Là dove é il tuo amore, un giorno sarai anche tu

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I SENTIERI DELL' ESSERE
Le mille Vie della Spiritualità
I SENTIERI DELL' ESSERE
LA PRATICA DA SEGUIRE
Un monaco chiese a Dong-Shan:
C'è una pratica che le persone debbano seguire?
Dong Shan rispose:
quando diventi una vera persona c'è una tale pratica.
Sai essere freccia, arco, bersaglio?
<b>Sai essere freccia, arco, bersaglio?

Sai essere freccia, arco, bersaglio?
Conosci la sequenza delle costellazioni?
La fusione dell'idrogeno in elio?
Sai misurare la tua integrità?
Se rispondi
Avrai l'immortalità.

Laura Scottini

MEDITAZIONE TAOISTA
<b>MEDITAZIONE TAOISTA </b>





 

Chiudi gli occhi e vedrai con chiarezza.
Smetti di ascoltare e sentirai la verità.
Resta in silenzio e il tuo cuore potrà cantare.
Non cercare il contatto e troverai l'unione.
Sii quieto e ti muoverai sull'onda dello spirito.
Sii delicato e non avrai bisogno di forza.
Sii paziente e compirai ogni cosa.
Sii umile e manterrai la tua integrità.

 

IL VUOTO CHE DANZA
IL VUOTO CHE DANZA










di H.W.L. Poonja


Rimani ciò che sei ovunque tu sei.
Se fai così, saprai immediatamente
di essere Quello che hai cercato
per milioni di anni.

Non c'è ricerca,
perchè si cerca solo qualcosa che si è perso.
ma quando niente è andato perduto
non ha senso
cercare qualcosa.

Qui semplicemente Stai Quieto.
Non formare nemmeno un pensiero nella mente.
Allara saprai
Chi sei realmente.

per tre motici la ricerca e la pratica
sono follie fuorvianti
sono l'inganno della mente
per posporre la libertà.
Continua...

PAROLE SU DIO
PAROLE SU DIO

di Simone Weil

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. … Così pure, la prova che un bambino sa fare una divisione non sta nel ripetere la regola; sta nel fatto che fa le divisioni.

Il bello è ciò che si desidera senza volerlo mangiare. Desideriamo che sia. Restare immobili e unirsi a quel che si desidera senza avvicinarsi. Ci si unisce a Dio così: non potendosene avvicinare. La distanza è l’anima del bello.

Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell’ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi paralizzato dalla più dolorosa ferita: “Qual è il tuo tormento?”. La pienezza dell’amore del prossimo sta semplicemente nell’essere capace di domandargli: “Qual è il tuo tormento?”, nel sapere che lo sventurato esiste, non come uno fra i tanti, non come esemplare della categoria sociale ben definita degli “sventurati”, ma in quanto uomo, in tutto simile a noi, che un giorno fu colpito e segnato dalla sventura con un marchio inconfondibile. Per questo è sufficiente, ma anche indispensabile, saper posare su di lui un certo sguardo. Continua...
I BAMBINI
DAGLI OCCHI DI SOLE

I BAMBINI<br> DAGLI OCCHI DI SOLE










Vidi i pionieri ardenti dell’Onnipotente
superando la soglia celeste che è volta alla vita
discendere in frotta i gradini d’ambra della nascita;
precursori d’una moltitudine divina,
essi lasciavano le rotte della stella del mattino
per l’esigua stanza della vita mortale.

Li vidi traversare il crepuscolo di un’era,
i figli dagli occhi di sole di un’alba meravigliosa,
i grandi creatori dall’ampia fronte di calma,
i distruttori possenti delle barriere del mondo
che lottano contro il destino nelle arene della Sua volontà,
operai nelle miniere degli dei,
messaggeri dell’Incomunicabile,
architetti dell’Immortalità.

Nella sfera umana caduta essi entravano,
i volti ancora soffusi della gloria dell’Immortale,
le voci ancora in comunione coi pensieri di Dio,
i corpi magnificati dalla luce dello spirito,
portando la parola magica, il fuoco mistico,
portando la coppa dionisiaca della gioia,
Continua...
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI
IL SEGRETO DELLE STELLE CADENTI

di Maurizio Di Gregorio

Tutti cerchiamo qualcosa. Se lo cerchiamo nel mondo materiale pensiamo di trovarlo all’esterno di noi stessi. Se lo cerchiamo nel mondo spirituale siamo portati a credere di poterlo trovare all’interno di noi. Una massima dice: la risposta è dentro di te. Una battuta invece dice: la risposta è dentro di te, ma è sbagliata. Ambedue le affermazioni sono vere perché si riferiscono a due esseri diversi. Uno vero e l’altro falso. Come si fa a sapere quale é l’Io interiore che contiene tutte le risposte della vita? Dalla felicità. Nel primo caso si sa solo che si è felici, sia pure per un attimo, si è completamente, immensamente e interamente felici e più correttamente si dovrebbe chiamarla beatitudine. Nel secondo caso sappiamo solo, che a dispetto di ogni altra cosa, momentanea soddisfazione o eccitazione, non si è veramente felici. 
Aivanhov, definendo la natura umana, parla della coesistenza di una natura inferiore e di una natura superiore. All’interno di ognuno è una continua lotta tra due esseri (o stati di essere) in competizione che Aivanhov chiama Personalità e Individualità. “Persona “ è la maschera e in ogni incarnazione la maschera è diversa, “Individualità” è l’abitante della maschera, colui che non cambia, il vero Sé divino. La personalità è in parte ancora inesistente nel bambino ma già tracciata, si sviluppa con l’età come la trama di un tessuto e si consuma nella vecchiaia. Il risveglio dell’anima consiste nel riconoscimento del Sé interiore e nell’abbandono momentaneo della maschera della personalità. Ora anche se possiamo capire qualcosa del nostro essere maschera, né la mente, né il cuore né la volontà sono risolutivi.
E questo perché mente cuore e volontà sono una triade che esiste tanto nella natura delle Individualità quanto nella natura della Personalità.
“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” Quale è, in ogni dato momento, il cuore che chiede, la mente che cerca, la volontà che agisce? La strada dell’evoluzione spirituale, cioè della evoluzione dell’essere allo Spirito, è insidiosa perché ad ogni sviluppo della Individualità segue uno sviluppo della Personalità. Differentemente il discernimento è possibile solo dal punto di vista della Coscienza Superiore che è esattamente ciò che si illumina.
Fuori da questa esperienza si persiste sempre in un tipo di coscienza media, anche se ampliata o sofisticata, una coscienza media perché media in un equilibrio precario le necessità delle due nature....Continua...
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA
I SETTE ASPETTI DELLA NUOVA COSCIENZA

di Ervin Laszlo

Il grande compito, la grande sfida del nostro tempo è cambiare se stessi.
Questo elenco delle principali caratteristiche della nuova visione, della nuova coscienza, è scritto per stimolare la trasformazione, perché è possibile acquisire una nuova consapevolezza, perché tutti possono evolvere, tante persone l'hanno già fatto ed è diventata una conditio sine qua non della nostra sopravvivenza sulla Terra.
La prima caratteristica è l'olismo, la visione olistica, per contrastare la visione frammentaria, disciplinaria, atomistica, che separa tutto: la mente dalla natura, l'uomo e la società dalla biosfera, e tutti i campi della realtà l'uno dall'altro. La visione olistica è proprio quella comprensione Continua...
I FIGLI DELLA LUCE
I FIGLI DELLA LUCE




