Nell’ultimo cinquantennio, la depressione è stata terra di conquista da parte delle case farmaceutiche che ricorrendo al poco conosciuto disease mongering, hanno creato, a tavolino, nuove patologie e soprattutto nuovi bisogni per plasmare una categoria sempre più ampia di clienti, non certo di pazienti. È sconcertante come numerosi psichiatri e ricercatori abbiano colluso, spesso in maniera consapevole, con questa dinamica di mercato che nulla ha a che fare con la scienza. L’autore ha sentito la necessità, ripercorrendo un lungo viaggio nella storia, nell’antropologia culturale, nelle neuroscienze, nella clinica, nella letteratura e nell’arte, di riportare alla luce le vere caratteristiche della depressione e le sue possibili cause.
Convinto che solo una comprensione approfondita, priva di ideologie e di pregiudizi, possa fornire una valida risposta a quella che è stata definita come la malattia del nostro tempo. Quindi, senza farsi incantare dalle sirene del marketing, dalle riviste patinate di psichiatria o dai megacongressi, il lettore potrà esplorare «le terre della depressione», consapevole che Scilla e Cariddi lo attendono al varco. Il biologismo riduttivo da una parte, lo psicologismo eclettico e accattivante dall’altra. Pertanto l’esposizione sarà saldamente ancorata alla linea mediana della clinica e terrà costantemente presente l’importanza dei fattori culturali e la loro evoluzione nel corso del tempo: dati fondamentali per differenziare nettamente il «mal di vivere» – tipica e strutturale modalità dell’uomo – dalla depressione come evento clinico. In questa ottica, il volume si propone come un saggio di «psicodinamica culturale» sulla depressione.