e una parte di quello astrale. Man mano che grazie alla Sadhana i livelli di consapevolezza si innalzano, si prende contatto con le parti più sottili del nostro essere. In questo processo di progressivo passaggio dal grossolano al sottile del nostro modo di percepire noi stessi, i precedenti livelli di consapevolezza vengono non abbandonati, ma risistemati in una differente scala di priorità.
Per fare un esempio, un neonato ha scarsa consapevolezza persino del proprio corpo fisico, eppure subito si attacca al seno della mamma e inizia a succhiare, come fanno anche un agnello o un vitello; dopo un po’ inizia a studiarsi le mani, i piedi, ma non controlla ancora i propri movimenti. Piano piano saprà come muoversi con una certa destrezza, afferrerà gli oggetti e li porterà alla bocca, si guarderà intorno, sorriderà, camminerà. Poi, cominciando a prendere coscienza del proprio strato mentale, comincerà ad emettere suoni articolati e a capire la realtà che lo circonda; la sua mente è entrata in azione e sa coordinare, almeno in parte, sia gli organi di percezione, Jnanaindriya, che quelli di azione, i Karmaindriya.
Quando arriva più o meno in età scolare lo sviluppo della consapevolezza del corpo astrale e mentale acquisterà maggiore velocità e diventerà un adulto con tutte le funzioni mentali e vitali che conosciamo. Per la maggior parte dell’umanità il cammino finisce più o meno qui. Per chi intraprende un percorso spirituale inizia un’ulteriore fase, molto più complessa e sottile, che chiamiamo Sadhana, e che ci allontana sempre più dal livello per così dire animale, per portarci a quello dell’uomo spiritualmente elevato e infine all’Illuminazione.
È naturale che in questo percorso di sgrossamento, di passaggio dall’istinto animale, da questo al pensiero umano e quindi all’intuizione superiore, vanno gradualmente abbandonate tutte quelle abitudini che ci tengono ancorati al mondo animale. Per crescere spiritualmente bisogna accantonare quelle cose che fanno parte di Prakriti, la natura, cominciando da quelle più grossolane. A tal proposito Sri Krishna, nella Bhagavad Gita, ci dice le seguenti parole: “Si dice che i sensi siano superiori al corpo; superiori ai sensi è la mente; superiore alla mente è l’intelletto; e chi è superiore anche all’intelletto è Lui, il Sé. Pertanto, conoscendo Lui che è superiore all’intelletto e contenendo il sé con il Sé, uccidi, o Arjuna dalle forti braccia, il nemico sotto forma di desiderio, difficile da vincere! ” B.G. III, 42-43.
In questo percorso spirituale bisogna però stare attenti a rispettare i tempi giusti. Precorrerli può creare danni. L’abbandono del sesso, e di tutti piaceri legati ai sensi in genere, deve andare di pari passo con lo sviluppo spirituale, deve diventare una necessità, non un desiderio represso. Chi ha fatto la scelta di diventare vegetariano, ad esempio, sa bene che quelle vivande che fino a un certo punto della propria vita erano considerate appetibili, addirittura deliziose, dopo il passaggio al vegetarianismo appaiono immangiabili, possono addirittura fare ribrezzo.
Reprimere l’azione derivante dal desiderio senza tagliare le radici del desiderio stesso è molto pericoloso. Se la castità viene imposta anzitempo e per di più senza fornire gli adeguati strumenti per controllarla, si rischia di trovarsi in una situazione difficile da gestire. Oltre a tutti gli strumenti della Sadhana, lo Yoga dispone di alcune tecniche molto utili per trasformare l’energia sessuale, che è molto potente, in Ojas Shakti, l’energia spirituale. Nel corpo abbiamo cinque Prana o Vayu principali, forme di energia vitale, che presiedono alle varie funzioni del corpo stesso. Tra questi abbiamo Apana Prana che fornisce energia sottile a tutte le funzioni corporee che vanno verso il basso: urinare, defecare, ciclo mestruale, parto e eiaculazione.
Nell’Hatha Yoga esistono alcune tecniche che aiutano a invertire il flusso dell’Apana Prana, rimandandolo verso l’alto. Tra queste Siddhasana, una posizione seduta con le gambe incrociate e uno dei talloni appoggiato fermamente contro il perineo, sede del Muladhara Chakra, il Chakra che distribuisce l’energia negli organi sessuali. A questa postura si unisce il Mulabandha, la chiusura dello sfintere anale, che porta anche alla chiusura del perineo e di nuovo del Muladhara Chakra. Inoltre le posizioni invertite, a testa in giù, come Sirsasana o Sarvangasana, che aiutano a far salire il Prana che altrimenti andrebbe nella direzione opposta.Queste ed altre tecniche aiutano l’aspirante a sradicare il desiderio e a trasformare l’energia sessuale in energia spirituale.
Se nel sutra riguardante Ahimsa, la non violenza, Patanjali spiega che “Quando il praticante è fermamente stabile nell’Ahimsa, intorno a lui non ci sarà ostilità” Yoga Sutra II, 35. Riguardo a Satya, la verità, “Quando il praticante è fermamente stabile nella verità, le azioni daranno i loro frutti, interamente a causa di ciò” Y.S. II, 36. Per Asteya, l’onestà, “Quando il praticante è fermamente stabile nell’onestà, tutte le gemme andranno da lui spontaneamente” Y.S. II, 37. E infine “Essendo fermamente stabili nel Brahmacharya si ottiene Virya” Y.S. II, 38. Virya vuol dire liquido seminale, ma anche forza.