 


I Figli della Luce si nutrono di Pace, Libertà, Amore, Giustizia, Grazia, Benevolenza, Comprensione, Compassione, Generosità, Bontà, Luce, Verità, Positività, trasmettendo tutto questo intorno a loro. Le creature che vengono in contatto con i Figli della Luce percepiscono la Positività dell’operato della “Luce Amore” e uno stato di benessere entra in loro. Non sono consapevoli della fonte di questa Positività, ma stanno volentieri in compagnia dei Figli Luce dispensatori d’Amore.
Continua...
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA
UNA SPIRITUALITA' ECOLOGICA

di Matthew Fox

L’ecologia e la spiritualità sono le due facce della stessa medaglia. La religione deve lasciar andare i dogmi in modo da poter riscoprire la saggezza del mondo.
Come dovrebbe essere una religione ecologica? Negli ultimi 300 anni l’umanità è stata coinvolta in una grande desacralizzazione del pianeta, dell’universo e della propria anima, e questo ha dato origine all’oltraggio ecologico. Saremo capaci di recuperare il senso del sacro?La religione del futuro non sarà una religione in senso stretto del termine, dovrà imparare a lasciare andare la religione. Il Maestro Eckhart, nel quattordicesimo secolo disse, “Prego Dio di liberarmi da Dio”. Per riscoprire la spiritualità, che è il cuore autentico di ogni religione vera e fiorente, dobbiamo liberarci dalla religione. Sembra un paradosso. La spiritualità significa usare il cuore, vivere nel mondo, dialogare con il nostro sé interiore e non semplicemente vivere a un livello organizzativo esterno.
E. F. Schumacher, nel suo profetico modo di scrivere, disse, nell’epilogo di Piccolo è bello, “Dappertutto la gente chiede, ‘Cosa posso fare praticamente?’ La risposta è tanto semplice quanto sconcertante, possiamo, ciascuno di noi, mettere in ordine la nostra casa intima, interiore. Per far questo non troviamo una guida nella scienza o nella tecnologia, poiché i valori sui quali esse si poggiano dipendono sommamente dal fine per il quale sono destinate. Tale guida la si può invece ancora trovare nella tradizionale saggezza dell’umanità”.
Tommaso d’Aquino, nel tredicesimo secolo disse, “Le rivelazioni si trovano in due volumi – la Bibbia e la natura”. Ma la teologia, a partire dal sedicesimo secolo, ha messo troppa enfasi nelle parole della Bibbia, o del Vaticano o dei professori, ha messo tutte le uova nel paniere delle parole, parole umane, e ha dimenticato la seconda fonte della rivelazione, la natura!
Il Maestro Eckhart disse, “Ogni creatura è la parola di Dio e un libro su Dio”. In altre parole, ogni creatura è una Bibbia. Ma come ci avviciniamo alla saggezza biblica, alla saggezza sacra delle creature? Col silenzio. C’è bisogno di un cuore silente per ascoltare la saggezza del vento, degli alberi, dell’acqua e della terra. Nella nostra ossessiva cultura verbale, abbiamo perso il senso del silenzio. Schumacher disse, “Siamo ormai troppo intelligenti per sopravvivere senza saggezza”. Continua... 
SULL'ANARCHIA BUDDISTA
SULL'ANARCHIA BUDDISTA di Gary Snyder

Da un punto di vista buddista, l'ignoranza che si proietta nella paura e nel vano appetito impediscono la manifestazione naturale. Storicamente, i filosofi buddisti non hanno saputo analizzare fino a che punto l'ignoranza e la sofferenza erano dovuti o favoriti da fattori sociali, considerando il timore e il desiderio come fatti intrinseci alla condizione umana. Così, la filosofia buddista si interessò principalmente alla teoria della conoscenza e la psicologia fu svantaggiata, per dare più spazio allo studio dei problemi storici e sociologici. Anche il buddismo Mahayana possiede un'ampia visione della salvezza universale, la sua realizzazione effettiva si è concretizzata nello sviluppo di sistemi pratici di meditazione per liberare a una minoranza di individui da blocchi psicologici e condizionamenti culturali. Il buddismo istituzionale è stato chiaramente disposto ad accettare o a ignorare le disuguaglianze e le tirannie sotto il sistema politico che vigeva. È stata come la morte del buddismo, posto che è comunque la morte che riesce a far comprendere il significato della compassione. La saggezza senza compassione non sente dolore.
Continua...
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Meditazione e Yoga


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SOLO NEL SILENZIO PERCEPIAMO LA NOSTRA VITA PRESENTE
SOLO NEL SILENZIO PERCEPIAMO LA NOSTRA VITA PRESENTE

di Bianca Carelli

La mentalità comune ritiene che silenzio sia semplicemente la mancanza di parola; la nostra società, presa dal vortice delle parole, teme il silenzio, che appare invece spesso utile e necessario, e, in alcune circostanze, saggio e sacro.
La parola è estremamente importante nei gruppi umani ma ha anche dei limiti: non arriverà mai ad esprimere perfettamente ciò che vorremmo perché ogni espressione verbale, per quanto possa apparire significativa, è sempre, almeno in parte, una cristallizzazione del nostro retaggio culturale. Le esperienze più alte sono sempre indicate, da mistici e illuminati, come “ineffabili”, proprio perché stra-ordinarie e
dirompenti.
Ecco perché il vero silenzio interiore può contribuire a farci percepire meglio il senso e la funzione di ogni parola, ad avvertirne la pertinenza o l’inutilità e, spesso, a collegarci con maggiore intensità e consapevolezza con ciò che ci circonda:
La persona solitaria, ben lontana da chiudersi in se stessa, diventa una con tutti. Partecipa della solitudine, della povertà, dell'indigenza di ogni essere umano. (Thomas Merton)
E’ nel silenzio che riusciamo a trascendere ogni forma di linguaggio stereotipato. In esso entriamo nella dimensione del meta-linguaggio, il quale ci aiuta a padroneggiare meglio la situazione per non scadere nei luoghi comuni e lasciarci incoscientemente condizionare dalla mentalità corrente. Poichè:  È solo nella solitudine e nel silenzio che la nostra vita è realmente presente, che noi rispondiamo veramente al battito del cuore dell'universo e siamo liberi di contemplare il miracolo dell'esistenza. Forse non il mondo della strada ma il mondo del qui ed ora. Continua...
I MANTRA E IL LORO USO NELLA MEDITAZIONE
I MANTRA E IL LORO USO NELLA MEDITAZIONE

