Non si può conoscere davvero la natura della "coscienza di veglia" senza studiare lo stato in cui vive l’uomo durante il sonno; e così non si può affrontare l’enigma della vita senza studiare la morte. L’interesse e lo studio dell’uomo nello stato di sonno o di morte viene spesso visto come indice di una mente morbosa o malinconica. La vita non finisce nel sonno, ma continua e le forze che lavorano, o creano, nel sonno prendono vigore e riposo da ciò che il sonno dà loro.
Ma una conoscenza più vera di quanto sta al di là della vita, della veglia, delle attività giornaliere non può prescindere dalla consapevolezza che l’uomo non è soltanto la sua parte conscia e attiva, ma che la sua vita ha una parte non cosciente di sonno, abbandono di sé e morte. Questa è la verità: come l’uomo non può stare sempre sveglio, così nei fatti della vita, in tutti i suoi aspetti, egli non può fare a meno di quanto gli offre il soprasensibile.
Un uomo che non rinnovi continuamente tramite il sonno la vitalità delle forze esaurite, arriva inevitabilmente alla distruzione della propria vita. Allo stesso modo uno studio del mondo che tenga in considerazione solo il sensibile dove ciò che non è sensibile venga ignorato porta ad un mondo desolato e arido.
“Così è per la morte: gli esseri viventi devono morire perché possa nascere nuova vita!”
L’autore spiega in maniera incisiva che la morte non è il negativo della vita, la sua distruzione, ma il suo completamento naturale e legittimo. Come non ci sarebbe vita, nel senso ordinario, senza la morte, così è chiaro che non ci può essere una reale conoscenza del mondo visibile senza che lo sguardo penetri nel soprasensibile.