Così l’abbandono della ricerca di alcuni risultati attraverso vie poco etiche, si trasformerà, secondo quanto afferma Patanjali Maharishi, nel conseguimento delle stesse cose, ma ad un livello molto più sottile ed elevato, privo di tutte le scorie che un pensiero inquinato porta con sé. Sappiamo che il piacere derivante dall’appagamento dei sensi è generalmente effimero e per quanto intenso, non potrà mai reggere il confronto con il senso di beatitudine, di Ananda, derivante dalla pratica spirituale. Beatitudine che, oltre a raggiungere vette sempre più sublimi nel corso della Sadhana, contrariamente ai piaceri dei sensi, non ha alcun controeffetto negativo e, soprattutto, non ha fine.
Per quanto riguarda il Bramacharya in particolare va tenuto presente che Virya, il liquido seminale, ha un’energia tremenda, perché deve dare origine ad una nuova vita, e trasformando questa energia in energia spirituale, sublimandola in qualcosa di puro, i risultati possono essere davvero eccezionali.
La questione del desiderio sessuale e della sua sublimazione, ripeto, sublimazione non repressione, va vista anche dal punto di vista della fase della vita in cui ci si trova. Il Grihastha, la persona di famiglia, che lavora, cresce i figli, accudisce i genitori anziani, vive nella società, con tutti i problemi che ciò comporta, pur cercando di dare un’impostazione spirituale alla propria vita, troverà molto difficile, forse impossibile sradicare il desiderio sessuale. Come detto in precedenza, reprimerlo tout court potrebbe trasformare l’aspirante in una sorta di pentola a pressione, pronta a esplodere in qualsiasi momento.
Col passare degli anni, quando il desiderio tende naturalmente a scemare e si cominciano a sentire gli effetti di una pratica spirituale prolungata nel tempo, sarà più facile ridurre, anche abbandonare le pratiche sessuali senza troppo sforzo. Ricordiamo il primo degli Yoga Sutra: “Atha yogānuśānam” che vuol dire “Adesso, pertanto, le istruzioni complete sullo Yoga”.
Quella parola Atha, adesso, non è assolutamente casuale (non una parola lo è negli Yoga Sutra) ci dice che il percorso non inizia qui, ma che al Raja Yoga, così com’è codificato da Patanjali, si accede dopo essersi precedentemente purificati con il Karma Yoga e con il Bhakti Yoga. Purtroppo oggi, con l’enorme diffusione che sta avendo lo Yoga in tutto il mondo, alcune regole sono state stravolte.
Normalmente si inizia la pratica direttamente dal terzo anga del Raja Yoga, asana, senza nessuna pratica propedeutica; a volte, fin troppo spesso, ci sono insegnanti che insegnano cose molto avanzate, quasi esoteriche, come il Kundalini Yoga, a persone che non sanno neanche cosa sia e perché si pratica il Kundalini Yoga, e che precedentemente non hanno fatto nessuna purificazione fisica, mentale e spirituale, rischiando di produrre nei loro allievi seri danni, soprattutto al corpo astrale.
In molti antichi testi indiani, soprattutto in quelli detti Dharmashastra, libri relativi al Dharma, alle regole del comportamento sia individuale che sociale, si parla dei quattro Purushartha, gli obiettivi della persona. Essi sono Artha, il benessere materiale, Kama, il piacere dei sensi, il desiderio, Dharma, le regole da seguire per elevarsi spiritualmente e infine Moksha, la liberazione dalla ruota di nascite e morti conseguente all’Illuminazione. Non c’è niente di male, soprattutto per un Grihastha, cercare il benessere materiale, sostenere la propria famiglia in maniera decorosa.
L’importante è che ciò avvenga nel pieno rispetto delle regole etiche, soprattutto che non diventi l’unico scopo della vita. Altrettanto si può dire di Kama, il piacere dei sensi. Una serena e moderata vita sessuale, possibilmente intrisa d’amore, può non essere un ostacolo insormontabile allo sviluppo spirituale di un Grihastha. Una sfrenata, ossessiva ricerca di nuovi partner, di continuamente nuove sensazioni, sempre più estreme, o peggio l’uso della violenza, del mercimonio e della prevaricazione nelle proprie pratiche sessuali sono tutte abitudini che impediscono in maniera assoluta qualsiasi progresso nel percorso spirituale. Tutti i Dharmashastra affermano la superiorità di Dharma rispetto ai precedenti Purushartha, e certamente ciò non stupisce. I primi due, Artha e Kama, sono obiettivi che a un certo punto, quando si comincia a superare la fase familiare e sociale, vanno gradualmente abbandonati, orientando tutto il proprio essere verso il rispetto del Dharma, al fine di conseguire l’ultimo, il più elevato Purushartha, lo scopo finale di ogni esistenza, il conseguimento di Moksha, la liberazione.
Paolo Quircio
Kerala, 22-04-2018
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