di Paolo Quircio

Prima di parlare dei Mantra, sarà utile, almeno per chi non abbia già almeno un’infarinatura di Yoga e Vedanta, fornire al lettore alcune informazioni utili a capire meglio cos’è un Mantra, come è strutturato, quali sono i tipi di Mantra, perché è così importante e onnipresente nella pratica dello Yoga e che uso ha nella Meditazione.
I Mantra, sotto varie forme, esistono in molte vie spirituali e religiose, si pensi all’Amen o al Kyrie, ma forse solo nelle filosofie spirituali Indiane e negli altri percorsi che provengono da questa parte del mondo, come il Buddhismo o lo Zen, ha assunto una completezza tale da diventare una vera e propria scienza, oltre che una branca del Raja Yoga, il Mantra Yoga, appunto.
Vorrei brevemente sottolineare il fatto che i nomi ‘India’ e ‘Induismo’ sono, in realtà, estranei all’India, essendo stati creati dai primi viaggiatori provenienti dall’Occidente. Essi erano giunti sulle sponde del fiume Indo, che allora si chiamava Sindhu, e che attualmente scorre per quasi tutto il suo corso in Pakistan, pur nascendo nel versante indiano dell’Himalaya. Quindi, tutto ciò che era aldilà del fiume venne chiamato India e, di conseguenza, le genti che lì vivevano, Indiani, e la loro religione, Induismo. In effetti, gli ‘Indiani’ chiamano la loro terra Bharatavarsha, la terra dei discendenti di Bharata, grande re leggendario, e la loro religione Sanatana Dharma, l’antica via.
Antica perché precede la venuta dell’uomo sulla Terra, è sempre esistita, via, perché non ha dogmi, né profeti, né obblighi, ma solo insegnamenti spirituali atti ad elevare gli individui verso la fonte divina originale, quella da cui noi tutti proveniamo e, soprattutto, a condurli fino a Moksha, la liberazione dal ciclo di nascite e morti. Nell’ambito del Sanatana Dharma, esistono sei scuole riconosciute, o meglio, sei Darshana, visioni, punti di vista, perché, anche se realtà, Sat, è e non può essere che una e immutabile, i modi per accostarsi ad essa sono molti, e le Darshana rappresentano i sei principali sistemi epistemologici e gnoseologici.
Le sei Darshana e i Rishi, i saggi veggenti, che le hanno codificate nelle forme che oggi conosciamo, sono: Samkhya, del saggio Kapila; Yoga, messo in forma compiuta da Sri Patanjali nel suo testo ‘Raja Yoga Sutra’; Vaisheshika, esposta dal Rishi Kanada; Nyaya, basata sui Nyaya Sutra di Akshapada Gautama; Purvamimamsa, basata sui Mimamsa Sutra di Jainini, e Uttaramimamsa, meglio noto come Advaita Vedanta, che si fonda sul Brahma Sutra Karika, il commentario dei Brahma Sutra ad opera di Badarayana, e in seguito perfezionata e diffusa dal grande Rishi Adi Shankaracharya. Le due Darshana di cui ci occupiamo sono lo Yoga di Patanjali e l’Advaita Vedanta di Shankara. Continua...
LA FILOSOFIA DEL SOGNO -1
LA FILOSOFIA DEL SOGNO -1

di Swami Sivananda

Svapna è lo stato di sogno in cui l’uomo usufruisce dei cinque oggetti dei sensi. Essi sono tutti a riposo e solo la mente è attiva. La mente è allo stesso tempo soggetto ed oggetto. Essa crea tutte le immagini del sogno. In questo stato, il Jiva è chiamato Taijasa. È presente Antah-Prajna, la coscienza interiore. Le Scritture dicono: “Quando egli si addormenta, in quello stato non ci sono carrozze, né cavalli o strade, ma egli stesso crea le carrozze, i cavalli e le strade.”
Il mondo dei sogni è separato da quello della veglia. L’uomo che dorme nel suo letto a Calcutta, in ottima salute al momento di addormentarsi, nel mondo dei sogni vaga malato per Delhi e viceversa. Il sonno profondo è separato sia dal mondo del sogno che da quello della veglia. A colui che sogna, il mondo del sogno e i suoi oggetti appaiono reali tanto quanto gli oggetti e le esperienze del mondo della veglia. Un uomo che sogna non è consapevole dell’irrealtà del mondo dei sogni. Non è consapevole dell’esistenza del mondo della veglia, separato dal sogno. La coscienza cambia. Questo cambiamento di coscienza crea le esperienze della veglia o del sogno.
Gli oggetti in sé non cambiano. Il cambiamento è solo nella mente. È la mente stessa che gioca il ruolo della veglia e del sogno. Per il sognatore i sogni sono reali finché durano, per quanto incoerenti possano essere. A volte sogna che gli è stata tagliata la testa e di volare.
Chi sogna crede alla realtà del sogno e anche alle diverse esperienze che vi appaiono. Solo quando si sveglia dal sogno, si accorge che quello che ha provato era solo un sogno, illusione, falsità. Analogo è il caso del Jiva nel mondo della veglia. Il Jiva ignorante immagina che il mondo fenomenico del piacere dei sensi sia reale, ma quando si risveglia alla realtà delle cose, quando la sua prospettiva cambia, quando lo schermo di Avidya viene eliminato, egli comprende che anche il mondo della veglia è irreale quanto il mondo del sogno.
In sogno un povero diventa ricco e potente. Gode di molti piaceri. Sposa una Maharani, vive in un palazzo magnifico e mette al mondo diversi figli. Dà la figlia più grande in sposa al figlio di un Maharaja. Va in Europa con moglie e figli. Quindi ritorna e visita vari luoghi di pellegrinaggio. Muore di polmonite a Benares. Tutte queste esperienze le fa in cinque minuti. Che grande meraviglia!
Come nel sogno, così nella veglia, gli oggetti che vediamo sono privi di sostanza, benché le due condizioni differiscano in quanto una è interna e sottile e l’altra esterna, grossolana e prolungata. Il saggio considera sia la condizione di veglia che quella di sogno una cosa sola, a causa della similarità dell’esperienza oggettiva in entrambi i casi. Così come i sogni e le illusioni sono castelli in aria, il Vedanta afferma che anche il cosmo lo è. Continua...
TROVARSI E ARRENDERSI
YAMA E NIYAMA VI

