Il vescovo di Milano, S. Aurelio Ambrogio da Treviri, ebbe l’indiscussa capacità di mediare la ricchezza delle conoscenze dottrinali e la forma della penetrazione simbolica con una capacità e una vivezza di comunicazione fuori del comune, di cui abbiamo una ben nota testimonianza nelle Confessioni di S. Agostino. L’uomo contemporaneo occidentale vive in un mondo perversamente immemore della morte e degli eventi sottili ad essa connessi: egli si muove in una società desacralizzata come se già in essa fosse eterno, eppure non può - giorno per giorno - non avvertire l’incalzare del tempo e sentirsi alitare sul collo la grande Livellatrice, assolutamente impreparato ad incontrarla. Le savie parole di Ambrogio, che sono anche e soprattutto una via pratica, possono aiutarlo a prepararsi all’evento principale della sua vita e, se ne sarà capace, a utilizzarne tutta la potenzialità salvifica.
Dall'Introduzione
I libri, se considerati come conoscenza allo stato “minerale”, si possono suddividere in due categorie: quelli che non è di necessità leggere e quelli che è di necessità non leggere. Tra i primi vanno annoverati tutti quei testi che recano traccia della Verità per la mano di chi ne ha avuto esperienza diretta, oppure ne ha tràdito indirettamente la testimonianza: questi sono in definitiva gli unici testi ‘utili’, e lo sono unicamente per il lettore che ha già mosso un passo dalle spire della necessità. I secondi sono invece i testi che nelle mani dell’uomo coatto nella necessità rivelano in tutta la sua nocività il fascino “terroso” della lettera.
Giacché la Verità è l’Essere conosciuto come ciò che non può non essere, mentre la Necessità è l’Essere non conosciuto come tale, bensì conosciuto come Divenire, ovvero quel che può essere e non essere, l’uomo che conosce nella Verità, oltrepassa il suo essere nella necessità, e realizza in sé l’Essere, mentre l’uomo che conosce nella necessità che prende a essere nel Divenire, resta prigioniero dell’ignoranza ontologica (la mâyâ avidyâ del pensiero indù) e del Non-essere. Solo l’uomo ‘che conosce’ è in grado di rendere spirituale la lettera, rendendola utile e vitale, mentre l’uomo che già non conosce la renderà nociva e mortale. Costui crederà di apprendere a partire da una lettura, un insegnamento, un sermone, ma non confonderà che l’ombra con la sua causa, ossia si costruirà una “superstizione”, e di questa si pascerà soddisfatto, tralasciando di risalire alla vera causa da cui si produce questa ombra, cioè la Luce....
Dal Testo I. Perché la morte non è un male pur essendo contraria alla vita?
1. Avendo già scritto in un precedente libro un sermone sull’anima , ci sembra conseguente scrivere qualcosa sul bene della morte, la quale, qualora venisse a nuocere all’anima, potrebbe apparire come un male, ma nel caso contrario, cioè che essa in nulla può danneggiare l’anima, sarebbe allora un bene. Dal momento che non è male ciò che è bene, ed essendo male ciò che è legato al vizio, è dunque buono ciò che è senza vizio, essendo ovviamente i beni contrari ai mali e i mali ai beni. Vi è dunque ‘innocenza’ dove non compare volontà di nuocere, onde viene detto ‘nocivo’ chi non è ‘innocuo’, ‘misericorde’ chi perdona e ‘duro di cuore’ chi non sa indulgere né si lascia commuovere.
2. Qualcuno potrebbe asserire: «cosa vi è di più contrario alla vita se non la morte? Se dunque la vita è reputata un bene, perché la morte non dovrà essere un male?». Dobbiamo allora considerare cosa sia la vita e cosa sia la morte ...