TROVARSI E ARRENDERSI <BR> YAMA E NIYAMA VI
di Paolo Quircio
 
Abbiamo visto in precedenza che nel primo Sutra del Sadhana Pada, il secondo capitolo dell’opera, Patanjali Maharishi spiega che il Kriya Yoga, lo Yoga pratico, si fonda su quelli che verranno poi citati nuovamente nei sutra 43, 44 e 45 come gli ultimi tre Niyama. Abbiamo già parlato di Tapas, gli altri due sono Swadhyaya e Ishvara-pranidhana. Il primo vuol dire ‘studio del sé’, il secondo ‘sottomissione al Divino’.
Prima di affrontare questi due ultimi punti, sarà bene fare un’osservazione: se nel primo capitolo, il Samadhi Pada, Patanjali aveva già spiegato in maniera ampia (sempre compatibilmente con lo stile molto stringato dei Sutra) quali sono gli obiettivi dello Yoga e come raggiungerli, inclusa la distinzione fra i vari tipi di Samadhi e le diverse pratiche spirituali volte al loro conseguimento, perché dà inizio ad un secondo capitolo dedicato proprio alla Sadhana, il percorso spirituale, oltretutto specificando fin dal primo aforisma che questo è lo Yoga dell’azione (Kriya)?
La risposta più plausibile e che la maggior parte dei commentatori dà, è che la prima parte del libro è riservata a coloro che per il loro Karma individuale sono già pronti a quel tipo di cammino. Sono già pronti a intraprendere l’ultima parte della Sadhana, quella che porta direttamente al Samadhi. Parliamo quindi di Jiva che nelle vite precedenti hanno già svolto tutte quelle pratiche purificatorie indispensabili per poter affrontare, come detto, quest’ultima parte di percorso. Patanjali dice: “(L'asamprajnata samadhi può essere posseduto) dalla nascita (da coloro che hanno raggiunto in precedenza) l’assenza di corpo e la fusione con la Prakriti.” Yoga Sutra I, 19.
Ovvero, da coloro che, tramite una Sadhana intensa e prolungata, durata molte vite, hanno raggiunto il punto in cui è sufficiente nascere per completare il percorso che porta al Samadhi. “Per gli altri, l’asamprajnata samadhi è conseguito attraverso la fede, l'energia, la memoria e un'intensa consapevolezza.” Y.S. I, 20. Sono questi gli ingredienti indispensabili perché la Sadhana abbia successo e conduca al Samadhi.  Continua...
I TRIANGOLI DELLA BUONA VOLONTA'
I TRIANGOLI DELLA BUONA VOLONTA'

Bollettino Triangoli n. 204

La Rete dei Triangoli fu fondata negli anni '30 con l'idea che, man mano che sempre più persone si riunivano per servire in gruppi di tre, la rete sarebbe diventata un vettore energetico (una griglia) attraverso cui le energie di luce e di buona volontà potevano fluire nell’arena delle relazioni umane.
Oggi la rete è così ben stabilita che i partecipanti invocano queste energie irradiandole poi verso l'esterno attraverso i loro singoli triangoli e attraverso la rete degli innumerevoli altri triangoli individuali in tutto il mondo. La rete è diventata veramente un campo energetico, apportando costantemente luce e buona volontà in tutte le aree delle relazioni - personali e familiari, nonché comunitarie, nazionali e internazionali. L'irradiazione della mente dell'Umanità con energie di luce sembra un ovvio servizio per i lavoratori spirituali.
Dopo tutto, la luce rivela la via da seguire. Ci consente di "vedere" oltre le dimensioni esterne del tempo e dello spazio e nella qualità e nella condizione esistenziale dell' "altro" e del senza tempo. Attraverso la luce tutto è alla fine rivelato. Quando la luce scorre nella coscienza, gli esseri umani vedono la totalità e l'indivisibilità della vita in tutte le sue sottigliezze e manifestazioni. E quando la visione cambia, il comportamento si trasforma.
Ma perché concentrarsi sulla buona volontà? Sembra quasi superficiale. Perché, ad esempio, non visualizzare le qualità legate all'amore associate all'anima? Qualità come compassione o saggezza, o l'energia elevata della volontà-di-bene? Attraverso la Buona Volontà, le tre energie dell'anima (luce, amore e volontà-di-bene) sono ancorate alle attività umane tra un gran numero di persone, trasformando culture e comunità. L'amore può essere pensato come una forza radiante che è il risultato dell'oblio di sé. È un potere che guarisce, trasforma e potenzia. La volontà-di-bene può essere paragonata a un fuoco spirituale in cui si manifesterà lo scopo fermo e silenzioso del Sé Divino. 
Queste sono qualità che si sviluppano in qualsiasi approccio del discepolato alla spiritualità. Tutti quelli che sono sul sentiero del discepolato sono i pionieri che favoriscono l'evoluzione. Ma è attraverso l'energia più semplice e basilare di buona volontà che l'atmosfera delle relazioni in ogni comunità è addolcita, così che la cooperazione possa prosperare. In qualsiasi comunità o gruppo di persone ci sono sempre quelli che incarnano la buona volontà - che sono degli armonizzatori naturali, quasi istintivi, che vedono il meglio negli altri e che vivono la loro vita con un atteggiamento benigno e semplice. Continua...
SANTOSHA O APPAGAMENTO
- YAMA E NIYAMA VI

SANTOSHA O APPAGAMENTO <br> - YAMA E NIYAMA VI

di Paolo Quircio

“La pratica dell’appagamento conduce ad una felicità estrema”, Yoga Sutra, II, 42.
 Santosha, appagamento, è il secondo Niyama del sistema del Raja Yoga di Patanjali Maharishi. La somiglianza tra questo sutra e l’adagio popolare ‘chi si contenta gode’ non può non saltare agli occhi. Sia l’uno che l’altro sono un evidente inno ad una vita vissuta con semplicità, senza inutili fronzoli, anche se nel sutra troviamo dei punti che lo pongono su un piano assai diverso da quello del proverbio. Credo sia utile sottolinearne due in particolare. Il primo è il concetto di appagamento, Santosha appunto, che non ha quel tocco di supina, paziente remissività, del ‘contentarsi’; esso è piuttosto la conseguenza di un lavoro spirituale già iniziato e che, attraverso la pratica di Santosha, prosegue nel suo percorso di purificazione, di sgrossamento che rende l’aspirante pronto a un ulteriore passo in avanti, lo prepara alle pratiche legate agli altri sei anga del Raja Yoga.
Appagamento vuol dire essere felici con ciò che si ha, ma, soprattutto, essere felici a prescindere da ciò che si ha, perché Santosha ci insegna che la felicità non dipende dal possesso di beni di vario genere. Ci insegna che la felicità è in realtà la nostra vera natura e che soltanto la nostra ignoranza spirituale, Avidya, ci fa credere che essa dipenda invece da agenti esterni. Santosha agisce a monte, perché va a toccare direttamente quello che tutti gli Shastra, i testi sapienziali, riconoscono come causa prima di ogni sofferenza: il desiderio. Nel terzo discorso della Bhagavad Gita, Arjuna chiede: “Dimmi, o Krishna, da che cosa l’uomo è forzatamente spinto, anche contro la sua volontà?” e Krishna risponde: “Dal desiderio (kama) e dalla collera (krodhah): entrambi nati dal Rajas, l’uno colmo di brama e l’altro colmo di odio. Sappi che nel mondo la passione (Rajas) è il nostro avversario. Come il fuoco è oscurato dal fumo, come lo specchio è velato dalla polvere, come il feto è ricoperto dalla placenta, così la saggezza è coperta dal Rajas.”  B.G III, 36-38.
Kama e Krodha sono le due estensioni, le due manifestazioni estreme di Raga e Dvesha, attrazione e repulsione, due dei cinque Klesha, le cinque afflizioni che rendono dolorosa la vita degli umani. Sempre a causa dell’erronea identificazione con il complesso corpo-prana-mente, con quegli attributi fisici e mentali che avvolgono il nostro Atman, la nostra essenza spirituale, divina, e ce lo nascondono, come il fumo nasconde il fuoco. Continua...
SAUCHA O PURIFICAZIONE
- YAMA E NIYAMA V

SAUCHA O PURIFICAZIONE<br>- YAMA E NIYAMA V

di Paolo Quircio

Dopo aver esposto con chiarezza le cinque abitudini e attitudini da evitare affinché la Sadhana possa dare i risultati auspicati, Patanjali Maharishi prosegue il suo percorso didattico spiegando le cinque che invece vanno coltivate e messe in atto, i cinque Niyama. Essi sono: Saucha, Santosha, Tapas, Swadyaya, Ishvara-Pranidhana. Vedremo in seguito il significato di ognuno di essi. Come precedentemente detto riguardo agli Yama, anche i Niyama costituiscono delle regole di comportamento che hanno come effetto la purificazione dell’individuo e lo rendono pronto alla pratica yogica più avanzata.
Forse può essere utile ricordare il senso della parola ‘puro’, soprattutto quando è applicata alla pratica delle discipline spirituali. ‘Puro’ vuol dire non alterato, composto esclusivamente dall’essenza primaria, senza modificazioni né aggiunte. La ricerca della purezza, quindi, è un atto di separazione, di separazione del non essenziale dall’essenziale. Come per rendere pura l’acqua dobbiamo filtrarla ed eliminare tutte le sostanze estranee in essa disciolte, così Yama e Niyama sono i filtri che separano le impurità aggiunte alla nostra essenza divina, operando quindi la separazione dell’Atman dai suoi aggregati limitanti, le Upadhi, il complesso corpo-prana-mente.
Come detto più volte, è un lavoro tutt’altro che facile, ma le alternative sono poche; se lo Yoga non è l’unico modo per arrivare ad un reale sviluppo spirituale, è sicuramente uno dei più efficaci. Per agire avendo in mente il raggiungimento della purezza occorre individuare i fattori inquinanti, prendere coscienza della loro natura intrinsecamente impura, estranea all’essenza primaria, e cominciare a distaccarsene attraverso Viveka, la discriminazione, che ci permette di distinguere tra reale e non-reale, e quindi Vairagya, il distacco, che ci rende testimoni di ciò che accade nel mondo di Prakriti, la natura sensibile, senza prendere parte ad esso, se non per lo stretto indispensabile, e comunque con la consapevolezza di ciò che è. Continua...
APARIGRAHA O LIBERTA' DAL POSSESSO
- YAMA E NIYAMA IV

APARIGRAHA O LIBERTA' DAL POSSESSO <br>- YAMA E NIYAMA IV

di Paolo Quircio
 
Il quinto ed ultimo Yama è Aparigraha. Parigraha vuol dire bramosia, desiderio di possesso, e il prefisso negativo a indica il contrario; quindi mancanza di bramosia e di desiderio di possesso. Abbiamo detto in precedenza che nulla in Patanjali è casuale, né le parole, scelte sempre con grande accuratezza, data anche l’estrema stringatezza del testo, né la collocazione degli argomenti nell’ambito della Scrittura. Gli Yama e i Niyama fanno parte del Sadhana Pada, il secondo capitolo dei Sutra.
Dopo aver descritto, nel primo capitolo, Samadhi Pada, gli obiettivi dello Yoga, nel secondo Patanjali illustra prima gli ostacoli che si frappongono tra l’aspirante e il suo scopo, il Samadhi, l’illuminazione, e quindi i modi per superarli. La Sadhana indicata da Patanjali è un percorso lineare quanto mai logico che l’aspirante segue passo dopo passo, preso per mano dal Maharishi.
Innanzitutto, sutra 1 e 2, ci spiega che il Kriya Yoga, lo Yoga pratico, è composto da purificazione, introspezione e abbandono al Divino, e questo Yoga pratico serve a rendere sempre maggiore la consapevolezza della meta, il Samadhi, e rendere più esili le afflizioni che ne ostacolano il conseguimento. Questa premessa è di fondamentale importanza, soprattutto per quanti ritengano lo Yoga una filosofia e, in quanto tale, soprattutto nel concetto che abbiamo noi Occidentali della filosofia, abbastanza fine a se stessa, un esercizio dialettico e cerebrale staccato dalla vita reale. Il Raja Yoga non è una filosofia, è una straordinaria tecnica di conoscenza di sé, che ci porta sempre più in profondità, fino ad arrivare a conoscere il Sé, il divino che è la nostra vera essenza.  Continua...
CENNI SULLA MEDITAZIONE
CENNI SULLA MEDITAZIONE

di Alice Bailey
 
(1)..Ben presto, dopo aver raggiunto ciò che di più elevato può offrire la natura inferiore, l’uomo comincia a meditare. I suoi tentativi sono dapprima disordinati, e spesso parecchie incarnazioni trascorrono nelle quali il Sé Superiore si limita a costringere l’uomo a pensare e a meditare seriamente solo in occorrenze rare e distanti nel tempo. Più di frequente si presenta l’occasione di ritrarsi interiormente, finchè scorrono per l’uomo alcune vite dedicate alla meditazione ed aspirazione mistica, che culminano in una vita interamente devoluta a ciò...
Alle spalle di ognuno di voi che lavorate in modo definito sotto uno dei Maestri, stanno due vite culminanti: la vita dell’apoteosi mondana e quella della più intensa meditazione lungo la direzione mistica o emotivo-intuitiva...
Per tutti voi ora giunge la serie più importante di vite, cui furono solo mezzi preparatori i precedenti punti di culminazione. Nelle vite del prossimo futuro per coloro che sono sul Sentiero verrà il conseguimento finale, per strumentalità della prescritta meditazione occulta, basata sulla legge. Alcuni vi perverranno in questa vita o nella prossima; altri, fra non molte.  (2 - 12).
(2)  I pericoli che minacciano chi studia la meditazione dipendono da molti fattori, e non sarà possibile fare altro che indicare con brevità alcune condizioni minacciose, mettere in guardia contro certe possibilità pericolose, e richiamare l’attenzione dell’allievo contro certi effetti che si raggiungono per indebita tensione, eccesso di zelo, e singolarità di proposito, che possono condurre ad uno sviluppo non equilibrato. La singolarità è una virtù, ma quando sia singolarità d’intento e di scopo, e non quella che sviluppa una sola via metodica con esclusione di ogni altra.
I pericoli della meditazione sono in gran parte insiti nelle nostre stesse virtù, e qui sta gran parte della difficoltà. Essi sono in larga misura i pericoli di una elevata concezione mentale che precorre la capacità dei veicoli inferiori, specialmente di quello fisico denso. Aspirazione, concentrazione e determinazione sono virtù necessarie, ma se usate senza discriminazione e senza il senso del tempo nell’evoluzione, possono causare uno schianto del veicolo fisico che ritarderà ogni ulteriore progresso in una data esistenza. Continua...
YAMA NIYAMA III
YAMA NIYAMA III


di Paolo Quircio

La parola Brahmacharya è composta da Brahman, l’Entità Suprema, e charya, che vuol dire ‘seguire’ e, per estensione, ‘comportamento’, ‘condotta’; quindi Brahmacharya è la condotta che ci porta verso Brahman. Questa parola viene usata in due contesti diversi con connotazioni apparentemente distanti tra loro; è il primo dei quattro Ashrama, le fasi della vita,  ed è il quarto Yama. Come Ashrama indica la parte della vita dedicata all’apprendimento, che va dalla nascita alla giovinezza, età in cui si accede al secondo Ashrama, il Grihasthashrama, la fase in cui si lavora, si mette su famiglia, si partecipa alla vita sociale. Come Yama assume invece generalmente il significato di ‘castità’, ‘astinenza sessuale’. Approfondendo la comprensione di Brahmacharya come Yama, come regola etica e comportamentale, vedremo anche che le due accezioni non sono poi così distanti come appaiono. Infatti l’apprendimento a cui si fa riferimento nel sistema delle Ashrama è principalmente di natura spirituale, ed è quindi una ‘condotta che conduce verso Brahman’.
Credo sia opportuno chiarire innanzitutto che il divieto, o meglio, la limitazione delle pratiche sessuali nello Yoga non ha nulla a che fare col concetto di peccato. Il grande santo bengalese Swami Vivekananda diceva che l’Induismo non riconosce peccatori, riconosce solo individui a diversi livelli di sviluppo. Il termine sanscrito papa, che normalmente viene tradotto con ‘peccato’, in realtà indica ciò che è adharma, ciò che ci ostacola sulla o ci allontana dalla via del perfezionamento, dal raggiungimento di Moksha, la liberazione dal ciclo di nascite e morti. Questo va specificato soprattutto in riferimento all’analogo divieto di compiere ‘atti impuri’ presente nelle religioni di ceppo semitico, tutte e tre orientate verso una decisa sessuofobia, anche se poi i patriarchi dell’Antico Testamento avevano quasi tutti mogli e concubine, e queste ultime avevano anche dato loro numerosi figli.  Continua...

YAMA E NIYAMA 2
YAMA E NIYAMA 2
di Paolo Quircio

Swami Sivananda nel capitolo di Bliss Divine - Il libro della beatitudine divina dedicato alla Verità ci dice: “La verità è la sede di Dio. La verità è Dio. Solo la verità trionfa. La verità è la legge di base della vita. La verità è il mezzo e lo scopo finale.La verità è la legge della libertà, la falsità la legge della schiavitù  e della morte”.
E non potrebbe essere altrimenti, soprattutto se si pensa all’equivalente sanscrito della parola: Satya. La sua radice è Sat, che vuol dire reale, nel senso più profondo del termine. Nel Vedanta si considera reale ciò che lo è da sempre e per sempre, l’Atman, quindi non effimero e transitorio, come il nostro aggregato di corpo fisico, prana e mente, quelli che nello Yoga vengono definiti Upadhi, gli aggregati limitanti.
Che la verità sia una virtù esaltata e lodata in ogni genere di etica è cosa nota e abbastanza naturale, sia nell’etica ‘umana’ che in quella ‘divina’. In quella umana la sincerità propria presume, o quanto meno fa sperare, anche in quella altrui e, di conseguenza, in una correttezza e un’affidabilità delle relazioni interpersonali che sarebbero gravemente minate dalla mancanza di fiducia nel prossimo. Queste le linee generali, dovremmo dire teoriche, perché nella vita quotidiana la menzogna regna sovrana.
Non solo la falsità viene costantemente diffusa e spacciata per verità, ma se ne fa un uso sistematico di manipolazione delle menti altrui. Governanti, finanzieri, pubblicitari, rappresentanti del potere politico ed economico in genere, sono tutte categorie che vivono di fandonie, che basano il loro immenso potere sull’uso sistematico del falso. La divulgazione al pubblico di documenti segreti ha spesso rivelato come gli episodi che hanno causato alcune tra le più grandi tragedie della storia (...), altro non fossero che menzogne appositamente costruite e abilmente diffuse. Naturalmente questo uso continuo del falso non si limita ai cosiddetti ‘poteri forti’; anche nei rapporti interpersonali di lavoro, di amicizia,  spesso anche in quelli familiari, ci si affida con regolarità al falso, si crea una sorta di realtà parallela, completamente avulsa dal vero, dal reale. Continua...
YAMA E NIYAMA
YAMA E NIYAMA

di Paolo Quircio
 
Secondo le teorie cosmogoniche indiane,(...) l’universo che oggi conosciamo ha avuto origine da un’alterazione dei Guna, inerzia, azione e purezza, le tre qualità che caratterizzano ogni aspetto di Prakriti, la Natura. Finché queste qualità sono state in equilibrio tra loro, tutto era stasi, totale immobilità. Dalla loro alterazione l’energia creatrice inizia a manifestarsi in maniera dapprima sottilissima come Shabdabrahma, il suono-non suono,(...); da qui il primo suono percepibile seppure sottilissimo e imbevuto di energia divina: la sacra sillaba OM; e poi, per progressive espansioni e differenziazioni, via via i cinquanta Varna, colori, sfumature,  (...)
Nel suo percorso karmico l’uomo procede, analogamente all’universo, dal grossolano verso il sempre più sottile.Dall’animale all’umano, dall’umano al superumano, dal superumano al divino. (...) Man mano che si procede lungo il percorso involutivo, lungo la lunga strada del ‘ritorno alle origini’, aumenta la consapevolezza del proprio essere divini, e a sua volta questa consapevolezza fa sì che il proprio livello di vibrazione si elevi. In questo percorso lungo e tortuoso, come aiuto (...) le pratiche spirituali sono molto efficaci e, tra queste, lo Yoga (...) penetra nelle profondità della mente umana, ne coglie i punti di forza e i limiti e ci insegna ad usare i primi per superare questi ultimi. Dei quattro percorsi dello Yoga, Karma, Bhakti, Jnana e Raja, quest'ultimo hè in grado di condurci, (...) a comprendere la nostra vera natura ed eliminare le zavorre mentali che ci impediscono di spiccare il volo verso il Divino. Come molti sanno, il Raja Yoga è detto anche Asthanga Yoga, lo Yoga degli otto anga, delle otto parti, perché è composto appunto di otto stadi, ognuno propedeutico al successivo. I primi due anga sono i cinque Yama e i cinque Niyama.  Continua...
DISTACCO, NON ATTACCAMENTO O VAIRAGYA
DISTACCO, NON ATTACCAMENTO O VAIRAGYA

di Paolo Quircio

Nel XV capitolo della Bhagavad Gita Sri Krishna spiega ad Arjuna la struttura del Cosmo, e del microcosmo individuale che lo riflette in maniera speculare, con un’immagine molto bella e poetica, anche se un po’ criptica. L’Universo viene descritto come un albero di pipal. Questo albero, il cui nome scientifico è Ficus religiosa, è molto diffuso in tutta l’India ed è considerato sacro sia dagli Induisti che dai Buddhisti. Gautama Buddha ottenne l’illuminazione mentre meditava seduto sotto a un albero di pipal. Nei testi induisti si narra di molti convegni tenuti dalla Trimurti, Brahma, Vishnu e Siva sotto a un pipal. Il pipal è sacro anche alla dea Lakshmi e le donne indiane a Lei rivolgono le loro preghiere quando desiderano dei figli e non riescono ad averne.

Per questo è comune vedere nei templi dedicati alla dea, di fronte all’altare, un albero di pipal con dei cordoncini rossi legati intorno al tronco o con dei fazzoletti di vari colori, di solito pieni di riso, annodati come fagotti e appesi ai rami; sono sia dei pegni per la richiesta della grazia, sia dei segni di ringraziamento per averla ottenuta. Inoltre, sia le foglie che la corteccia dell’albero di  pipal sono molto usate nella medicina ayurvedica e ad esse si attribuiscono innumerevoli proprietà terapeutiche. Continua...
DHARMA
DHARMA
 
di Paolo Quircio

La Bhagavad Gita, pur essendo uno degli scritti fondamentali della letteratura sacra della tradizione indiana, non è in realtà un testo a sé stante. I suoi settecento distici o sloka fanno parte di un testo ben più ampio, il Mahabharata, la storia della guerra di Kurukshetra. Lo scontro è il culmine di un lungo dissidio tra i  cinque Pandava, figli di Pandu, e i cento Kaurava, figli del fratello cieco di Pandu, Dhritarastra. La guerra si rende inevitabile vista l’indisponibilità dei Kaurava, guidati dal perfido Duryodhana, a restituire ai cugini la parte di regno che legittimamente spetta loro.
Dopo una lunga serie di episodi, l’intero poema consiste di quasi 100.000 sloka ed è considerato uno dei poemi epici più corposi della storia dell’umanità, si arriva quindi alla battaglia. I due eserciti si schierano uno di fronte all’altro e, prima di dare il segnale di inizio, il capo militare dei Pandava, Arjuna chiede al suo auriga Krishna, il dio Krishna, IX Avatar di Vishnu, di condurlo al centro dei due schieramenti, affinché possa vedere bene i nemici con cui sta per combattere. Lì Arjuna vede non solo i cugini, ma anche zii, maestri, parenti e amici.
L’idea della guerra fratricida, dell’eccidio che porterà distruzione e lutti a persone che egli ama e rispetta, lo turba a tal punto che, lasciando cadere il suo arco dalle mani, in preda ad un profondo abbattimento, comunica all’amico  Krishna che non ha nessuna intenzione di dare il via alla battaglia, né di combattere. Piuttosto che uccidere il suo stesso sangue, preferisce essere ucciso senza difendersi o vivere come un mendicante. Vedendo ciò, Krishna, che da amico diventa Maestro e assume la sua veste di Jagadguru, Maestro universale, poiché rivolgendosi ad Arjuna egli parla all’umanità intera, esorta l’amico e ora discepolo a non dimenticare il suo Dharma, il suo dovere, e combattere. Continua...
LA SCIENZA DEL SERVIZIO
LA SCIENZA DEL SERVIZIO


Bollettino dei Triangoli

Quando il sole transita in una nuova costellazione, si muove anche verso una nuova "dimora" o campo di espressione. La dimora dell'Acquario è conosciuta come il "Servitore" (Trattato di Magia Bianca, p.426 e.i.), evidenziando il campo del servizio stesso. Possiamo vedere, quindi, il potenziale del prossimo ciclo e ciò che ci offre in termini di opportunità per l'espansione dell'anima. Tutti i cambiamenti sono opportunità per un nuovo inizio, un tempo per lasciarsi alle spalle i residui vecchi e polverosi del passato. Pertanto, sotto l’impressione di queste energie che si riversano, si evolveranno nuove forme di servizio che saranno espressioni più fluide e trasparenti per l'anima. Ma l'Acquario sarà anche un'età più scientifica, e quindi impareremo a servire con maggiore precisione, esattezza e ritmo -controllando e dirigendo le energie piuttosto che esserne controllati. La rete dei Triangoli si adatta perfettamente a questi due modi emergenti di servizio perché è allo stesso tempo fluida e creativa, ma è anche un'attività che richiede precisione e capacità focalizzata di lavorare quotidianamente per usare il pensiero in modi che possano sostenere la vita e siano di beneficio per tutti.

Sappiamo che il servizio è come il respiro per l'anima; senza l'opportunità di servire, l'anima non può funzionare sui tre piani inferiori. Quindi, quando all'anima viene data più opportunità per respirare nel nostro mondo, ci sarà una nuova vita intorno e le strutture del paradigma presente spariranno perché non serviranno agli scopi della cultura dell'anima. Continua...

KARMA DHARMA VAIRAGYA
KARMA  DHARMA VAIRAGYA

di Paolo Quircio 

Nelle filosofie dello Yoga e del Vedanta esistono dei concetti cardine, dei veri e propri perni intorno ai quali ruotano entrambi i sistemi filosofici. Uno di questi è certamente il Samsara, il ciclo di nascite e morti, spesso raffigurato con una ruota, a cui è incatenato il Jiva, l’individuo, composto da Atman, la parte divina, da cui Jivatman, e dalle Upadhi, i cosiddetti attributi limitanti - corpo, prana e mente - con cui il Jiva tende erroneamente ad identificarsi, dimenticando la sua vera essenza, che è divina. Nel mondo di Prakriti, la Natura, ogni cosa, sia essa una cellula, una pianta, un animale, un essere umano o l’intero Universo, nasce, si sviluppa, decade e muore. In questo andamento circolare, la ruota dell’esistenza, la morte non ha nulla di definitivo,  è semplicemente un cambiamento di forma.

Secondo la teoria del Samsara, quando una persona muore, il suo corpo fisico, composto dai cinque elementi, pancha bhuta, terra, acqua, fuoco, aria e etere, agli elementi ritorna. Il corpo astrale, che è composto di mente e prana ed è magazzino di tutte le esperienze accumulate nel corso delle varie vite, le quali contribuiscono a formare il carattere innato nella prossima vita, rimane in attesa per un periodo variabile, quindi torna nel corpo che meglio si adatta alle sue esigenze karmiche, per proseguire il percorso verso la fonte da cui tutti proveniamo, il Brahman, l’anima cosmica che tutto permea e a cui tutto appartiene. Continua...
CARATTERISTICHE DELLA MEDITAZIONE
CARATTERISTICHE DELLA MEDITAZIONE
Nel corso della meditazione, molti sperimentano una gratitudine per la vita che li induce a comunicare con una potenza più alta. Nelle tradizioni contemplative che non danno testimonianza di una personale divinità, l’impulso devozionale é espresso con canti di preghiera, sia silenziosi che vocali, come nel Buddismo Zen e nei Vedanta Indiani. Il senso della benedizione che la meditazione profonda concede porta il cuore verso l’origine delle cose. La meditazione porta naturalmente a quella sorgente, chiedendo niente di più che un contatto d’amore con essa. Friederic Myers, uno dei principali fondatori della moderna ricerca psichica e pioniere della teoria della personalità, credeva che nella preghiera noi intensifichiamo un processo che é sempre apparso in noi. Ciascuno di noi può guidarsi attraverso l’invisibile per trasformazioni oltre la visione della corrente della scienza. Alcuni membri delle nostre classi, per esempio, hanno sperimentato la diminuzione delle sofferenze che molti medici pensano che siano incurabili. Ma sebbene la scienza non possa spiegare tali remissioni (ed altri generi di esperienza descritti in questo libro), vi é un crescente corpo di ricerche che supporta rapporti di tali cambiamenti prodotti da pratiche trasformative. Dal 1993, per esempio, oltre 1400 studi pubblicati in riviste rispettabili hanno mostrato che la meditazione può avere molte desiderabili conseguenze. Continua...
LO YOGA SPIEGATO
arte e metodi dell'Unione Sacra

LO YOGA SPIEGATO<br>arte e metodi dell'Unione Sacra
di Anna Zilli

Deve essere difficile per chi si avvicina per la prima volta allo Yoga capire di cosa si tratta e farsi strada in una foresta che si fa sempre più fitta di nomi esotici: dall’Hatha Yoga al Kundalini, dal Tantra al Bikram, all’Ashtanga, all’Iyengar…c’è di che scoraggiarsi.Ma niente paura: con questo scritto cercheremo di fare luce su questa meravigliosa disciplina antica di millenni, che nasce in India in tempi e modi leggendari.Partiamo dal significato della parola stessa: yoga è un termine sanscrito che sta a significare “unione”; ha la stessa radice del termine italiano “giogo” e dell’inglese “yoke” (che ha lo stesso significato). Ma unione di cosa? Continua...
IL SILENZIO COME BASE DI CONOSCENZA
IL SILENZIO COME BASE DI CONOSCENZA

Pino Landi

La ricerca spirituale non può che essere empirica. Ovviamente questo termine ha altra valenza, rispetto all'impostazione positivista o scientista: concezione ormai obsoleta, i cui limiti e manchevolezze sono state evidenziate e messe in crisi anche dalle nuove teorie e dalle più avanzate intuizioni ed elaborazioni della stessa fisica e matematica. Le medesime scienze moderne stanno riscoprendo, seppur in modo timido ed incerto, sapienze antichissime,contenute nei libri sacri dell'umanità e nell'nsegnamento dei Grandi Maestri.
Il ricercatore spirituale è un empirico, nel senso che persegue una conoscenza sperimentabile, un modo di comprendere direttamente, per identificazione. Conoscenza spirituale è realizzazione, quindi sperimentazione: la conoscenza non è elaborazione mentale e teorica, non è un processo analitico, è crescita,acquisizione sintetica.
L'empirismo spirituale presuppone una epistemologia opposta a quella del tradizionale metodo scientifico,"oggettivo" per definizione e fondamento. Il laboratorio in cui avviene l 'esperimento non è "esterno " al soggetto che sperimenta: premessa e obiettivo dichiarato ed intrinseco a questo tipo di sperimentazione è una conoscenza integrale in cui soggetto sperimentante, oggetto della sperimentazione ed azione dello sperimentare sono una cosa unica inscindibile.
L'uomo è risultanza di mille condizionamenti, esterni ed interni, coscienti e soprattutto
Continua...

MEDITARE
MEDITARE Guendune Rinpoche

Meditare non vuol dire tentare di vedere colori o forme o cercare di modellare questa o quell'esperienza. Meditazione è sgombrare, liberare la mente da tutte le forme di appiglio, di attaccamento, di intenzionalità, di caratterizzazione delle cose. Non si tratta tanto di fare qualcosa, quanto di disfare i vincoli e i legami della mente. Abbandonando l'attaccamento alle cose, basato sulla convinzione che queste abbiano una realtà oggettiva, si mollerà la presa della mente nei confronti di queste cose e dell'intenzione che vi è connessa, in modo che l'apparenza si troverà ad essere libera da sola.
Spesso si crede che meditare significhi imporre uno stato di vuoto alla mente, uno stato senza pensiero nè movimento mentale: quest'idea è sbagliata, perché se la meditazione fosse
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05 APRILE 2019 BOLOGNA - MEDITAZIONE - L'ESPERIENZA DEL RAJA YOGA
17 APRILE 2019 MILANO - CELEBRAZIONE EQUINOZIO DI PRIMAVERA E MEDITAZIONE DELLA PASQUA
13 - 14 APRILE CANTAGALLO (PO) - TEMPIO INTERIORE - SEMINARIO DI DANZA SUFI
13 - 14 APRILE 2019 FIRENZE - WORKSHOP LA SAGGEZZA DEL CUORE - PER INSEGNANTI E GENITORI
02 APRILE 2019 MILANO - IL POTERE DELL INTUIZIONE
14 APRILE 2019 MILANO - IMPARIAMO AD INTERPRETARE SEGNI E COINCIDENZE - CON GIAN MARCO BRAGADIN
05 APRILE 2019 PERUGIA - MEDITAZIONE E ARTE
25 - 28 APRILE 2019 GROSSETO - SEMINARIO DI ASCOLTO DI SE CON IL RESPIRO
27 APRILE 2019 FIRENZE - HO OPONOPONO IL SEGRETO HAWAIANO
27 - 28 APRILE 2019 MONTELUPO FIORENTINO - CORSO DI COSTELLAZIONI FAMILIARI E SISTEMICHE
25 - 26 - 27 - 28 APRILE 2019 BELLARIA IGEA MARINA (RN) - OSHOFESTIVAL 2019
06 APRILE 2019 ROMA - TRA LUCE E OMBRA - SEMINARIO ESPERIENZIALE
12 APRILE 2019 SAN PIETRO IN CERRO (PC) - LIBERA LE EMOZIONI
03 APRILE 2019 PRATO - L'UNIONE - I 12 PASSI DELL AMORE
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